LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –
Dott. MELONI Marina – Consigliere –
Dott. FEDERICO Guido – rel. Consigliere –
Dott. MARULLI Marco – Consigliere –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 11264-2015 proposto da:
UNICREDIT SPA, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA SOMALIA 250, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO PUNZO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrenti –
contro
BRIDA CENTER SRL rappresentata e difesa dall’avvocato BASILE ROSALBA elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIAMBATTISTA VICO, 22, presso lo studio dell’avvocato MICHELE PROCIDA;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 152/2015 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 03/02/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/05/2019 dal Consigliere Dott. GUIDO FEDERICO.
FATTI DI CAUSA
Unicredit spa (società nella quale è stata incorporata per fusione il Banco di Sicilia spa) propone ricorso per cassazione, con cinque motivi, nei confronti di Baida Center srl, avverso la sentenza della Corte d’Appello di Palermo n. 152/2015, con la quale, in riforma della sentenza di primo grado, il Banco di Sicilia spa era stata condannato al pagamento di 163.349,92 Euro, oltre ad interessi.
La Corte d’Appello, in particolare, affermava, con riferimento al rapporto di conto corrente n. ***** che, poichè alla data di cessione di attività e passività della Sicilcassa al Banco di Sicilia (6.9.1997) il rapporto contrattuale era ancora in corso, ricorreva un’ipotesi di successione da parte della cessionaria nel medesimo rapporto contrattuale di durata, conclusosi nel 2003, con conseguente applicabilità dell’art. 58 del t.u.b. e non anche dell’art. 90 t.u.b., in forza del quale il cessionario risponde soltanto della passività risultanti dallo stato passivo.
Quanto alla ricostruzione dei rapporti tra le parti, la Corte rinviava alla consulenza tecnica d’ufficio espletata in grado di appello.
Baida srl resiste con controricorso.
In prossimità dell’odierna adunanza entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso si denuncia la nullità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 342 e 345 c.p.c., per aver accolto la domanda di ripetizione di indebito sulla base di produzione documentale effettuata nel giudizio di appello.
La ricorrente lamenta inoltre che la produzione documentale non sia stata effettuata all’atto della costituzione in appello, ma solo un anno dopo, mediante deposito della documentazione in cancelleria senza alcun elenco, con indicazione della produzione soltanto in una memoria non autorizzata; si deduce inoltre che la mancata produzione è unicamente imputabile alla Braida srl, che era stata invitata, in data ben anteriore alla notifica dell’atto di appello, a prendere contatti con le filiali n. ***** di ***** per concordare tempi e modalità di consegna della documentazione.
Il motivo è infondato.
La Corte territoriale, con l’ordinanza del 18/1/2013 da un lato ha ritenuto indispensabile la Ctu contabile, fondata sulla documentazione (essenzialmente costituita dagli estratti conto) prodotta in grado di appello cui dunque si estende necessariamente la valutazione di indispensabilità, dall’altro ha rilevato che l’esibizione della documentazione suddetta era stata più volte ordinata al Banco di Sicilia nel giudizio di primo grado.
Da ciò la ritenuta ammissibilità della produzione.
Tale statuizione è conforme a diritto, sia sotto il profilo della valutazione di indispensabilità che dell’ulteriore presupposto, peraltro non necessario, vale a dire il fatto che la mancata produzione non sia imputabile alla parte. Secondo il recente arresto delle Sez.U. di questa Corte, in continuità con quanto già affermato con le pronunce dalle stesse Sez.U. n. 8202 ed 8203 del 2005, “nel giudizio di appello, costituisce prova nuova indispensabile, ai sensi dell’art. 345 c.p.c., comma 3, nel testo previgente rispetto alla novella di cui al D.L. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, quella di per sè idonea ad eliminare ogni possibile incertezza circa la ricostruzione fattuale accolta dalla pronuncia gravata, smentendola o confermandola senza lasciare margini di dubbio oppure provando quel che era rimasto indimostrato o non sufficientemente provato, a prescindere dal rilievo che la parte interessata sia incorsa, per propria negligenza o per altra causa, nelle preclusioni istruttorie del primo grado(Cass. sez. U. 10790/2017)”.
