Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.24140 del 27/09/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – rel. Consigliere –

Dott. MARCHESE Gabriella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29592-2014 proposto da:

S.V., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TUSCOLANA, 946, presso lo studio dell’avvocato CARMINE LOMBARDO, rappresentata e difesa dall’avvocato MICHELE MASSELLA, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

MERIDIANA FLY S.P.A., P.I. *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIULIO CESARE 21/23, presso lo studio degli avvocati ARLO BOURSIER NIUTTA, ANTONIO ARMENTANO, che la rappresentano e difendono giusta delega in atti;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

– ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza n. 140/2014 della CORTE D’APPELLO di CAGLIARI SEZIONE DISTACCATA di SASSARI, 09/06/2014, r.g.n. 173/2013.

RILEVATO

che, con sentenza depositata il 9.6.2014, la Corte di Appello di Cagliari, Sezione distaccata di Sassari, ha rigettato il gravame interposto da S.V., nei confronti di Meridiana Fly e Meridiana S.p.A., avverso la pronunzia del Tribunale di Tempio Pausania, con la quale era stata respinta la domanda della lavoratrice volta ad ottenere la dichiarazione di illegittimità del termine apposto ai contratti stipulati inter partes e la dichiarazione della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a far data dall’1.7.1994, con condanna delle società alla “ricostruzione della carriera ed al pagamento delle differenze retributive”;

che avverso tale sentenza S.V. ha proposto ricorso per cassazione affidato ad un motivo contenente due censure;

che Meridiana Fly S.p.A. ed Alisarda S.p.A. (già Meridiana S.p.A.) hanno resistito con controricorso ed hanno spiegato ricorso incidentale condizionato, articolando due motivi;

che sono state depositate memorie nell’interesse della lavoratrice;

che il P.G. non ha formulato richieste.

CONSIDERATO

che, con il ricorso principale, si censura: 1) in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione degli artt. 1372 e 2697 c.c., nonchè, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, “in ordine all’assenza di circostanze idonee ad integrare la prova della sussistenza della volontà risolutiva” e si lamenta che la Corte territoriale avrebbe erroneamente, e senza una adeguata motivazione al riguardo, rigettato la domanda della ricorrente, ritenendo che, nella fattispecie, si fosse verificata una ipotesi di risoluzione per mutuo consenso, essendo trascorsi quattordici anni tra lo spirare dell’ultimo contratto e la proposizione del ricorso di primo grado;

che, con il ricorso incidentale, si deduce: 1) la violazione e falsa applicazione degli artt. 112 e 434 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè “l’appello avrebbe dovuto essere dichiarato inammissibile per mancato rispetto dei requisiti previsti dal nuovo testo dell’art. 434 c.p.c.”; 2) la violazione e/o falsa applicazione della L. n. 183 del 2010, art. 32, commi 1, 1bis e 4 e degli artt. 11 e 12 preleggi, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, perchè la Corte di merito avrebbe dovuto pronunziare una sentenza di inammissibilità, avendo accertato la sussistenza, nella fattispecie, dell’ipotesi di decadenza prevista dalla L. n. 183 del 2010, art. 32 in combinato disposto con il D.L. n. 225 del 2010, art. 54 (c.d. decreto “mille proroghe”), convertito nella L. n. 10 del 2011;

che il motivo articolato con il ricorso principale non è fondato relativamente alla prima censura, poichè i giudici di seconda istanza hanno proceduto correttamente a vagliare le istanze istruttorie e la documentazione prodotta dalle parti e, all’esito di tale procedimento delibatorio, hanno rilevato che, dato il decorso di oltre quattordici anni tra la conclusione dell’ultimo contratto e la proposizione del ricorso introduttivo del giudizio, si fosse in presenza di una risoluzione del rapporto per mutuo consenso. Al riguardo, deve premettersi che la Corte di legittimità ha, in più occasioni, precisato che, “affinchè possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, è necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonchè del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volontà delle stesse parti di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo. La mera inerzia del lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine, quindi, è di per sè insufficiente a ritenere sussistente una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, mentre grava sul datore di lavoro, che eccepisca tale risoluzione, l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volontà chiara e certa delle parti di volere porre fine ad ogni rapporto di lavoro” (così, testualmente, Cass. n. 20605/2014; cfr., pure, nella materia, ex plurimis, Cass. nn. 11262/2013; 5887/2011, 23319/2010, 26935/2008, 20390/2007, 23554/2004). Orbene, nella fattispecie, la Corte distrettuale si è attenuta a tale consolidato principio e, con una motivazione condivisibile – basata, appunto, sul computo dei quattordici anni trascorsi, ai quali ha ricondotto una precisa volontà di disinteresse della lavoratrice al mantenimento del rapporto, e scevra da vizi logico-giuridici -, ha reputato che la condotta tenuta dalla S. fosse incompatibile, sotto il profilo obiettivo, con la ripresa della funzionalità del rapporto di lavoro (al riguardo, cfr. Cass. n. 29781/2017);

che la seconda censura articolata nello stesso mezzo di impugnazione è inammissibile, in quanto, come sottolineato dalle Sezioni Unite di questa Corte (con la sentenza n. 8053 del 2014), per effetto della riforma del 2012, per un verso, è denunciabile in Cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione); per l’altro verso, è stato introdotto nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Orbene, poichè il decreto oggetto del giudizio di legittimità è stata depositato, come riferito in narrativa, in data 9.6.2014, nella fattispecie si applica, ratione temporis, il nuovo testo dell’art. 360, comma 1, n. 5), come sostituito dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito, con modificazioni, nella L. 7 agosto 2012, n. 134, a norma del quale la sentenza può essere impugnata con ricorso per cassazione per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti. Ma nel caso in esame, il motivo di ricorso che denuncia il vizio motivazionale non indica il fatto storico (Cass. n. 21152/2014), con carattere di decisività, che sarebbe stato oggetto di discussione tra le parti e che la Corte di Appello avrebbe omesso di esaminare; nè, tanto meno, fa riferimento, alla stregua della pronunzia delle Sezioni Unite, ad un vizio della sentenza “così radicale da comportare” in linea con “quanto previsto dall’art. 132 c.p.c., n. 4, la nullità della sentenza per mancanza di motivazione”. E, dunque, non potendosi più censurare, dopo la riforma del 2012, la motivazione relativamente al parametro della sufficienza, rimane il controllo di legittimità sulla esistenza e sulla coerenza del percorso motivazionale del giudice di merito (cfr., tra le molte, Cass. n. 25229/2015) che, nella specie, è stato condotto dalla Corte territoriale, come osservato in precedenza, con argomentazioni logico-giuridiche del tutto congrue poste a fondamento della decisione impugnata;

che il ricorso principale va dunque respinto, non risultando le censure sollevate idonee a scalfire le argomentazione della Corte di merito;

che dal rigetto del ricorso principale discende anche quello del ricorso incidentale condizionato;

che, in considerazione della reciproca soccombenza, le spese del presente giudizio possono essere interamente compensate tra le parti; che, avuto riguardo all’esito del giudizio ed alla data di proposizione del ricorso, sussistono i presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, secondo quanto stabilito in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale; compensa tra le parti le spese del giudizio di legittimità.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per il ricorso incidentale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 26 settembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 27 settembre 2019

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