LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Felice – Presidente –
Dott. BELLINI Ubaldo – Consigliere –
Dott. BERTUZZI Mario – rel. est. Consigliere –
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –
Dott. SCALISI Antonino – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
P.M., rappresentato e difeso per procura alle liti in calce al ricorso dagli Avvocati Alberto Maltoni e Andrea Maltoni, elettivamente domiciliato presso lo studio dell’Avvocato Andrea Viel in Roma, via Ottaviano n. 66.
– ricorrente –
contro
Azienda Speciale Nido in liquidazione, con sede in *****, in persona del liquidatore Dott. A.M., rappresentata e difesa per procura alle liti in calce al controricorso dall’Avvocato Anna Maria Scrascia, elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avvocato Silvana Durante in Roma, via Monte Santo n. 10/a.
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1193 della Corte di appello di Milano, depositata il 17 marzo 2015.
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
Con sentenza n. 1193 del 17. 3. 2015 la Corte di appello di Milano, in riforma della sentenza n. 723 del Tribunale di Monza, revocò il decreto ingiuntivo che intimava alla Azienda Speciale Nido di *****, già Azienda Multiservizi & Farmacie, di pagare a P.M. la somma di Euro 12.918,47 a titolo di saldo del compenso professionale richiesto per l’anno 2007 e fino al 30.6.2008 quale componente del collegio dei revisori della suddetta azienda, e condannò l’opposto alla restituzione delle maggior somme ricevute a tale titolo. Premesso che il P. era stato nominato revisore dell’azienda, avente natura di municipalizzata, con Delib. Comune di Cinisello Balsamo a far data dall’1.1.2006 ed aveva svolto l’incarico fino al 30.6.2008, che ai sensi del D.P.R. n. 902 del 1986, art. 52 era prevista per tale carica una adeguata indennità determinata nel suo ammontare dal consiglio comunale, che nella specie quest’ultimo vi aveva provveduto non all’atto della nomina ma soltanto con Delib. 26 luglio 2007, espressamente dichiarata non retroattiva, e che oggetto di controversia tra le parti era la misura del compenso dovuto al professionista per il periodo anteriore alla suddetta Delib., avendo questi richiesto che fosse liquidato sulla base della tariffa professionale vigente mentre l’azienda opponente sosteneva la sua quantificazione sulla base delle ultime Delib. adottate dal comune in materia nel 1996 e 1997, la Corte territoriale motivò la sua decisione rilevando che tali Delib. dovevano nella specie ritenersi applicabili e che, diversamente da quanto ritenuto dal giudice di primo grado, il compenso liquidato sulla base delle stesse fosse adeguato, non discostandosi in maniera sensibile dai nuovi parametri stabiliti nel 2007 e non oggetto di censura da parte dell’opposto.
Per la cassazione di questa decisione, notificata il 23.4.2015, ricorre con atto notificato il 22.6.2015 P.M., sulla base di due motivi.
Resiste con controricorso l’Azienda Speciale Nido di *****.
La causa è stata avviata in decisione in adunanza camerale non partecipata.
Il primo motivo di ricorso, che denunzia errata e falsa applicazione del D.P.R. n. 902 del 1986, art. 52 censura la sentenza appellata per avere ritenuto, disattendendo la obiezione dell’appellato, l’applicabilità nella fattispecie delle Delib. consiglio comunale del 1996 e 1997, senza considerare che esse avevano effetto limitato nel tempo atteso che, per il loro contenuto oggettivo, avevano determinato il compenso dei revisori non in generale, ma con specifico riferimento a quelli nominati con la Delib. 12 luglio 1994, n. 40 che espressamente richiamava ed indicava nominativamente. Sostiene in contrario il ricorrente che, ai sensi del D.P.R. n. 902 del 1986, art. 52 il consiglio comunale deve determinare il compenso da corrispondere in relazione ad ogni singola e specifica costituzione del collegio dei revisori e che, in mancanza di Delib. ad hoc, è del tutto legittimo applicare le tariffe professionali.
Il mezzo è fondato nei limiti di seguito precisati.
Il D.P.R. n. 902 del 1986, art. 52 che ha approvato il regolamento delle aziende di servizi degli enti locali, dopo avere previsto la competenza del consiglio comunale alla nomina del collegio dei revisori dei conti, le cause di incompatibilità ostative alla nomina o, se sopravvenute, implicanti decadenza dall’incarico, all’ultimo comma stabilisce: “Al presidente ed ai membri del collegio dei revisori è corrisposta una adeguata indennità il cui ammontare è deliberato dal consiglio comunale, tenuto conto delle dimensioni dell’azienda e delle tariffe professionali vigenti”.
