LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CAMPANILE Pietro – Presidente –
Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –
Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –
Dott. FEDERICI Francesco – rel. Consigliere –
Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 27647-2014 proposto da:
ARCA SERVIZI IMMOBILIARI SRL in persona dell’Amm.re Unico e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA LIMA 28, presso lo studio dell’avvocato MARCO ALBANESE, rappresentato e difeso dagli avvocati FABIOLA DEL TORCHIO, CLAUDIO COSA giusta delega in calce;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3152/2014 della COMM. TRIB. REG. di MILANO, depositata il 16/06/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/11/2018 dal Consigliere Dott. FRANCESCO FEDERICI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ZENO IMMACOLATA che ha concluso per l’accoglimento per quanto di ragione dei motivi 7, 8, 9, i restanti il rigetto;
uditi per il ricorrente gli Avvocati DEL TORCHIO e COSA che si riportano agli atti;
udito per il controricorrente l’Avvocato ROCCHITTA che si riporta agli atti.
FATTI DI CAUSA
La Arca s.r.l. Servizi Immobiliari ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza n. 3152/2014, depositata il 16.06.2014 dalla Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, con la quale erano integralmente confermati gli atti impositivi notificati alla società dalla Agenzia delle Entrate, relativi agli anni d’imposta 2005/2008.
Ha rappresentato che il 4.11.2011 le erano notificati quattro avvisi di accertamento con i quali erano rideterminate l’Ires, l’Irap e l’Iva relative ai predetti anni, in particolare richiedendo Euro 507.610,00 per il 2005, Euro 525.321,00 per il 2006, Euro 610.925,00 per il 2007, Euro 103.306,00 per il 2008, oltre interessi, nonchè quattro atti di contestazione per i medesimi anni d’imposta, con determinazione delle sanzioni nella complessiva misura di Euro 100.096,00.
Gli esiti degli accertamenti erano originati da indagini finanziarie e creditizie su conti correnti intestati alla società, nonchè al legale rappresentante della società ( P.V.), al suo coniuge, socio di maggioranza ( S.E.), ed al socio di minoranza ( C.A.).
Nel contenzioso che ne seguiva la Commissione Tributaria Provinciale di Milano accoglieva in parte le doglianze della società, rideterminando i debiti fiscali ma confermando per il resto gli esiti dell’attività di controllo. Entrambe le parti, ciascuna per quanto soccombente, adivano la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, che con la sentenza ora impugnata, rigettando il ricorso principale della contribuente ed accogliendo quello incidentale della Agenzia, confermava integralmente gli atti impositivi.
La società si duole della decisione con nove motivi:
con il primo per violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., per non aver riconosciuto il vizio di sottoscrizione degli atti impositivi per mancata produzione di una valida delega alla firma rilasciata dal capo dell’Ufficio accertatore;
con il secondo per violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 17, comma 1 bis, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non aver riconosciuto il vizio di validità della delega di firma prodotta dalla Agenzia delle Entrate;
con il terzo per nullità della sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per l’errata lettura del principio di diritto affermato dalla sentenza n. 17044/2013 pronunciata dalla Corte di cassazione, sempre in riferimento ai requisiti per la valida delega di firma rilasciata dal capo dell’Ufficio;
con il quarto per violazione dell’art. 24 Cost. e della L. n. 212 del 2000, art. 12, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per aver ritenuto irrilevante la mancata costituzione del contraddittorio nella fase endoprocedimentale del procedimento di accertamento;
con il quinto per nullità della sentenza, per violazione dell’art. 112 e dell’art. 132 c.p.c., n. 4, nonchè dell’art. 111 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1 n. 4, per omessa pronuncia sulla documentazione fornita dalla contribuente in giudizio ai fini dell’accertamento fiscale;
con il sesto per violazione dell’art. 2727 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., perchè il giudice regionale ha erroneamente attribuito valore di presunzione e non di prova alla documentazione allegata dalla contribuente;
con il settimo per violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., in ordine alla valutazione delle tentate vendite di cespiti immobiliari da parte della S.;
con l’ottavo per violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, e dell’art. 53 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, sempre con riguardo alle vendite di immobili di cui al precedente motivo;
con il nono per nullità della sentenza per violazione dell’art. 32 e 112 c.p.c., e dell’art. 132 c.p.c., n. 4, nonchè dell’art. 111 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per non aver pronunciato sulla documentazione allegata dalla contribuente in ordine alle tentate vendite dei cespiti immobiliari di cui ai pregressi motivi.
Ha pertanto chiesto la cassazione della sentenza con ogni consequenziale decisione.
Si è costituita l’Agenzia, che ha insistito sulle proprie ragioni, contestando i motivi di ricorso, di cui ha chiesto il rigetto.
