Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.23893 del 25/09/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. VENEGONI Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2844-2013 proposto da:

V.G., elettivamente domiciliato in ROMA VIA VALSOLDA 45, presso lo studio dell’avvocato MARCO DI TERLIZZI, rappresentato e difeso dall’avvocato PASQUALE ROBERTO CHIECO;

– ricorrente –

contro

AGE1E3IA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 45/2012 della COMM. TRIB. REG. di BARI, depositata il 06/06/2012;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 31/05/2019 dal Consigliere Dott. ANDREA VENEGCNI.

RITENUTO

CHE:

Con scrittura privata autenticata del *****, V.G., con altri comproprietari, cedeva alla I.M. Blok di M.M. e c. s.a.s. alcuni suoli edificatori situati nel comune di *****, dichiarando che la cessione era effettuata al prezzo di 400.000 Euro, somma che la società cessionaria si obbligava a pagare ai cedenti entro il 31.12.2004.

Nel settembre 2009 l’Agenzia delle Entrate recuperava a tassazione, per l’anno 2004, una plusvalenza per Euro 98.136, 66 oltre sanzioni, ritenendola correlata alla suddetta cessione.

Il contribuente impugnava l’avviso deducendo che nell’anno in questione non aveva incassato l’intera somma, e la CTP di Bari rigettava il ricorso, disattendendo alcuni elementi di prova addotti dal contribuente tendenti a dimostrare tale circostanza.

Il contribuente impugnava la sentenza e la CTR della Puglia rigettava l’appello.

Per la cassazione di quest’ultima sentenza ricorre a questa Corte il contribuente sulla base di quattro motivi.

Resiste l’ufficio con controricorso.

CONSIDERATO

CHE:

Con il primo motivo il contribuente deduce omessa e contraddittoria motivazione circa il fatto controverso e decisivo per il giudizio relativo alla sussistenza della plusvalenza (asseritamente) non dichiarata in conseguenza della sussistenza dell’obbligo di pagamento stabilito nella cessione del *****

La CTR ha errato laddove ha ritenuto che la mera obbligazione contrattuale di pagamento contenuta nella scrittura del ***** fosse fatto costitutivo della tassazione, a fronte del mancato effettivo incasso della somma.

Con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., per non avere fatto gravare sull’amministrazione finanziaria l’onere della prova piena del fatto costitutivo della pretesa impositiva.

La CTR ha errato laddove ha ritenuto soddisfatta la prova della percezione del corrispettivo (fatto costitutivo della pretesa impositiva), gravante sull’ufficio, sulla sola affermazione di promessa di pagamento entro il 2004, contenuta nella scrittura di vendita, mentre avrebbe dovuto pretendere dall’ufficio la prova dell’effettivo avvenuto versamento.

Con il terzo motivo deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’onere, fatto gravare sul contribuente, di dare piena prova della insussistenza del fatto costitutivo della pretesa impositiva oggetto dell’avviso di accertamento – motivazione contraddittoria.

Con il quarto motivo deduce omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione alla omessa considerazione degli elementi di prova forniti dal ricorrente – violazione e falsa applicazione del principio della leale collaborazione e delle prescrizioni di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, commi 1 e 2.

I motivi possono essere trattati congiuntamente, attendendo alla comune questione del momento di tassazione della plusvalenza e della prova necessaria per dimostrare il formarsi di essa, e sono infondati.

Essi si possono tutti racchiudere, in sostanza, in questa tesi: la plusvalenza non è stata conseguita nell’anno 2004, oggetto di accertamento, perchè, contrariamente a quanto affermato nella scrittura, in tale anno il corrispettivo della cessione non era stato percepito. Essendo tale plusvalenza tassata secondo il principio di cassa, di conseguenza nell’anno 2004 non si è verificato il presupposto della tassazione, ma la CTR ha preteso dal contribuente la prova negativa del mancato conseguimento del prezzo, anzichè pretendere dall’ufficio la prova dell’avvenuto pagamento.

