LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –
Dott. CIGNA Mario – Consigliere –
Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –
Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –
Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 10469-2018 proposto da:
P.D., P.F., in proprio e nella qualità di eredi di G.A., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA MONTE ZEBIO 28, presso lo studio dell’avvocato UGO MARIA CILIBERTI, rappresentati e difesi dall’avvocato FRANCESCO MERCADANTE;
– ricorrenti –
contro
MINISTERO DELLA SALUTE;
– intimato –
avverso la sentenza n. 1447/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 06/03/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 11/04/2019 dal Consigliere Relatore Dott. RUBINO LINA.
RILEVATO
che:
1. P.D. e P.F., in proprio e nella qualità di eredi della sig. G.A., hanno proposto ricorso per cassazione contro il Ministero della Salute, avverso la sentenza n. 1447/2018, emessa dalla Corte d’Appello ci Roma il 6.3.2018, con la quale si accoglieva l’appello del Ministero e, in riforma della sentenza di primo grado, si rigettava la domanda di risarcimento dei danni da emotrasfusioni riportati dalla madre a seguito di una trasfusione del 1965, azionata in via ereditaria dai P..
2. La corte d’appello riteneva che il Ministero non potesse essere ritenuto responsabile per il contagio, giacchè in epoca anteriore agli anni ‘70 la conoscenze scientifiche non erano di tale univocità da integrare una prova sufficiente della responsabilità dello stesso rispetto alle emotrasfusioni; in particolare, richiamando anche un precedente di legittimità (Cass. n. 823 del 2015) con il quale era stata riformata una sentenza della stessa corte di appello di Roma, affermava che non si potesse ritenere responsabile il Ministero per i danni da emotrasfusioni in cui il contagio da HCV e HBV si fosse verificato prima del 1978, in quanto solo in quella data era intervenuta l’approvazione del test di identificazione da parte dell’Organizzazione mondiale della sanità.
2. Il Ministero non ha svolto attività difensiva in questa sede.
3. Essendosi ravvisate le condizioni per la trattazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., nel testo modificato dal D.L. n. 168 del 2016, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016, è stata formulata dal relatore designato proposta di definizione del ricorso con declaratoria di manifesta fondatezza dello stesso. Il decreto di fissazione dell’udienza camerale e la proposta sono stati comunicati.
CONSIDERATO
che:
Il Collegio condivide le conclusioni contenute nella proposta del relatore nel senso dell’accoglimento del ricorso.
Come affermato dalla più recente giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 1566 dei 2019; Cass. n. 18520 del 2018), alle cui conclusioni si intende in questa sede dare continuità:
-il Ministero della salute, in base ad una pluralità di fonti normative (per l’elenco esaustivo delle quali, cfr. tra le più recenti, Cass. civ. Sez. III, 13-07-2018, n. 18520), è tenuto ad esercitare un’attività di controllo e di vigilanza in ordine (anche) alla pratica terapeutica della trasfusione del sangue e dell’uso degli emoderivati, e risponde ex art. 2043 c.c., per omessa vigilanza, dei danni conseguenti ad epatite e ad infezione da HIV contratte da soggetti emotrasfusi (v. Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n. 576; Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n. 584. V. altresì, conformemente, Cass., 27/4/2011, n. 9404; Cass., 29/8/2011, n. 17685; Cass., 2371/2014, n. 1355);
– dallo stesso quadro normativo in base al quale risultano attribuiti a Ministero poteri di vigilanza e controllo in materia, si evince come fosse già ben noto sin dalla fine degli anni ‘60 – inizi anni ‘70 il rischio di trasmissione di epatite virale, la rilevazione (indiretta) dei virus essendo possibile già mediante la determinazione delle transaminasi ALT ed il metodo dell’anti-HbcAgin, e che già da tale epoca sussistevano obblighi normativi (E. n. 592 del 1967; D.P.R. n. 1256 del 1971; L. n. 519 dei 1973; L. n. 833 del 1973) in ordine a controlli volti ad impedire la trasmissione di malattie mediante il sangue infetto;