All’udienza pubblica del 13 novembre 2018, dopo la discussione, il P.G. e le parti hanno concluso. La causa è stata trattenuta in decisione.
E’ stata depositata memoria illustrativa ex art. 378 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
I primi tre motivi di ricorso, che possono essere trattati unitariamente perchè tutti relativi alle censure mosse alla decisione del giudice regionale, nella parte in cui ha rigettato l’eccezione di nullità degli atti impositivi non sottoscritti dal capo dell’Ufficio bensì da un funzionario della carriera direttiva da lui delegato, delega di cui invece la contribuente contesta validità ed efficacia, sono inammissibili.
Le censure sono mosse sotto il triplice profilo: a) della mancata rilevazione della omessa produzione di una valida delega alla firma, rilasciata dal capo dell’Ufficio accertatore, b) del mancato riconoscimento del vizio di validità della delega di firma prodotta dalla Agenzia delle Entrate, c) dell’erronea affermazione del principio, attribuito alla Corte di Legittimità ma mai da questa affermato, secondo cui l’Amministrazione non è tenuta a dimostrare la sussistenza della delega “trattandosi di un atto che non attiene affatto alla legittimazione processuale in quanto l’avviso di accertamento ha natura sostanziale e non processuale”.
Le tre censure sono inammissibili perchè ai fini della autosufficienza era necessario trascrivere il provvedimento di delega alla sottoscrizione di atti impositivi, rilasciato dal capo dell’ufficio ma della cui validità la contribuente dubita. Nè la circostanza che nel terzo dei motivi si denunci un error in procedendo è sufficiente ad attivare il potere-dovere di esame degli atti al fine di accertare la sussistenza o meno della dedotta carenza di una delega valida, sicchè sarebbe a tal fine sufficiente un suo generico richiamo in ricorso, perchè, sempre in forza del principio di autosufficienza, è necessaria la sua integrale trascrizione, onde consentire al giudice il preventivo esame della rilevanza del vizio denunziato.
A margine, e per mera completezza, deve comunque avvertirsi che questa Corte ha affermato il principio secondo cui in tema di sottoscrizione dell’avviso di accertamento la delega alla sottoscrizione conferita ad un funzionario diverso da quello istituzionalmente competente D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 42, ha natura di delega di firma e non di funzioni. Con essa infatti si realizza un mero decentramento burocratico senza rilevanza esterna, restando l’atto firmato dal delegato imputabile all’organo delegante, con la conseguenza che, nell’ambito dell’organizzazione interna dell’ufficio, l’attuazione di detta delega di firma può avvenire anche mediante ordini di servizio, senza necessità di indicazione nominativa, essendo sufficiente l’individuazione della qualifica rivestita dall’impiegato delegato, la quale consente la successiva verifica della corrispondenza tra sottoscrittore e destinatario della delega stessa (Cass., sent. n. 11013/2019).
Esaminando ora gli altri motivi di ricorso, è infondato il quarto, con il quale si denuncia, per violazione di legge, che il giudice regionale abbia ritenuto irrilevante la mancata costituzione del contraddittorio nella fase endoprocedimentale del procedimento di accertamento.
A parte che la circostanza è contesta dalla Agenzia, che nel controricorso ha menzionato i verbali relativi al contraddittorio instaurato con la contribuente, deve anche tenersi conto che l’accertamento per cui è causa è riconducibile a verifiche su documentazione bancaria ed afferente ad Ires e Irap. Ebbene, la giurisprudenza di questa Corte, ormai consolidata, ha affermato che in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali non sussiste per l’Amministrazione finanziaria alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale per gli accertamenti ai fini Irpeg ed Irap, assoggettati esclusivamente alla normativa nazionale, vertendosi in ambito di indagini cd. “a tavolino” (Cass., Sez. U, sent. n. 24823/2005). Anche di recente si è affermato che con riferimento ai tributi “non armonizzati” l’obbligo dell’Amministrazione finanziaria di instaurare il contraddittorio nel corso del procedimento non sussiste per gli accertamenti cd. “a tavolino”, senza che peraltro la L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, possa essere interpretato nel senso che la consegna della documentazione contabile spontaneamente effettuata dal contribuente presso gli uffici dove viene eseguita la verifica sia equiparabile a quella compiuta presso la sede della società e successivamente proseguita, ai sensi di detta disposizione, comma 3, negli uffici dell’amministrazione (ord. n. 6219/2018).
Inoltre, con riferimento ai tributi armonizzati, anche essi oggetto di accertamenti e atti impositivi nel presente giudizio, questa Corte ha evidenziato che, pur se l’Amministrazione finanziaria è tenuta a rispettare -anche nell’ambito delle indagini cd. “a tavolino”- il contraddittorio endoprocedimentale, la violazione di tale obbligo comporta l’invalidità dell’atto purchè il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa (Cass., ord. 20036/2018).