Sostiene al riguardo il ricorrente che il compenso spettante ai revisori deve essere determinato in relazione ad ogni singola e specifica nomina. L’argomento merita di essere condiviso.
Questa conclusione discende dalla lettura della disposizione sopra richiamata, che disciplina l’atto di nomina come un atto unitario, con l’effetto che la designazione del soggetto incaricato deve necessariamente essere accompagnata dalla determinazione dell’indennità prevista a suo favore. In tale senso depone, oltre il dato testuale, una interpretazione costituzionalmente orientata della norma, considerato che il principio di buona amministrazione, posto dall’art. 97 Cost., comma 1, comporta che il conferimento di un incarico non gratuito ad un privato da parte della pubblica amministrazione sia accompagnato dall’indicazione della spesa e della conseguente rimunerazione prevista.
Che la determinazione di tale rimunerazione costituisca elemento necessario della Delib. di nomina appare discendere inoltre dalla considerazione che la particolare disciplina dettata dal D.P.R. citato, art. 52 qualifica tale spettanza, in ragione della natura pubblicistica dell’incarico, come indennità e non come corrispettivo o onorario, escludendo in tal modo che essa possa essere eterodeterminata sulla base della tariffa professionale per i dottori commercialisti, che invece segue per la quantificazione dei compensi ed onorari spettanti al professionista criteri commisurati al valore della pratica, alla durata occorsa per lo svolgimento dell’opera professionale ed al risultato economico conseguito dal cliente. L’inapplicabilità del sistema tariffario risulta altresì confermata dalla precisazione normativa che essa deve essere adeguata, rimandando essa ad un criterio di sufficienza che è diverso da quello seguito nell’ambito della tariffa professionale.
Nè è indifferente alla soluzione interpretativa accolta il rilievo che la mancata determinazione della indennità all’atto della nomina produce incertezza anche nei confronti del soggetto designato in ordine alla remunerazione, che pure il regolamento gli riconosce come dovuta, incertezza che si riverbera a sua volta sul buon andamento dell’amministrazione, potendo di fatto pregiudicare il regolare e compiuto svolgimento dell’incarico conferito.
L’interpretazione secondo cui il D.P.R. n. 902 del 1986, art. 52 richiede che il consiglio comunale con l’atto di nomina debba contestualmente determinare l’indennità dovuta ai componenti del collegio dei revisori dell’azienda porta a disattendere la conclusione fatta propria dal giudice di merito che, in mancanza di tale determinazione da parte della Delib., ha calcolato l’indennità sulla base delle precedenti Delib. che l’avevano indicata con riferimento ai componenti dei comitati passati. Ed invero, se, come nel caso di specie, la Delib. di nomina non richiama espressamente a tal fine la Delib. anteriore, deve necessariamente trarsi la conseguenza che l’indennità di cui si discute non sia stata in alcun modo determinata, nemmeno per relationem, risolvendosi ogni altra soluzione in una sostanziale disapplicazione del dettato normativo.
La conclusione del ricorrente, che sostiene che in mancanza di tale determinazione debba farsi applicazione della tariffa professionale, non merita invece di essere accolta, tenuto conto, che come sopra rilevato, il regolamento del 1986 prevede in favore del componente del comitato dei revisori una “adeguata indennità”, non già un compenso commisurato all’attività conferita ed effettivamente prestata, con conseguente inapplicabilità delle tariffe professionali.
Ne discende l’applicabilità alla fattispecie dell’art. 2233 c.c., secondo cui il compenso per il prestatore d’opera intellettuale, se non è convenuto dalle parti e non può essere determinato secondo le tariffe e usi, è determinato dal giudice.
Il secondo motivo di ricorso, che denunzia errata e falsa applicazione del D.P.R. n. 902 del 1986, art. 52 nel combinato disposto con il D.P.R. n. 645 del 1994, art. 7 si dichiara assorbito alla luce delle considerazioni precedenti.
La sentenza va quindi cassata in relazione al primo motivo, nei limiti di cui in motivazione, con rinvio della causa ad altra Sezione della Corte di appello di Milano al fine della determinazione della indennità spettante all’odierno ricorrente ai sensi del D.P.R. n. 902 del 1986, art. 52, comma 3. Il giudice di rinvio provvederà inoltre alla liquidazione delle spese di questo giudizio.
P.Q.M.
accoglie nei limiti di cui in motivazione il primo motivo di ricorso, dichiara assorbito il secondo; cassa in relazione e nei limiti del motivo accolto la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità, ad altra Sezione della corte di appello di Milano.
Così deciso in Roma, il 6 marzo 2019.
Depositato in Cancelleria il 26 settembre 2019