La CTR, innanzi tutto, non si è posta in contrasto con la tesi che sostiene la tassazione della plusvalenza secondo il principio di cassa; solo ha affermato che, mentre l’ufficio aveva indicato almeno un principio di prova che indicava che la percezione della somma, rappresentato dalla scrittura privata autenticata in cui le parti dichiaravano che la società acquirente avrebbe corrisposto il prezzo entro il 31.12.2004, il contribuente non ha provato quanto da lui sostenuto, e cioè che non avesse percepito il corrispettivo.

In altri termini, la CTR ha ritenuto, sulla base del contenuto della scrittura privata autenticata, che questa fosse prova sufficiente della percezione del corrispettivo nell’anno 2004.

Del resto, tale ragionamento non appare viziato alla luce dello svolgimento dei fatti evidenziati dalla CTR in sentenza, ed in particolare delle anomalie nella vicenda: oltre al fatto che già la scrittura, del febbraio 2004, prevedeva il pagamento del prezzo differito al 31.12.2004, la CTR ha messo in luce che il contribuente non aveva esercitato alcuna tempestiva azione per recuperare i 400.000 Euro asseritamente non versati a tale data, e per alcuni anni ha sostanzialmente accettato la situazione, per quanto la somma che doveva ricevere fosse ingente, attivandosi solo nel 2011, a distanza di circa 6 anni e mezzo dalla scrittura.

Inoltre, l’omesso esame di una perizia contabile stragiudiziale riguarda una semplice allegazione difensiva di carattere tecnico, priva di autonomo valore probatorio, con la conseguenza che il giudice di merito non è tenuto ad analizzarne e a confutarne il contenuto (Sez. III, n. 2063 del 2010) e ciò non può dare luogo a omesso esame di un fatto decisivo (Sez. VI-5, n. 8621 del 2018; Sez. V, n. 8857 del 2019).

In sostanza, quindi la CTR ha fatto gravare l’onere della prova sull’ufficio, ma, con ragionamento corretto dal punto di vista logico, lo ha ritenuto soddisfatto sulla base degli elementi in atti (in particolare la dichiarazione nella scrittura).

Non ha posto sul contribuente l’onere di dare prova piena della mancata ricezione del corrispettivo, cioè di una prova negativa, ma ha ritenuto che gli elementi evidenziati dallo stesso contribuente (mancata attivazione fino al giudizio tributario per la riscossione della somma e gli altri sopra evidenziati) non fossero sufficienti per contrastare la prova rappresentata dalla scrittura.

Tale ragionamento appare logico e non scorretto.

Ha rispettato il principio della tassazione della suddetta plusvalenza secondo il principio di cassa, in linea con quanto affermato da questa Corte.

In particolare, sez V n. 17960 del 2013, secondo cui come ha chiarito questa Corte – Cass. n. 14673 del 1999 – “La plusvalenza presente nel patrimonio di un soggetto (cioè il suindicato incremento di valore) non è assoggettabile a tassazione fino a quando non viene realizzata. Il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 81, comma 1, lett. b), nel cui ambito di applicazione rientrano anche le ipotesi previste dalla L. n. 413 del 1991, art. 11, comma 5, stabilisce, infatti, che costituiscono redditi diversi le plusvalenze “realizzate mediante cessioni a titolo oneroso”. Da tale disposizione si ricava altresì che la realizzazione della plusvalenza richiede un atto di trasferimento della proprietà a titolo oneroso, in altre parole la realizzazione della plusvalenza è “conseguenza” di detto “trasferimento”. Senza trasferimento non si ha realizzazione della plusvalenza e, quindi, non esiste reddito tassabile.”

