Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.24388 del 30/09/2019

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25412/2018 proposto da:

F.L., elettivamente domiciliato in Roma Via Federico Cesi 72 presso lo studio dell’avvocato Sciarrillo Andrea che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato Sgarbi Pietro;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore;

– intimato –

avverso la sentenza n. 1162/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 02/07/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 14/06/2019 dal Consigliere FALABELLA MASSIMO.

FATTI DI CAUSA

1. – E’ impugnata la sentenza della Corte di appello di Ancona, pubblicata il 2 luglio 2018, con cui è stato respinto il gravame proposto da F.L. avverso l’ordinanza pronunciata ex art. 702 ter c.p.c. dal Tribunale di Ancona. La nominata Corte ha giudicato del gravame vertente sul denegato riconoscimento del diritto del richiedente alla protezione sussidiaria e a quella umanitaria.

2. – Il ricorso per cassazione si fonda su un unico, articolato, motivo. Il Ministero dell’interno, intimato, non ha svolto difese.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il ricorrente denuncia: violazione e falsa applicazione della Convenzione di Ginevra 28 luglio 1951, art. 1 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. e), per non essere stato considerato che F. non poteva ricevere protezione dalle autorità del Gambia, che lo ricercavano per un reato di cui era stato accusato falsamente e che era in quel paese severamente punito; violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1 bis, per non avere la Corte di appello ritenuto attendibile il racconto del richiedente e non aver fatto uso dei poteri-doveri officiosi di indagine attivandosi nella ricerca della documentazione reputata necessaria ai fini del decidere; violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 351 del 2007, art. 14, anche in relazione all’art. 3 Cost., per avere la Corte distrettuale omesso ogni riferimento alle fonti nazionali ed internazionali da cui desumere le condizioni socio-politica del paese di provenienza; violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1 bis, per non aver dato atto la sentenza impugnata di una qualsivoglia concreta ed effettiva istruttoria in ordine alla situazione del Gambia e per non aver proceduto al reperimento di documentazione aggiornata al riguardo; violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32 del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, dell’art. 10 Cost., oltre che nullità della sentenza, per non avere la Corte di Ancona verificato le condizioni per il riconoscimento della protezione umanitaria avendo riguardo all’effettiva vulnerabilità dell’istante, al percorso di integrazione dallo stesso avviato in Italia e alla valutazione comparativa che avrebbe dovuto compiersi a tal fine. Nella rubrica del motivo è inoltre denunciato l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti.

2. – Nei termini che si vengono ad esporre il ricorso è fondato.

Occorre premettere che la sentenza impugnata contiene una puntuale affermazione nel senso che la domanda di riconoscimento dello status di rifugiato non era stata reiterata in appello (pag. 5): poichè sul punto non è stato lamentato un error in procedendo vertente su quanto era stato devoluto al giudice del gravame, il tema della spettanza, al richiedente, di tale forma di protezione non può avere ingresso in questa sede.

Quanto riferito dall’istante in ordine alle conseguenze pregiudizievoli che egli subirebbe in caso di rientro in patria assume tuttavia rilievo anche ai fini della protezione sussidiaria.

La Corte di appello ha posto in rilievo la genericità e le incongruenze delle dichiarazioni rese dall’odierno ricorrente con riguardo alla propria vicenda personale: e sotto tale aspetto la sentenza non merita censura. Infatti, la valutazione di non credibilità del racconto costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito il quale deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c); inoltre l’istante ha l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda ex art. 3 cit., comma 5 lett. a), trovando l’attenuazione dell’onere probatorio del richiedente un limite proprio nel dato della genericità delle dichiarazioni dello stesso (cfr. Cass. 30 ottobre 2018, n. 27503). In conseguenza, rettamente la Corte di merito ha conferito rilievo al fatto che le informazioni fornite dall’odierno istante non erano sufficientemente circostanziate: evenienza, questa, che valeva di per sè a rendere inoperante la richiamata disciplina circa l’attenuazione dell’onere probatorio, anche indipendentemente dalla credibilità, comunque negata, del narrato.

Ciò vale, evidentemente, per le ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b): con riguardo ad esse viene infatti in discorso una personalizzazione del rischio oggetto di accertamento (cfr. Cass. 20 marzo 2014, n. 6503; Cass. 20 giugno 2018, n. 16275) che pone al centro dell’indagine la situazione individuale del richiedente. Ciò spiega come nei casi di cui alle lett. a) e b) non vi sia ragione di attivare i poteri di istruzione officiosa se questi siano finalizzati alla verifica di fatti o situazioni di carattere generale che, in ragione della cenericità o non credibilità della narrazione del richiedente, non vi è modo di riferire alla vicenda personale di questo.