Quanto all’ulteriore eccezione di decadenza ex art. 342 c.p.c., per la mancata produzione della documentazione all’atto della costituzione in appello, deve senz’altro rilevarsene l’inammissibilità per novità della questione.
E’ infatti giurisprudenza pacifica di questa Corte che i motivi del ricorso per Cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in Cassazione questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase del merito e non rilevabili d’ufficio (Cass. 4787/2012).
Come questa Corte ha precisato, inoltre, il ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione avanti al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare “ex actis” la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito (Cass. 2140/2006).
Nel caso di specie la questione circa la irritualità della produzione non risulta affrontata dalla Corte territoriale e la ricorrente non ha dedotto di averla sollevata nel giudizio di appello.
Il secondo motivo denuncia violazione degli artt. 324 e 329 c.p.c., nonchè dell’art. 2909 c.c., per aver accolto la domanda di ripetizione di indebito, omettendo di tener conto del “giudicato interno” formatosi sulle questioni decise dal tribunale e non impugnate.
Il terzo motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo, per avere la Corte di Appello deciso l’ammontare della ripetizione di indebito senza considerare l’intervenuta formazione del giudicato interno, che avrebbe dato luogo ad una diversa e minore quantificazione del relativo importo.
Ad avviso della ricorrente, nell’atto di appello proposto da Baida Center non era stata impugnata, quanto al conto corrente n. *****, la legittimità della capitalizzazione degli interessi, del tasso convenzionale degli stessi e della misura della commissione di massimo scoperto, e, con riferimento al conto corrente n. *****, la capitalizzazione degli interessi.
Il motivo è inammissibile, in quanto non riporta la statuizione della sentenza di primo grado, favorevole alla odierna ricorrente, su cui si sarebbe formato il giudicato interno per non essere stato oggetto di autonoma impugnazione, nè il contenuto dell’atto di appello della odierna resistente, da cui desumere, in correlazione a tale capo della sentenza, l’intervenuto “giudicato interno”.
Se infatti è vero che la Corte di cassazione, allorquando sia denunciato un “error in procedendo”, è anche giudice del fatto ed ha il potere di esaminare direttamente gli atti di causa, tuttavia, non essendo il predetto vizio rilevabile “ex officio”, è necessario che la parte ricorrente indichi gli elementi individuanti e caratterizzanti il “fatto processuale” di cui richiede il riesame e, quindi, che il corrispondente motivo sia ammissibile e contenga, per il principio di autosufficienza del ricorso, tutte le precisazioni e i riferimenti necessari ad individuare la dedotta violazione processuale (Cass. 2771/2017).
Il quarto motivo denuncia la violazione dell’art. 90 del TUB in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte d’appello quantificato l’importo della ripetizione d’indebito includendovi per il conto n. ***** anche il periodo antecedente la data di cessione delle attività e passività della Sicilcassa in liquidazione coatta amministrativa al Banco di Sicilia spa, ritenendo che non fosse necessario che il debito di restituzione risultasse dallo stato passivo della liquidazione cotta amministrativa, in virtù dell’errata applicazione al caso di specie della disposizione dell’art. 58 del TUB, che non contempla cessioni di attività e passività in blocco e non riguarda la liquidazione coatta amministrativa.
Il motivo è infondato.
Nel caso di specie, il debito derivante dalla domanda di ripetizione di indebito, formulata dalla odierna resistente solo alla data di chiusura del rapporto di conto corrente, non è riconducibile alla nozione di “passività”, quale individuata dalla disposizione dell’98 comma 2 TUB, in forza della quale, in caso di cessione di azienda nella liquidazione coatta amministrativa, il cessionario risponde delle sole passività risultanti dallo stato passivo.
La nozione di “passività” appare assimilabile ai debiti scaduti e postula la facoltà per il creditore di insinuarsi al passivo della procedura; esso non è dunque configurabile in relazione ad un rapporto di conto corrente bancario ancora in corso e che, non essendo stato risolto, è proseguito con la cessionaria.