Questo Collegio condivide i principi enunciati e ad essi vuol dare continuità.
Poichè nel caso di specie la contribuente è stata attinta da accertamento relativo ad imposte non armonizzate, e, per quelle armonizzate, non ha esplicitato quali ragioni avrebbe potuto altrimenti far valere, il motivo va rigettato.
Inammissibili sono invece i motivi quinto e sesto, con i quali, sotto i profili della violazione di legge processuale e violazione di legge sostanziale, la contribuente si duole della omessa pronuncia in merito alla documentazione allegata in giudizio ai fini dell’accertamento fiscale, nonchè della circostanza che a tale documentazione sia stato attribuito valore solo presuntivo e non di prova piena. In sintesi la società lamenta che il giudice regionale non abbia valutato correttamente i documenti prodotti, per ciascuna voce ripresa a tassazione; inoltre censura la sentenza laddove in essa si afferma che doveva essere offerta una prova piena della diversa destinazione dei prelevamenti e dei versamenti riscontrati in sede di accertamento bancario sui conti correnti.
Sennonchè la ricorrente non si avvede della genericità dei motivi di ricorso, nei quali non è stato fatto riferimento ad alcuna specifica documentazione offerta nei gradi di merito, neppure riproducendo, ai fini del soddisfacimento del principio di autosufficienza, i prospetti relativi ai diversi conti correnti alla cui esistenza pur si accenna in nota 3 di pag. 15 del ricorso. Nè è sufficiente sollevare motivi di censura per errores in procedendo, poichè, come già chiarito in ordine al terzo motivo, era comunque necessario rispettare il principio di autosufficienza per consentire una valutazione preventiva sulla rilevanza del vizio denunciato. A margine, e per mera completezza, la motivazione del giudice regionale non è nulla perchè con essa si richiama il principio secondo cui nella ipotesi di accertamento delle imposte sui redditi, qualora esso si fondi su verifiche di conti correnti bancari, l’onere probatorio dell’Amministrazione è soddisfatto, secondo il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, attraverso i dati e gli elementi risultanti dai conti predetti, determinandosi un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, il quale deve dimostrare, in maniera non generica ma analitica per ogni versamento bancario, che gli elementi desumibili dalla movimentazione del o dei conti correnti non siano riferibili ad operazioni imponibili (ex plurimis Cass., sent. n. 15857/2016; 26111/2015; 18081/2010). Sicchè la motivazione della decisione poteva essere al più denunciata sotto il profilo della insufficienza motivazionale, non della sua assenza.
Infondati sono infine i motivi settimo, ottavo e nono, con i quali la contribuente si duole di errores in iudicando e di errores in procedendo con riferimento alle tentate vendite da parte della S.E. di cespiti immobiliari ubicati (un appartamento e un box) in ***** e *****.
Sulla ripresa a tassazione delle entrate ed uscite relative a tali immobili la sentenza afferma che “la documentazione prodotta non appare sufficiente a vincere la presunzione dell’imputazione alla contribuente delle movimentazioni bancarie sui conti dei soci e familiari degli stessi, perchè, oltre ad essere priva di data certa, presenta forti incongruenze in particolare risulta illogico ed inverosimile che la presunta cessione sarebbe avvenuta con scrittura privata e i pagamenti dilazionati nel corso del 2006 e rogito a fine 2006, in rapporto al fatto che il compratore pur avendo versato l’intero importo non chieda di rogitare e solo nel 2008 rinunci all’acquisto e ottenendo la restituzione di 153.000 Euro. Anche per il box di ***** stesso fatto. La S. riceve 75.000 Euro e a titolo di caparra rappresentando, per l’altro, l’intero prezzo di compravendita e dopo due anni il contratto viene risolto con la restituzione dell’intera somma.”. A parte che risulta del tutto incomprensibile la censura sulla violazione dell’art. 112 c.p.c. e dell’art. 132 c.p.c., n. 4, la motivazione dei giudici d’appello, a parte qualche infelice espressione stilistica, è esente da incongruenze e vizi logici. Pretendere, come vuole la ricorrente, una rivalutazione dei fatti, alla luce di una non meglio individuata documentazione, implicherebbe un giudizio sul fatto, riservato al giudice di merito e inibito in sede di legittimità.
Anche questi motivi vanno dunque rigettati.
In conclusione il ricorso va rigettato. Tenuto conto della circostanza che all’epoca dell’introduzione del ricorso non vi era un orientamento univoco sulle questioni sollevate in merito alla delega di firma, e considerata la complessità delle altre questioni sollevate, è corretta la compensazione delle spese processuali. Sussistono invece i presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, previsto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, a titolo di contributo unificato, nella misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del medesimo art., comma 1-bis.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Compensa le spese processuali. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, il 13 novembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 26 settembre 2019