Nella fattispecie di cui al citato art. 14, lett. c), invece, la protezione è accordata per il sol fatto che il richiedente provenga da territorio interessato dalla situazione di violenza indiscriminata: situazione in cui il livello del conflitto armato in corso è tale che l’interessato, rientrando in quel paese o in quella regione, correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire la detta minaccia (Corte giust. 17 febbraio 2009, C-465/07, Elgafaji, richiamata da Corte giust. 30 gennaio 2014, CEl285/12, Diakitè; per la giurisprudenza nazionale cfr. pure, di recente: Cass. 13 maggio 2018, n. 13858; Cass. 23 ottobre 2017, n. 25083; Cass. 21 luglio 2017, n. 18130). Come è stato efficacemente rilevato, quando il cittadino straniero che richieda il riconoscimento della protezione internazionale abbia adempiuto all’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto, sorge il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, ed in quali limiti, nel paese straniero di origine dell’istante si registrino fenomeni di violenza indiscriminata, in situazioni di conflitto armato interno o internazionale, che espongano i civili a minaccia grave e individuale alla vita o alla persona, ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), (Cass. 28 giugno 2018, n. 17069).

Nel caso in esame la Corte di appello si è limitata a rilevare che non vi erano indicazioni atte a far ritenere “particolarmente a rischio la situazione del ricorrente in relazione alla generale situazione del paese di provenienza (…) non essendo la situazione colà riscontrata assimilabile ad altri paesi caratterizzati da ben diverse realtà”.

Ora, il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, prevede che ciascuna domanda sia esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, de paesi in cui questi siano transitati, ed elaborate dalla Commissione nazionale. Da tale disposizione si desume – e si desumeva prima ancora che il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 27, comma 1 bis, inserito dal D.L. n. 119 del 2014, art. 5, comma 1, lett. b) quater, convertito in L. n. 146 del 2014, prevedesse esplicitamente l’acquisizione d’ufficio di notizie sulla situazione del paese di origine del richiedente e sulla specifica condizione di questo – che in materia di protezione internazionale il giudice disponga di poteri officiosi di indagine e che allo stesso competa di verificare, sulla scorta delle informazioni richiamate dalla norma, se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica indicata dal ricorrente, astrattamente riconducibile ad una situazione tipizzata di rischio, sia effettivamente sussistente nel paese nel quale dovrebbe essere disposto il rimpatrio: ciò che deve porsi in atto, è, dunque, un accertamento d’ufficio aggiornato al momento della decisione (per tutte: Cass. 28 giugno 2018, n. 17075). L’effettuazione di tale accertamento, proprio in quanto imposto dalla legge, deve essere poi obiettivamente verificabile (dal richiedente, dell’Amministrazione e dallo stesso giudice dell’impugnazione); e ciò implica che il provvedimento reso debba quantomeno dar conto delle fonti informative consultate: indicazione, questa, tanto più necessaria, in quanto consente di affermare (o negare) che l’attività di indagine sia stata condotta sulla base di notizie aggiornate, come il richiamato art. 8, comma 3, per l’appunto, richiede.

In tal senso si è già espressa questa Corte. E’ stato rilevato, in particolare, che al fine di ritenere adempiuto l’onere di cooperare nell’accertare la situazione reale del paese di provenienza mediante l’esercizio di poteri-doveri officiosi d’indagine e di acquisizione documentale in modo che ciascuna domanda venga esaminata alla luce di informazioni aggiornate sul paese di origine del richiedente, il giudice sia tenuto ad indicare specificatamente le fonti in base alle quali abbia svolto l’accertamento richiesto (Cass. 26 aprile 2019, n. 11312; Cass. 17 maggio 2019, n. 13449).

La sentenza della Corte di Ancona, come si è detto, è mancante di alcuna puntuale esplicitazione delle fonti in questione.

Ciò determina la necessità di accogliere, per quanto di ragione, il ricorso proposto.

Le restanti censure vertenti sulla protezione umanitaria restano assorbite.

3. – Cassata, in relazione al profilo indicato, la sentenza impugnata, la causa è rinviata alla Corte di Ancona anche per la decisione sulle spese processuali del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte, accoglie nei sensi di cui in motivazione il ricorso; cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia la causa alla Corte di appello di Ancona, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Prima Sezione Civile, il 14 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2019

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472