Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.23914 del 25/09/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCODITTI Enrico – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25029-2018 proposto da:

P.L., P.M.G., elettivamente domiciliate in ROMA VIA MIRABELLO 6, presso lo STUDIO LEGALE CANNIZZARO, rappresentate e difese dall’avvocato CESARE GABRIELE;

– ricorrenti –

contro

UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ANTONIO CHINOTTO 1, presso lo studio dell’avvocato GREGORIO EQUIZI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ALEANDRO EQUIZI;

– controricorrente –

contro

S.A., S.F.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 1002/2018 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 25/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 30/05/2019 dal Consigliere Relatore Dott. SCRIMA ANTONIETTA.

FATTI DI CAUSA

P.M.G. e P.L. convennero in giudizio, dinanzi al Tribunale di Avezzano, l’Aurora Assicurazioni S.p.a., S.A. e S.F..

Le attrici dedussero che: a) in data ***** sulla SSV Sora-Avezzano si era verificato un sinistro stradale in cui era deceduto P.A., zio delle predette, sinistro da ascriversi alla responsabilità di S.G., dante causa di S.A. e S.F., pure deceduto e al quale andava ascritta la responsabilità del sinistro in questione; b) a causa di tale evento, le attrici, coabitanti con P.A., loro punto di riferimento quale “capo famiglia”, avevano sofferto di ansia, depressione, insonnia e avevano viste mutate in peius le loro abitudini di vita; c) avevano, quindi patito danni morali da perdita del congiunto rapportabili al 100% di I.P. relativa a quest’ultimo, liquidabili al 50% per ciascuna di esse, per un importo pro capite di Euro 224.987,50 nonchè un danno biologico, in ragione del 6% di I.P.. Chiesero, pertanto, la condanna dei convenuti in solido al risarcimento dei detti danni.

Si costituì la sola società assicuratrice chiedendo il rigetto della domanda.

Il Tribunale di Avezzano rigettò la domanda, ritenendola sfornita di prova nell’an e nel quantum, rilevando, peraltro, che l’avvenuta corresponsione di Euro 25.000,00 in favore di ciascuna delle attrici da parte della società assicuratrice potesse considerarsi idonea a tacitare ogni pretesa risarcitoria.

Avverso tale decisione le P. proposero gravame cui, resistette la sola Aurora Assicurazione S.p.a., che ne chiese il rigetto.

La Corte di appello di L’Aquila, con sentenza n. 1002/2018, pubblicata il 25 maggio 2018, in parziale riforma della sentenza impugnata, dichiarò esclusivo responsabile del sinistro in parola il conducente del veicolo assicurato con la Unipol Assicurazioni S.p.a. (già Aurora Assicurazioni S.p.a.), rigettò l’appello con riferimento al quantum, confermando al riguardo la sentenza impugnata e compensò integralmente le spese di quel grado.

Avverso la sentenza della Corte di merito P.M.G. e P.L. hanno proposto ricorso per cassazione basato su quattro motivi, cui ha resistito UnipolSai Assicurazioni S.p.a. con controricorso.

Gli intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

Sia le ricorrenti che la controricorrente hanno depositato memorie.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, lamentando “Omessa motivazione sulla disattesa CTU richiesta dalla parte attrice”, le ricorrenti deducono che la sentenza impugnata meriterebbe di “essere censurata ex art. 360 c.p.c., n. 5 ed artt. 61 c.p.c. e ss.”, sostenendo che: a) la motivazione addotta dal Giudice di appello al riguardo non sarebbe nè logica nè coerente perchè non valuterebbe le risultanze delle prove, orali e documentali (v. ricorso p. 6); b) “l’esame complessivo delle sintetiche motivazioni addotte su tale decisione di non espletare la CTU, non evidenzi(erebbe) alcun argomento a contrariis”; c) ai fini di un completo ed esauriente accertamento del danno non patrimoniale sarebbe “necessaria anche un’indagine diagnostica valutativa a carattere specialistico psicologico forense e soltanto in caso di accertata patologia psichica anche psichiatrico forense” e d) il mancato espletamento della c.t.u. medico legale richiesta costituirebbe “una grave carenza nell’accertamento dei fatti da parte del giudice di merito, che si tradu(rebbe) in un vizio della motivazione della sentenza”.

2. Con il secondo motivo si lamenta “Omessa motivazione sulle risultanze della prova orale in ordine al grave perturbamento de quo subito dalle attrici”.

Sostengono le ricorrenti che la Corte territoriale non avrebbe motivato in relazione alla ritenuta inidoneità e insufficienza della prova orale e comunque avrebbe dovuto integrarla con una c.t.u., pure da loro richiesta.

3. I primi due motivi, i quali, essendo strettamente connessi, ben possono essere esaminati congiuntamente, vanno disattesi.

3.1. Si evidenzia che, essendo la sentenza impugnata in questa sede stata pubblicata in data 25 maggio 2018, nella specie trova applicazione l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, nella formulazione novellata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), del convertito con modifiche nella L. 7 agosto 2012, n. 134.