Ed invero, come le Sez. U. di questa Corte hanno affermato in materia di prescrizione, l’azione di ripetizione di indebito, proposta dal cliente di una banca, il quale lamenti la nullità della clausola di capitalizzazione trimestrale degli interessi anatocistici maturati con riguardo ad un contratto di apertura di credito bancario regolato in conto corrente, è soggetta all’ordinaria prescrizione decennale, la quale decorre non dalla data di annotazione in conto di ogni singola posta, ma dalla data di estinzione del saldo di chiusura del conto, in cui gli interessi non dovuti sono stati registrati, salvo che per i versamenti aventi carattere solutorio, in quanto effettuati extra fido. Al di fuori di tale ipotesi, il singolo versamento non configura un pagamento (dal quale far decorrere, ove ritenuto indebito, il termine prescrizionale del diritto alla ripetizione), giacchè il pagamento che può dar vita ad una pretesa restitutoria è esclusivamente quello che si sia tradotto nell’esecuzione di una prestazione da parte del “solvens” con conseguente spostamento patrimoniale in favore dell'”accipiens” (Cass. Sez. U. 24418/2010).
Ed invero, il rapporto di conto corrente bancario, ha struttura unitaria, ed in esso le operazioni di prelievo e versamento non integrano distinti ed autonomi rapporti di debito e credito reciproci tra banca e cliente, per i quali, nel corso dello svolgimento del rapporto, si possa configurare un credito della banca o un contrapposto credito del cliente (Cass. 10941/2016).
Nel caso di specie, infatti, alla data della cessione il rapporto di conto corrente era pendente, e dalla sua prosecuzione discende l’obbligo per la cessionaria di darvi esecuzione: le contrapposte partite del rapporto di conto corrente non si erano dunque cristallizzate in ragioni di debito o credito esigibili.
Con il quinto motivo si denuncia la violazione dell’art. 2033 c.c. per avere la Corte stabilito la decorrenza degli interessi derivanti dalla condanna ex art. 2033 c.c. dalla data della chiusura dei rapporti, invece che dalla data della domanda.
Deve premettersi che la questione della decorrenza degli interessi, rileva per il solo conto corrente n. *****, la cui chiusura è avvenuta il 20/3/2000, mentre la domanda è stata proposta il 26/3/2003; il conto corrente n. *****, invece, è stato chiuso successivamente all’instaurazione del giudizio.
Con riferimento al primo conto corrente il motivo è fondato.
La Corte ha senz’altro fatto decorrere gli interessi dal giorno del pagamento e non dalla data della domanda, senza peraltro effettuare alcun accertamento circa la “mala fede” dell’accipiens; ciò però contrasta con il consolidato indirizzo di questa Corte secondo cui in materia di indebito oggettivo la buona fede dell’accipiens al momento del pagamento è presunta, sicchè grava sul solvens che faccia richiesta di ripetizione di indebito, al fine del riconoscimento degli interessi con decorrenza dal giorno del pagamento stesso e non dalla data della domanda, l’onere di dimostrare la mala fede dell’accipiens (Cass. 10815/2013; 23543/2016), mala fede che nel caso di specie non risulta neppure allegata dall’appellante.
In conclusione, respinti i primi quattro motivi di ricorso, va accolto il quinto motivo.
La sentenza impugnata va dunque cassata in relazione al motivo accolto e, considerato che non sono necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, disponendo che gli interessi sulle somme in favore della odierna resistente decorrano dalla data della domanda, secondo quanto chiesto dalla stessa ricorrente. Quanto alla regolazione delle spese, i limiti dell’accoglimento del presente ricorso inducono a porre a carico della ricorrente, maggiormente soccombente, le spese del grado di appello e quelle del presente giudizio, che si liquidano come da dispositivo.
PQM
La Corte accoglie il quinto motivo di ricorso, respinti gli altri.
Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo la causa nel merito, dispone la decorrenza degli interessi sull’importo riconosciuto in favore della odierna resistente, Baida Center srl, dalla data della domanda.
Condanna la ricorrente alla refusione delle spese in favore di Baida Center srl, che liquida, quanto al grado di appello, in 7.200,00 Euro, di cui, 200,00 Euro per esborsi, oltre ad accessori di legge ed alle spese della Ctu espletata in grado di appello, nella misura liquidata dalla Corte d’Appello, e, quanto al presente giudizio, in 7.500,00 Euro, di cui 200,00 Euro per esborsi, oltre al rimborso forfettario per spese generali in misura del 15% ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 10 maggio 2019.
Depositato in Cancelleria il 26 settembre 2019
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