LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRONZINI Giuseppe – Presidente –
Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere –
Dott. BALESTRIERI Federico – Consigliere –
Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –
Dott. LORITO Matilde – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 17707/2017 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. ***** in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134 presso lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, rappresentata e difesa dall’avvocato TOSI PAOLO;
– ricorrente –
contro
B.M., in qualità di erede di C.Z.L.;
– intimata –
avverso la sentenza n. 574/2016 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 13/07/2016 R.G.N. 1842/2014.
RILEVATO
che:
La Corte d’appello di Torino confermava la pronuncia del Tribunale di Biella con cui era stata dichiarata nulla, per genericità della causale e difetto di prova delle circostanze in essa indicate, l’apposizione del termine al contratto di lavoro stipulato tra la società Poste Italiane e C.Z.L., D.Lgs. n. 368 del 2001, ex art. 1, per il periodo 6 maggio-30 giugno 2002 con conseguente declaratoria di sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato e condanna della società al pagamento del risarcimento del danno pari alle retribuzioni maturate dal 29.10.04 sino alla effettiva riassunzione.
Tale decisione, con sentenza n. 28027/2013 veniva riformata dalla Corte di legittimità per aver i giudici del gravame ritenuto la mancanza di specificità della clausola di apposizione del termine, senza aver previamente esaminato il contenuto degli accordi ai quali là clausola stessa faceva riferimento.
La designata Corte d’Appello di Milano, successivamente adita dalla lavoratrice ai sensi dell’art. 392 c.p.c., confermava la sentenza del primo giudice.
Avverso tale decisione la società Poste Italiane interpone ricorso per cassazione notificato ai sensi dell’art. 143 c.p.c., nei confronti di B.M., erede di C.Z.L., affidato a due motivi, poi illustrati con memoria.
La parte intimata non ha svolto attività difensiva.
CONSIDERATO
che:
1.Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1,artt. 115,116 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Si critica la statuizione con la quale i giudici del gravame hanno ritenuto che la società non avesse offerto adeguata prova in ordine alla sussistenza di un nesso eziologico fra le causali indicate nel contratto e l’esigenza di assumere la ricorrente, avuto riferimento all’organico dell’ufficio ed all’inserimento dello stesso nell’ambito della riorganizzazione programmata dell’azienda.
Si deduce che le ragioni sottese all’assunzione discendevano direttamente dagli accordi richiamati nel contratto di assunzione, sicchè le esigenze di ristrutturazione aziendale che avevano indotto la società ad utilizzare lo strumento del contratto a termine, avevano coinvolto ogni singolo ufficio sull’intero territorio nazionale.
Si precisa che le prove testimoniali, ove ammesse, avrebbero consentito di appurare che nel periodo in oggetto, l’assunzione dell’intimata si era resa necessaria per garantire la continuità del servizio postale nel contesto in cui l’assunzione si inseriva.
2. Il motivo è inammissibile, laddove fa leva sulle prove testimoniali per argomentare in ordine alla sussistenza della prova di un nesso eziologico fra le ragioni organizzative e l’assunzione a termine della lavoratrice, considerato che i capitolati di prova neanche vengono riprodotti.
La società non trascrive interamente i capitoli di prova richiesti (con esclusione del capitolo 33 del seguente tenore: “Anche l’ufficio di applicazione della ricorrente è stato interessato dai descritti processi di riorganizzazione”) nè in quale atto processuale, quando ed in qual modo essi sarebbero stati sottoposti al giudice del gravame (cfr. Cass. ord. 16-312 n. 4220; Cass. 9-4-13 n. 8569); deve infatti rimarcarsi che la censura contenuta nel ricorso per cassazione relativa alla mancata ammissione della prova testimoniale è inammissibile se il ricorrente, oltre a trascrivere i capitoli di prova e ad indicare i testi e le ragioni per le quali essi sono qualificati a testimoniare – elementi necessari a valutare la decisività del mezzo istruttorio richiesto, e nella specie insussistenti – non alleghi e indichi, inoltre, la prova della tempestività e ritualità della relativa istanza di ammissione e la fase di merito a cui si riferisce, al fine di consentire “ex actis” alla Corte di Cassazione di verificare la veridicità dell’asserzione, (ex aliis, cfr. Cass. 23-4-2010 n. 9748); ne consegue che sotto tale assorbente profilo, il motivo palesa evidenti profili di inammissibilità.
Peraltro, non può sottacersi che la Corte di merito abbia esplicitamente negato la idoneità delle prove testimoniali articolate, a rendere ragione dell’assunzione della lavoratrice presso l’ufficio di assegnazione, con riferimento alla situazione di organico propria di tale ufficio. Detta statuizione sorretta da congrua motivazione, si sottrae alla censura all’esame che resta confinata entro i rigorosi limiti sanciti dal novellato n. 5 dell’art. 360 c.p.c., comma 1, secondo l’interpretazione resa dalle Sezioni Unite di questa Corte (vedi Cass. S.U. 7-4-2014 n. 8053).
3. Come seconda critica, si denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., con riferimento alla L. n. 183 del 2010, art. 32, commi 5 e 6, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.
Si censura la sentenza impugnata per avere omesso di pronunciarsi in ordine alla eccezione sollevata nel ricorso ex art. 392 c.p.c., concernente l’applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, commi 5 e 6.
4. Il motivo è fondato.
Premesso che il vizio di omessa pronuncia su una domanda o eccezione di merito, che integra una violazione del principio di corrispondenza tra chiesto pronunciato ex art. 112 c.p.c., ricorre quando vi sia omissione di qualsiasi decisione su di un capo di domanda, intendendosi per capo di domanda ogni richiesta delle parti diretta ad ottenere l’attuazione in concreto di una volontà di legge che garantisca un bene all’attore o al convenuto e, in genere, ogni istanza che abbia un contenuto concreto formulato in conclusione specifica, sulla quale deve essere emessa pronuncia di accoglimento o di rigetto (vedi Cass. 16/7/2018 n. 18797, Cass. 27/11/2017 n. 28308, Cass. 16/5/12 n. 7653), deve ritenersi che la sentenza impugnata sia affetta dal vizio denunciato.
La Corte d’Appello, infatti, non ha esaminato la questione, sottoposta al suo vaglio, concernente l’applicabilità della L. n. 183 del 2010, art. 32, commi 5 e 6, di cui la società aveva chiesto disporsi applicazione in sede di ricorso ex art. 392 c.p.c., come desumibile dal tenore del ricorso riportato per il principio di specificità che governa il ricorso per cassazione.
In tali sensi il secondo motivo di ricorso merita accoglimento, la sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Corte d’Appello designata in dispositivo che provvederà a scrutinare la questione concernente la applicabilità alla fattispecie della L. n. 183 del 2010, art. 32, commi 5 e 6, disponendo anche in ordine alle spese del presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso e rigetta il primo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Milano in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 18 giugno 2019.
Depositato in Cancelleria il 26 settembre 2019
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