Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.24416 del 30/09/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 17700-2018 r.g. proposto da:

J.A.B., rappresentato e difeso, giusta procura speciale apposta in calce al ricorso, dall’Avvocato Alessandro Ferrara, presso il cui studio è elettivamente domiciliato in Roma, Via Barnaba Tortolini n. 30;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro legale rappresentante pro tempore;

– intimato –

avverso il decreto del Tribunale di Roma, depositato in data 21.5.2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 9/9/2019 dal Consigliere Dott. Roberto Amatore.

RILEVATO

CHE:

1. Con il provvedimento impugnato il Tribunale di Roma – decidendo sulle domande di protezione internazionale ed umanitaria avanzate da J.A.B., cittadino del Gambia, dopo il diniego della richiesta protezione da parte della commissione territoriale di Roma – ha rigettato le domande così proposte dal ricorrente.

Il tribunale ha ritenuto non credibile il racconto del richiedente, in relazione alle ragioni che lo avevano indotto ad abbondare il suo paese: il ricorrente ha infatti narrato di essere fuggito dal Gambia per sottrarsi alle minacce degli zii paterni che avevano già ucciso il padre con atti di stregoneria e avevano minacciato di morte anch’egli, qualora non avesse consegnato il denaro ottenuto dalla vendita di alcuni terreni. Il tribunale ha, comunque, evidenziato che la fattispecie allegata dal ricorrente non rientrava nel paradigma applicativo della protezione internazionale, non essendo rintracciabile alcun atto di persecuzione in danno del richiedente e comunque non essendo accoglibile la tutela prevista dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), in ragione della non credibilità del ricorrente. Il tribunale ha, inoltre, evidenziato che in Gambia non sussiste il pericolo di una violenza indiscriminata e che comunque il ricorrente non apparteneva ad alcuna categoria di soggetti a rischio in relazione alla violazione dei diritti civili fondamentali, così rigettando, anche, la domanda di protezione sussidiaria, declinata ai sensi del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c). Il tribunale ha, infine, negato la protezione umanitaria, non riscontrando una condizione di vulnerabilità a carico del ricorrente e non essendo stata dimostrata l’integrazione socio-lavorativa di quest’ultimo.

2. Il decreto, pubblicato il 21.5.2018, è stato impugnato da J.A.B. con ricorso per cassazione, affidato a due motivi.

L’amministrazione intimata non ha svolto difese.

CONSIDERATO

CHE:

1. Con il primo motivo si deduce vizio di violazione e mancata applicazione dell’art. 115 c.p.c. e art. 116 c.p.c., comma 1, e art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Osserva la parte ricorrente come avesse allegato innanzi al tribunale una serie di documenti per dimostrare il livello di integrazione socio-lavorativa del ricorrente e come il tribunale non avesse preso in alcuna considerazione tale produzione documentale, liquidando la domanda di protezione umanitaria come non dimostrata.

2.Con il secondo motivo la parte ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, art. 3, comma 1, 2, 3, 4 e 5 ed D.Lgs. n. 158 del 2009, art. 8, comma 3 e art. 11 in relazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, ed artt. 2,10 e 117 Cost.. Si denuncia come erronea la valutazione giudiziale in ordine al diniego della reclamata protezione umanitaria, senza il necessario approfondimento delle condizioni socio-politiche del paese di provenienza del ricorrente e senza considerare i pericoli denunciati da quest’ultimo nella ipotesi di rimpatrio.

3. Il ricorso è infondato.

3.1 Già il primo motivo non merita accoglimento.

Sul punto giova ricordare in termini generali che, secondo la giurisprudenza espressa da questa Corte, in tema di ricorso per cassazione, la censura concernente la mancata valutazione, nella sentenza impugnata, di una prova documentale offerta investe un errore processuale, da denunciarsi, pertanto, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 e non, invece, inammissibilmente, sotto il profilo del vizio di motivazione di cui al n. 5 medesima disposizione. (Sez. 5, Sentenza n. 12514 del 22/05/2013). Va tuttavia precisato che qualora il ricorrente, in sede di legittimità, denunci l’omessa valutazione di prove, ha l’onere non solo di trascriverne il testo integrale nel ricorso per cassazione, al fine di consentire il vaglio di decisività, ma anche di specificare i punti ritenuti decisivi, risolvendosi, altrimenti, il dedotto vizio di motivazione in una inammissibile richiesta di riesame del contenuto delle deposizioni testimoniali e di verifica dell’esistenza di fatti decisivi sui quali la motivazione è mancata ovvero è stata insufficiente o illogica (Sez. L, Sentenza n. 6023 del 12/03/2009). Ciò posto, osserva la Corte come la parte ricorrente abbia in realtà allegato una serie di documenti attestanti il livello di integrazione socio-lavorativa del richiedente (della cui mancata valutazione giudiziale quest’ultimo si duole, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), tralasciando tuttavia di descriverne la decisività proprio in relazione a quella valutazione comparativa richiesta dalla giurisprudenza di legittimità nell’arresto citato dallo stesso ricorrente (Cass. 4455/2018). Ed invero, se risulta ora necessaria la valutazione del grado di integrazione del richiedente nel paese di accoglienza per meglio valutare la compatibilità del rientro nel paese di provenienza con il rispetto della tutela dei diritti fondamentali dell’individuo nel minimo dello statuto della dignità della persona, allora la mancata allegazione di circostanze idonee a lumeggiare il secondo termine di comparazione ora detto equivale a rendere la dimostrazione del profilo dell’integrazione sociale del richiedete prova non decisiva ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria.

2.3 Il secondo motivo è invece inammissibile.

La censura si compone di una lunga ripetizione di principi normativi e giurisprudenziali regolanti la materia della protezione umanitaria, senza alcun riferimento alla posizione soggettiva del richiedente e si conclude con un’irricevibile richiesta di rivalutazione del merito della decisione.

Ne consegue il rigetto del ricorso.

Nessuna statuizione è dovuta per le spese del presente giudizio di legittimità, stante la mancata difesa dell’amministrazione intimata.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 9 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 30 settembre 2019

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