LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente –
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –
Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –
Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –
Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 17738/2015 proposto da:
V.M., elettivamente domiciliato in Roma, v. Vito Giuseppe Galati 100-C, presso lo studio dell’avvocato Enzo Giardiello, rappresentato e difeso dall’avvocato Antonio Cecere;
– ricorrente –
contro
C.A., elettivamente domiciliato in Roma, Via Vito Giuseppe Galati 100/C, presso lo studio dell’avvocato Anna D’Alise, rappresentato e difeso dall’avvocato Annibale Cardillo;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 791/2014 del Tribunale di Avellino, depositata il 17/06/2014;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 12/02/2019 dal Consigliere Dott. Annamaria Casadonte.
RILEVATO
che:
– il presente giudizio di legittimità trae origine dal ricorso notificato il 15/6/2015 da V.M. all’avvocato C.A. nei confronti della sentenza n. 791 del Tribunale di Avellino depositata il 17 giugno 2014;
– il tribunale, quale giudice d’appello, aveva con sentenza del febbraio 2007 in accoglimento del gravame proposto dall’avvocato C. respinto l’opposizione al decreto ingiuntivo emesso nel dicembre 2004 su ricorso dell’avvocato nei confronti del V. per il pagamento di prestazioni professionali;
– il contenzioso fra le parti era insorto a seguito dell’ingiunzione di pagamento di Euro 2.353,75 emessa dal Giudice di pace di Avellino, quale compenso delle prestazioni professionali svolte per la pratica stragiudiziale contro il Comune di Montemiletto per la ricostruzione di un fabbricato ex lege n. 219 del 1981, articolatasi in studio approfondito, diversi pareri orali e nella stesura di formale diffida al debitore inadempiente, dopodichè il V. aveva revocato il mandato senza provvedere al pagamento delle spettanze;
– V.M. aveva proposto opposizione deducendo di avere incaricato l’avvocato del solo invio di una lettera per sollecitare una risposta ufficiale dell’amministrazione, in ordine alla pratica avviata per la riparazione del fabbricato di cui era amministratore e che ciò era avvenuto nell’ambito di un unico colloquio, al termine del quale egli aveva provveduto ad estinguere il debito nei confronti del professionista, con la conseguenza che essendo ciò avvenuto nel 1997, la pretesa del legale era estinta per essere maturata la prescrizione presuntiva di cui all’art. 2956 c.c., n. 2;
– l’opponente escludeva espressamente di avere conferito altri incarichi al legale e che lo stesso avesse svolto altra attività per suo conto;
– lo stesso contestava, infine, l’importo della parcella accompagnata dal parere del Consiglio dell’ordine degli avvocati, posta a fondamento del decreto ingiuntivo;
– il Giudice di pace accoglieva l’opposizione e revocava il decreto ingiuntivo;
– l’avvocato impugnava la pronuncia e il tribunale, in accoglimento dell’appello respingeva l’opposizione e confermava il decreto ingiuntivo;
– il tribunale argomentava a sostegno della conclusione sia con riguardo all’eccezione di prescrizione presuntiva che alle prove assunte in secondo grado sul contenuto delle prestazioni svolte dall’avvocato;
– con riguardo alla prescrizione presuntiva osservava che essa è fondata sulla presunzione di adempimento dell’obbligazione ed implica il riconoscimento dell’esistenza del credito nella stessa misura richiesta dal creditore, sicchè non poteva essere validamente opposta dal V.;
– con riguardo alle prove assunte, evidenziava che le testimonianze di T.G. e di M.F. insieme alla documentazione prodotta dall’avvocato, dimostravano un’attività ulteriore di esame della risposta alla diffida espletata in almeno due incontri con il V. avvenuti nel 1999, che giustificavano il pagamento richiesto;
– la cassazione della sentenza d’appello è chiesta dal V. sulla base di quattro motivi cui resiste con tempestivo controricorso l’avvocato C..
