Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.24016 del 26/09/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina A.P. – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. PANDOLFI Catello – rel. est. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 1657/2013 proposto da:

Agenzia delle Entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato con domicilio eletto in Roma via dei Portoghesi 12;

– ricorrente –

contro

Immobiliare R. srl, in persona del legale rappresentante;

– intimata –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Veneto sez. Mestre n. 45/05/12 depositata il 21/05/2012;

Udita la relazione del Consigliere Dott. Catello Pandolfi nella camera di consiglio del 28/03/2019.

RILEVATO

L’Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione nei confronti della sentenza della CTR del Veneto – sezione di Venezia-Mestre n. 45/05/2012 depositata 21/05/2012. La decisione aveva accolto l’appello della contribuente in merito all’impugnabilità, negata invece dalla CTP di Venezia, del provvedimento della Direzione Regionale dell’Agenzia delle Entrate di diniego dell’istanza, presentata dalla Immobiliare R. srl, di disapplicazione della disciplina sulle società non operative, per l’anno 2009, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 37 bis. L’Agenzia basa il ricorso su tre motivi:

a) il primo, per nullità della sentenza, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 35 e 61; degli artt. 112 e 276 c.p.c., del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 10, e del D.M. n. 209 del 2001, artt. 2 e 4, del Ministero Economia e Finanze stante il difetto di legittimazione processuale della Direzione Provinciale di ***** impropriamente convenuta dal ricorrente;

b) il secondo, con riferimento agli stessi articoli per difetto di legittimazione sostanziale della stessa Direzione provinciale, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 4 e 3;

c) il terzo, per difetto assoluto di giurisdizione delle Commissioni tributarie in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1, o per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 2 e 19, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Non presentava controricorso il contribuente.

CONSIDERATO

Vanno respinti il primo e secondo motivo di ricorso basati sul presupposto che la CTR non avesse dichiarato il difetto di legittimazione passiva della Direzione provinciale di *****. La sentenza impugnata, infatti, è stata pronunciata nei confronti della Direzione Regionale dell’Agenzia delle Entrate e non anche della Direzione Provinciale e quindi nei confronti del soggetto certamente legittimato passivamente. In tal modo riaffermando la legittimazione passiva e sostanziale della sola Direzione Regionale ed implicitamente accogliendo l’eccezione della Direzione provinciale. Del resto, l’appellante aveva impugnato l’atto della D.R. convenendola correttamente in giudizio, sia pure citando, forse per un eccesso di scrupolo, anche la D.P. La decisione, pertanto, si colloca nel suo esatto perimetro.

Con il terzo motivo, l’Agenzia ha dedotto il difetto di giurisdizione delle Commissioni tributaria nei confronti di atti di diniego di disapplicazione posti in essere dagli uffici regionali in quanto non inclusi nell’elenco tassativo degli atti sottoponibili alla cognizione dei giudici tributari di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19. Si assume, in particolare, che il procedimento di diniego non sia idoneo ad assolvere la funzione di determinare il tributo o un suo presupposto in termini difformi da quanto dichiarato in via di autoliquidazione dal contribuente. Dal diniego potrebbe non derivare alcuna conseguenza sotto il profilo dell’obbligazione tributaria e non far seguito l’emanazione di un atto impositivo. Il provvedimento del direttore regionale si configurerebbe, cioè, come un mero parere consultivo, circa la sussistenza delle condizioni per escludere l’applicabilità delle norme antielusive, privo di effetti direttamente lesivi per il contribuente e quindi non impugnabile.

La tesi dell’Agenzia non è condivisibile ed anche il terzo motivo è da respingere. Si è infatti stabilizzata la giurisprudenza di questa Corte (Cass. nn. 8663/2011; 17010/2012; n. 23469/2017), che qui si ribadisce, nel senso che in tema di contenzioso tributario, l’elencazione degli atti impugnabili contenuta nel D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 19, ha natura tassativa, ma non preclude la facoltà di impugnare anche altri atti, con cui l’amministrazione renda noto al contribuente una individuata pretesa tributaria esplicitandone la ragioni fattuali e giuridiche, essendo di certo possibile un’ interpretazione estensiva delle disposizioni in materia in ossequio alle norme costituzionali di tutela del contribuente (artt. 24 e 53 Cost.), e di buon andamento dell’amministrazione (art. 97 Cost.), ed in considerazione dell’allargamento della giurisdizione tributaria operato con la L. 28 dicembre 2001, n. 448.

Ne consegue che il contribuente ha la facoltà, non l’onere, di impugnare il diniego del Direttore Regionale delle Entrate di disapplicazione di norme antielusive del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ex art. 37 bis, comma 8, pur se lo stesso non è atto rientrante nelle tipologie elencate dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 19, ma costituisce tuttavia un provvedimento con cui l’Amministrazione porta a conoscenza del contribuente, pur senza efficacia vincolante per questi, il proprio convincimento in ordine ad un determinato rapporto tributario.

Nel caso di specie, in base a detta interpretazione cui il collegio intende dare continuità, la società contribuente aveva un interesse qualificato, ai sensi dell’art. 100 c.p.c., ad opporsi ad un atto che non era meramente consultivo dal momento che aveva una sua diretta ricaduta richiedente, posto che la risposta negativa all’istanza incideva sulla sua condotta in ordine alla (e in occasione della) dichiarazione dei redditi (nella specie per l’anno 2009) in relazione alla quale l’istanza era stata inoltrata.

Il diniego, infatti, prelude all’applicazione da parte dell’amministrazione del tributo e quindi al diniego di agevolazione, impugnabile del D.Lgs. n. 346 del 1992, ex art. 19, comma 1, lett. h). Evenienza che, in esito all’impugnativa, il contribuente può programmare con evidente vantaggio. Nè pare decisivo, per sostenere la non impugnabilità della tipologia di atti in esame, che lo stesso non sarebbe comunque privato di tutela perchè assicurata dalla possibile impugnativa del successivo atto impositivo. I due momenti, infatti, appaiono del tutto compatibili, il secondo non esclude il primo e la loro coesistenza appare anzi più coerente con l’assetto ordinamentale surrichiamato.

Ne discende il rigetto del ricorso.

Nulla da definire sulle spese dal momento che la società intimata non si è costituita.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 28 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 26 settembre 2019

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