Alla luce del testo di detta norma nella formulazione novellata ed attualmente vigente, applicabile – come già evidenziato – nella specie ratione temporis, non è più configurabile il vizio di insufficiente e/o contraddittoria motivazione della sentenza, atteso che la norma suddetta attribuisce rilievo solo all’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, non potendo neppure ritenersi che il vizio di contraddittoria motivazione sopravviva come ipotesi di nullità della sentenza ai sensi del medesimo art. 360 c.p.c., n. 4) (Cass., ord., 6/07/2015, n. 13928; v. pure Cass., ord., 16/07/2014, n. 16300) e va, inoltre, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass., ord., 8/10/2014, n. 21257). E ciò in conformità al principio affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza n. 8053 del 7/04/2014, secondo cui la già richiamata riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia – nella specie all’esame non sussistente – si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

Le Sezioni Unite, con la richiamata pronuncia, hanno pure precisato che l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, così come da ultimo riformulato, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia).

Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie.

Nella specie, con le censure formulate nell’illustrazione del motivo all’esame, le ricorrenti, lungi dal proporre delle doglianze che rispettano il paradigma legale di cui al novellato art. 360 c.p.c., n. 5, ripropongono, come peraltro chiaramente indicato nell’illustrazione dei motivi all’esame, inammissibilmente lo stesso schema censorio del n. 5 nella sua precedente formulazione, inapplicabile ratione temporis, ribadendosi che nella specie la sentenza, in relazione a quanto lamentato, è comunque motivata, come risultano essere ben consapevoli le ricorrenti nell’illustrazione dei motivi all’esame, al di là di quanto indicato nella rubrica dei detti mezzi, con conseguente infondatezza degli stessi sul punto e inammissibilità nel resto dei motivi in scrutinio.

4. Con il terzo motivo, rubricato “Violazione e falsa applicazione norme ex artt. 1226,20562059 e 2697 c.c. in relazione al danno parentale anche per omessa valutazione”, le ricorrenti censurano “non solo ex art. 360 c.p.c., n. 3 ma anche ex n. 5” la sentenza impugnata nella parte in cui “ha ritenuto congrue le somme versate dalla compagnia assicuratrice ante causam, nonostante la riforma della sentenza di primo grado in punto di an debeatur, in quanto ricomprese nel range medio di oscillazione previsto dalle tabelle del Tribunale di Milano, senza tener conto del fatto che, per una valutazione equitativa conforme al pregiudizio effettivamente subito, soprattutto del gravissimo sconvolgimento delle condizioni familiari e di vita, il danno andava stimato in una misura superiore anche alla soglia massima di dette tabelle”.

Sostengono le ricorrenti che nell’effettuare la cd. personalizzazione del danno non patrimoniale in base alle circostanze del caso concreto, con riferimento alle tabelle milanesi, il Giudice dovrebbe indicare e specificare in motivazione le circostanze che secondo l’id quod plerumque accidit lo avrebbero indotto ad applicare i minimi, laddove, invece, nella sentenza impugnata, non vi sarebbe alcun riferimento alle circostanze dimostrate con le prove testimoniali e rappresentano che la liquidazione equitativa del danno da perdita del rapporto parentale sarebbe sindacabile in sede di legittimità ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, allorchè – come sembrano ritenere le P. sia avvenuto nella specie l’ammontare quantificato si prospetti palesemente non congruo rispetto al caso concreto, in quanto irragionevole e sproporzionato per difetto o per eccesso rispetto a quello previsto dalle tabelle milanesi, oppure quando il giudice di merito non espliciti i criteri assunti a base del procedimento valutativo adoperato, oppure ancora quando, nell’individuare la somma concretamente attribuibile nel range tra il minimo e il massimo stabiliti in via astratta e generale dalle tabelle, non espliciti i parametri di giudizio e le circostanze che abbia considerato per addivenire alla quantificazione.

4.1. Con riferimento ai lamentati vizi motivazionali, va ribadito quanto già espresso al p. 3. in relazione ai primi due motivi di ricorso.

4.2. Quanto alle ulteriori doglianze proposte con il mezzo all’esame, si evidenzia che le stesse sono inammissibili, in quanto il vizio della sentenza previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, dev’essere dedotto, a pena d’inammissibilità del motivo giusta la disposizione dell’art. 366 c.p.c., n. 4, non solo con l’indicazione delle norme che si assumono violate ma anche, e soprattutto, mediante specifiche argomentazioni intellegibili ed esaurienti, intese a motivatamente dimostrare in qual modo determinate affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata debbano ritenersi in contrasto con le indicate norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornite dalla giurisprudenza di legittimità, diversamente impedendo alla torte regolatrice di adempiere al suo compito istituzionale di verificare il fondamento della lamentata violazione. Risulta, quindi, inidoneamente formulata la deduzione di errori di diritto individuati per mezzo della sola preliminare indicazione delle singole norme pretesamente violate, ma non dimostrati per mezzo di una critica delle soluzioni adottate dal giudice del merito nel risolvere le questioni giuridiche poste dalla controversia, operata mediante specifiche e puntuali contestazioni nell’ambito di una valutazione comparativa con le diverse soluzioni prospettate nel motivo e non attraverso la mera contrapposizione di queste ultime a quelle desumibili dalla motivazione della sentenza impugnata (Cass. 29/11/2016, n. 24298; Cass., ord., 26/06/2013, n. 16038).