– sin dalla metà degli anni ‘60 erano infatti esclusi dalla possibilità di donare il sangue coloro i cui valori delle transaminasi e delle GPT indicatori della funzionalità epatica – fossero alterati rispetto ai limiti prescritti (cfr. Cass., 20/4/2010, n. 9315);
– il dovere del Ministero della salute di vigilare attentamente sulla preparazione ed utilizzazione del sangue e degli emoderivati postula l’osservanza di un comportamento informato a diligenza particolarmente qualificata, specificamente in relazione all’impiego delle misure necessarie per verificarne la sicurezza, essendo tenuto ad evitare o ridurre i rischi a tali attività connessi (cfr. Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n. 581)
– ancora, si è osservato che la colpa della P. A. rimane integrata anche in ragione della violazione dei dovuti comportamenti di vigilanza e controllo imposti dalle fonti normative più sopra richiamate, costituenti limiti esterni alla sua attività discrezionale ed integranti la norma primaria del neminem laedere di cui all’art. 2043 c.c. (cfr. Cass., 27/4/2011, n. 9404), in base alle quali essa è tenuta ad un comportamento attivo di vigilanza, sicurezza ed attivo controllo in ordine all’effettiva attuazione da parte delle strutture sanitarie addette al servizio di emotrasfusione di quanto ad esse prescritto al fine di prevenire ed impedire la trasmissione di malattie mediante il sangue infetto (cfr. Cass., 28/9/2009, n. 20765;(Cass., 23/5/2011, n. 11301), non potendo invero considerarsi esaustiva delle incombenze alla medesima in materia attribuite la quand’anche assolta mera attività di normazione (emanazione di decreti, circolari, ecc.).
Ne consegue che in caso come nella specie di concretizzazione del rischio che la regola violata tende a prevenire non può prescindersi dalla considerazione del comportamento dovuto e della condotta nel singolo caso in concreto mantenuta, e il nesso di causalità che i danni conseguenti a quest’ultima astringe rimane invero presuntivamente provato (cfr. Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n. 584; Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n. 582. E, conformemente, Cass., 27/4/2011, n. 9404; Cass., 29/8/2011, n. 17685; Cass., 23/1/2014, n. 1355).
Al riguardo, vale ulteriormente osservare, nello specificare che il Ministero della salute risponde “anche per il contagio degli altri due virus” già “a partire dalla data di conoscenza dell’epatite B”, trattandosi non già di “eventi autonomi e diversi” ma solamente di “forme di manifestazioni patogene dello stesso evento lesivo dell’integrità fisica da virus veicolati dal sangue infetto”, le Sezioni Unite non hanno certamente inteso limitare la rilevanza del fenomeno e la relativa responsabilità alla “data di conoscenza dell’epatite B”.
Era stata invero la precedente Cass., 31/5/2005, n. 11609, ad affermare che fino a quando non erano conosciuti dalla scienza medica i virus della HBV, HIV ed HCV, e, quindi i “test” di identificazione degli stessi, cioè, rispettivamente fino al 1978, 1985 e 1988, ritenendosi l’evento infettivo causato da detti virus per effetto di emotrasfusioni e assunzione di prodotti emoderivati inverosimile, doveva ritenersi difettare il nesso causale fra la condotta omissiva del Ministero della Sanità e tale evento e, a maggior ragione, la colpa del Ministero in presenza di evento imprevedibile, non potendo lo stesso Ministero conoscere la capacità infettiva dei detti virus prima ancora della comunità scientifica.
Superando tale impostazione le Sezioni Unite del 2008 hanno per converso sottolineato come si tratti di un “rischio che è antico quanto la necessità delle trasfusioni” (v. Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n. 581), legittimando la conclusione poi ripetutamente ribadita da questa Corte che il Ministero della salute non può non ritenersi tenuto, anche anteriormente alle sopra riportate date indicate da Cass., 31/5/2005, n. 11609, a controllare che il sangue utilizzato per le trasfusioni o per gli emoderivati fosse esente da virus e che i donatori non presentassero alterazione delle transaminasi (v. Cass., 29/8/2011, n. 17685; Cass., 23/1/2014, n. 1355; Cass., 12/12/2014, n. 26152; Cass., 4/2/2016, n. 2232; Cass., 31/10/2017, n. 25989).