10.13 Il principio di cassa, in definitiva, giova a spiegare che in caso di “trasferimento del bene” con differimento del pagamento del prezzo, la corrispondente plusvalenza con il relativo obbligo di denuncia e di pagamento dell’imposta matura in relazione al corrispettivo via via pagato; ciò che può verificarsi in diversi periodi di imposta;

e sez. V 18389 del 2018 che distingue a seconda di cessioni con fini speculativi o meno; in quelle senza fini speculativi, in base al principio di cassa, la plusvalenza va tassata nel periodo di effettiva cessione del corrispettivo:

se da un lato è stato affermato che nella cessione a titolo oneroso di immobili, contemplata nel D.P.R. n. 917 del 1986, art. 81, “ratione temporis” vigente, l’imponibilità della plusvalenza è regolata dal principio di cassa in virtù del D.P.R. cit., art. 82, comma 1, anch’esso “ratione temporis” vigente (Cass. 24 luglio 2013, n. 17960), è stato però anche sostenuto che ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 597, art. 76, atteso che la norma fa riferimento alla “conclusione delle operazioni”, la quale si realizza con la stipulazione del contratto, il computo della plusvalenza realizzata a fini speculativi va effettuato operando il raffronto tra la somma dichiarata come prezzo di vendita dell’immobile e la somma dichiarata all’atto dell’acquisto dell’immobile medesimo, e perciò in base al principio di competenza e non di cassa (Cass. 15 dicembre 2010, n. 25326).

Nel caso di specie, tuttavia, come sostenuto dal ricorrente, trova applicazione il primo dei due principi citati e quindi il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 82, comma 1, (Approvazione del testo unico delle imposte sui redditi, nel testo anteriore alla riforma del 2004), il cui comma 1 così recita: “Le plusvalenze di cui all’art. 81, comma 1, lett. a), b) e c), sono costituite dalla differenza tra i corrispettivi percepiti nel periodo di imposta, al netto dell’imposta comunale sull’incremento di valore degli immobili, e il prezzo di acquisto o il costo di costruzione del bene ceduto, aumentato di ogni altro costo inerente al bene medesimo”; il successivo comma 6, afferma che “Agli effetti della determinazione delle plusvalenze e minusvalenze… f) nei casi di dilazione o rateazione del pagamento del corrispettivo la plusvalenza è determinata con riferimento alla parte del costo o valore di acquisto proporzionalmente corrispondente alle somme percepite nel periodo d’imposta” (comma aggiunto dall’art. 4, comma 1, lett. b), D.Lgs. n. 21 novembre 1997, n. 461, a decorrere dal 10 luglio 1998). Non trova invece applicazione l’art. 76 cit., (secondo cui “Le plusvalenze conseguite mediante operazioni poste in essere con fini speculativi e non rientranti fra i redditi d’impresa concorrono alla formazione del reddito complessivo per il periodo d’imposta in cui le operazioni si sono concluse”), in quanto tale norma si riferisce ad operazioni speculative, circostanza che nella controversia in oggetto non è emersa, dovendosi pertanto applicare la disciplina più generale temporalmente successiva di cui al citato del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 82, nel testo applicabile “ratione temporis”, con la conseguenza che la plusvalenza andava imputata al momento in cui è effettivamente è stato incassato il prezzo della vendita, ossia parte nel 2000 e parte nel 2001.

Del resto, il TUIR, art. 68, comma 1, prevede che le plusvalenze immobiliari sono costituite dalla differenza tra i corrispettivi “percepiti” nel periodo d’imposta e il prezzo di acquisto o il costo di costruzione del bene ceduto. Quindi è la norma di legge che assume espressamente come momento rilevante ai fini dell’imputazione al periodo d’imposta delle plusvalenze immobiliari quello in cui i corrispettivi sono “percepiti”, così affermandosi il principio di cassa; si tratta d’impostazione ribadita da questa Corte con riferimento, tra l’altro, anche all’indennità d’esproprio (L. n. 413 del 1991, art. 11).

La CTR, come detto, non ha disatteso questo principio. Il ricorso, pertanto, deve essere respinto.

La spese seguono la soccombenza. Sono, pertanto, a carico del ricorrente e, tenuto conto del valore della causa, si liquidano in Euro 5.600.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 5.600, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 31 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2019

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