Inoltre, nel caso all’esame deve ritenersi che le ricorrenti abbiano confuso i criteri di stima fra il minimo e il massimo della tabella stima effettuata dal Giudice del merito in base ad una valutazione in fatto, non censurabile in questa sede – con la personalizzazione, senza che, nella specie, sia stato dedotto che risultino accertate specifiche circostanze di fatto da porre a sostegno della pretesa personalizzazione.

Al riguardo va precisato che la misura standard del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato dagli organi giudiziari di merito (attualmente secondo il sistema c.d. del punto variabile, cd. sistema tabellare) può essere aumentata, nella sua componente dinamico-relazionale, in presenza di conseguenze dannose del tutto anomale, eccezionali e affatto peculiari: le conseguenze dannose da ritenersi normali e indefettibili secondo l’id quod plerumque accidit (ossia quelle che qualunque persona con la medesima invalidità ovvero lesione non potrebbe non subire) non giustificano alcuna personalizzazione in aumento del risarcimento.

In questo senso, va ribadito che, ai fini della c.d. “personalizzazione” del danno forfettariamente individuato (in termini monetari) attraverso i meccanismi tabellari cui la sentenza abbia fatto riferimento (e che devono ritenersi destinati alla riparazione delle conseguenze “ordinarie” inerenti ai pregiudizi che qualunque vittima di lesioni analoghe normalmente patirebbe), spetta al giudice far emergere e valorizzare, dandone espressamente conto in motivazione, in coerenza alle risultanze argomentative e probatorie obiettivamente emerse all’esito del dibattito processuale, specifiche circostanze di fatto, peculiari al caso sottoposto ad esame – che valgano a superare le conseguenze “ordinarie” già previste e compensate dalla liquidazione forfettizzata assicurata dalle previsioni tabellari – e legate all’irripetibile singolarità dell’esperienza di vita individuale nella specie considerata, meritevoli, in quanto tali, di tradursi in una differente (maggiore e, dunque, individualizzata) considerazione in termini monetari, rispetto a quanto suole compiersi in assenza di dette peculiarità (Cass., 21/09/2017, n. 21939; Cass., ord., 28/09/2018, n. 23469; Cass. 31/01/2019, n. 2788).

Ma, come sopra già evidenziato, nel caso all’esame non risultano accertate siffatte peculiari circostanze di fatto, anche alla luce di quanto emerso dalle prove testimoniali (v. sentenza impugnata p. 3 e 4).

5. Il quarto motivo è così rubricato: “Violazione e falsa applicazione norme ex artt. 1226,2056,2059 e 2697 c.c. anche per omessa e/o insufficiente valutazione del danno materiale”.

Lamentano le ricorrenti che la Corte di merito avrebbe del tutto pretermesso di valutare le prove documentali del danno materiale per ulteriori Euro 10.450,00 (Euro 8.400,00 per la cerimonia funebre, Euro 300,00 per vestiti e accessori, Euro 700,00 per fiori, Euro 900,00 per l’allestimento della tomba ed Euro 150,00 per il trasferimento e il deposito dell’autoveicolo del danneggiato).

5.1. Il motivo è inammissibile, non avendo le parti ricorrenti rappresentato in ricorso se, quando e in quali termini la questione sia stata specificamente portata all’esame della Corte di merito, evidenziandosi che le stesse ricorrenti hanno dedotto in memoria di aver sottoposto la questione in parola alla Corte di merito “in modo generico stante la genericità dei motivi della sentenza appellata sulla esatta quantificazione delle somme dovute”, limitandosi a sostenere che la valutazione del danno materiale sarebbe stata doverosa da parte della Corte di merito, essendo stato richiesto l’intero danno, senza tuttavia che siano state riportate testualmente in ricorso le conclusioni così come precisate dalle ricorrenti in secondo grado.

6. Il ricorso va, pertanto, rigettato.

7. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo tra le parti costituite, mentre non vi è luogo a provvedere per dette spese nei confronti degli intimati, non avendo gli stessi svolto attività difensiva in questa sede.

8 Va disposta la chiesta attribuzione delle spese liquidate in favore della controricorrente ai procuratori della stessa, avv. Aleandro Equizi e Gregorio Equizi, che si sono dichiarati antistatari.

9. Va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti, in solido, al pagamento, in favore della società controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge con distrazione in favore dell’avv. Aleandro Equizi e dell’avv. Gregorio Equizi, antistatari; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Sesta Civile – 3 della Corte Suprema di Cassazione, il 30 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 25 settembre 2019

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