Nè al risultato di delimitazione temporale della responsabilità del Ministero può invero altrimenti pervenirsi, come pure da questa Corte a volte sostenuto (v. Cass., 31/1/2013, n. 2250. V. altresì Cass.,19/12/2014, n. 26916; Cass., 22/1/2015, n. 1136), argomentando in particolare dalla verifica se al momento della effettuazione della emotrasfusione individuata come causa della malattia il virus dell’epatite C fosse già conosciuto e qualificato come tale in particolare dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, dovendo altrimenti escludersi “la regolarità causale tra il mancato controllo del Ministero e l’infezione da epatite C per l’emotrasfusione subita”.
Alla suindicata attività di vigilanza e controllo nell’interesse pubblico il Ministero della salute è tenuto in adempimento degli obblighi specifici posti da una pluralità di fonti normative speciali risalenti addirittura al 1958, atteso che già la L. n. 296 del 1958, art. 1 attribuisce al Ministero il compito di provvedere alla tutela della salute pubblica, di sovrintendere ai servizi sanitari svolti dalle amministrazioni autonome dello Stato e dagli enti pubblici, provvedendo anche al relativo coordinamento, nonchè ad emanare, per la tutela della salute pubblica, istruzioni obbligatorie per tutte le amministrazioni pubbliche che provvedono a servizi sanitari (cfr. al riguardo, da ultimo, Cass., 23/1/2014, n. 1355; e già Cass., 29/8/2011, n. 17685; Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n. 581).
A tale stregua, la trasmissione del virus resa possibile dalla condotta colposa di chi tale evenienza era chiamata ad impedire comporta doversi ritenere al medesimo causalmente ascrivibile la malattia che da quel virus si sviluppi, anche in conseguenza della relativa evoluzione o mutazione, tale evento costituendo integrazione del rischio specifico che la regola violata tende(va) ad evitare.
Non può pertanto non ritenersi il Ministero della salute tenuto, anche anteriormente alle sopra riportate date indicate da Cass., 31/5/2005, n. 11609, a controllare che il sangue utilizzato per le trasfusioni o per gli emoderivati fosse esente da virus e che i donatori non presentassero alterazione delle transaminasi, in adempimento di obblighi specifici posti dalle fonti normative speciali più sopra indicate (v. Cass., 29/8/2011, n. 17685; Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n. 581; Cass.,27/4/2011, n. 9404; Cass., 29/8/2011, n. 17685; Cass., 23/1/2014, n. 1355; Cass., 12/12/2014, n. 26152; Cass., 4/2/2016, h. 2232; Cass.,31/10/2017,n. 25989).
Conseguentemente, il ricorso deve essere accolto, con cassazione della sentenza impugnata e rinvio della causa alla Corte di Appello di Roma in diversa composizione che deciderà anche sulle spese del presente giudizio e si atterrà al presente principio di diritto: “In caso di patologie conseguenti ad infezione da virus HBV, HIV e HCV, contratte a seguito di emotrasfusioni o di somministrazione di emoderivati, sussiste la responsabilità del Ministero della salute anche per le trasfusioni eseguite in epoca anteriore alla conoscenza scientifica di tali virus e all’apprestamento dei relativi test identificativi (risalenti, rispettivamente, agli anni 1978, 1985, 1988), atteso che già dalla fine degli anni ‘60 era noto il rischio di trasmissione di epatite virale ed era possibile la rilevazione (indiretta) (Dei virus, che della stessa costituiscono evoluzione o mutazione, mediante gli indicatori della funzionalità epatica, gravando pertanto sul Ministero della salute, in adempimento degli obblighi specifici di vigilanza e controllo posti da una pluralità di fonti normative speciali risalenti già all’anno 1958, l’obbligo di controllare che il sangue utilizzato per le trasfusioni e gli emoderivati fosse esente da virus e che i donatori non presentassero alterazione della transaminasi”.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione anche per le spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di cassazione, il 11 aprile 2019.
Depositato in cancelleria il 27 settembre 2019