CONSIDERATO
che:
– il primo motivo – con cui si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza per omessa pronuncia circa l’eccezione relativa alla deposito di memoria difensiva oltre il termine previsto in violazione degli artt. 155,169 e 190 c.p.c. – è inammissibile per difetto di specificità perchè la parte ricorrente non allega che la decisione impugnata sia stata assunta sulla base di quanto dedotto nella memoria tardivamente depositata;
– la stessa circostanza della tardività del deposito della produzione di parte non risulta provata, occorrendo la prova del precedente ritiro ed anzi, come si legge nel controricorso (cfr. pag. 2 e 3), la circostanza della tardività del deposito e del precedente ritiro è specificamente contestata;
– con il secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità del procedimento per violazione degli artt. 112,177,178 e 345 c.p.c., per avere il giudice d’appello ritenuto rituale l’istanza di riproposizione delle prove formulata dall’avvocato C. in sede di precisazione delle conclusioni e nella memoria conclusionale chiedendo la remissione della causa sul ruolo “per consentire una regolare istruttoria”;
– inoltre, si deduce l’omesso pronuncia sull’eccezione di inammissibilità della prova sollevate dall’opponente ed appellato;
– le censure sono entrambe infondate;
– in riferimento alla prima, occorre rilevare come dalla sentenza impugnata risulta che la prova ammessa dal giudice di appello era stata tempestivamente articolata in comparsa di risposta e non risulta nessuna rinuncia alla sua ammissione o mancanza di interesse (cfr. Cass. 17582/2017; id. 3593/2010);
– pertanto, il seppur sintetico richiamo all’istruttoria contenuto nell’istanza di rimessione della causa sul ruolo, lasciava chiaramente intendere la volontà di richiamare le istanze istruttorie già formulate in atti;
– in riferimento all’omessa pronuncia, non vi è stato alcun omesso esame dell’eccezione, ma, piuttosto, un implicito rigetto (cfr. Cass. 20718/2018; id. 29191/2017; 17956/2015);
– il terzo motivo – con cui si deduce in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell’art. 2956 c.c., n. 2, artt. 2957 e 2959 c.c., per avere erroneamente ritenuto che il V., il quale negava parzialmente l’originaria esistenza del credito, non potesse fondatamente eccepire la prescrizione presuntiva – è inammissibile ex art. 360 bis c.p.c.;
– la sentenza impugnata ha fatto invero corretta applicazione dei consolidati principi di diritto in materia di prescrizione presuntiva;
– la prescrizione presuntiva ai sensi dell’art. 2959 c.c., si fonda non sull’inerzia del creditore e sul decorso del tempo – come accade per la prescrizione ordinaria – ma sulla presunzione che, in considerazione della natura dell’obbligazione e degli usi, il pagamento sia avvenuto nel termine previsto;
– conseguentemente, l’eccezione di prescrizione deve essere rigettata qualora il debitore ammette di non avere pagato, dovendo considerarsi sintomatica del mancato pagamento e, dunque, contrastante con i presupposti della relativa presunzione, la circostanza che l’obbligato abbia contestato di dovere pagare in tutto o in parte il debito o che soggetto obbligato sia un terzo, essendo tali circostanze incompatibili con la prescrizione presuntiva che presuppone l’avvenuto pagamento e il riconoscimento dell’obbligazione (cfr. Cass. 30058/2017; id. 14927/2010; id. 7527/2012);
– poichè nel caso di specie il V. assume di dovere una somma inferiore a quella richiesta, correttamente l’eccezione è stata rigettata a norma dell’art. 2959 c.c.;
– non può, pertanto, invocarsi alcun illegittimo pregiudizio in capo al debitore che negando anche solo parzialmente il credito, non possa avvalersi della presunzione di avervi già adempiuto come chi, invece, non ne contesta nè l’an nè il quantum;
– manifestamente infondata è poi la questione di legittimità costituzionale formulata nella parte finale del motivo senza neppure indicare i parametri costituzionali che si assumono violati;
– il quarto motivo – con cui si deducono sia la nullità del procedimento, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione all’art. 116 c.p.c. e art. 2697 c.c., sia la violazione in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, D.M. n. 585 del 1994, per avere, da un lato, il tribunale male utilizzato il prudente apprezzamento nella valutazione delle prove e, dall’altro, errato nell’applicazione dei parametri seguiti per la liquidazione delle competenze dell’avvocato C. – è inammissibile con riguardo ad entrambi i profili;
– con riguardo alla valutazione delle prove si tratta, infatti, di apprezzamento insindacabile in sede di legittimità al di fuori dei rigorosi limiti in cui è attualmente delimitato il sindacato sulla motivazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (cfr. Cass. sez. un. 8053/2014);
– con riguardo poi ai criteri per la liquidazione dei compensi la doglianza risulta parimenti inammissibile dal momento che denuncia come ingiustificata la somma riconosciuta dal giudice di merito al legale, in base ad una valutazione di congruità che è insindacabile, nei termini formulati, dal giudice di legittimità;
– atteso l’esito sfavorevole di tutti i motivi, il ricorso va respinto e, in applicazione del principio di soccombenza, parte ricorrente va condannata alla rifusione delle spese di lite nella misura liquidata in dispositivo;
– ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alla rifusione delle spese di lite a favore del controricorrente e liquidate in 1500,00 oltre Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per rimborso spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 12 febbraio 2019.
Depositato in Cancelleria il 26 settembre 2019
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