Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.24489 del 01/10/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. BALESTRIERI Federico – rel. Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 8550-2014 proposto da:

D.D., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI VASCELLARI 55, presso lo studio dell’avvocato PIETRO GERARDI, rappresentato e difeso dall’avvocato DARIO VALENTINO LAURENZA;

– ricorrente –

contro

DIREZIONE PROVINCIALE LAVORO POTENZA, in persona del Direttore pro tempore, domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 247/2013 della CORTE D’APPELLO di POTENZA, depositata il 16/07/2013 R.G.N. 104/2012.

RILEVATO

CHE:

D.D. proponeva appello avverso la sentenza del Tribunale di Melfi n. 228/11 che aveva rigettato la sua opposizione avverso l’ordinanza ingiunzione n. 361/08 emessa a suo carico dalla DPL di Potenza. Esponeva che, incardinato originariamente il processo presso la sezione lavoro della Corte, questa rilevava la competenza della sezione civile, fissando termine per la riassunzione; che essa non avveniva per disguido; che la Corte d’appello (sez. lavoro) emetteva l’8.3.12 ordinanza con cui dichiarava l’estinzione del processo; che tuttavia il diritto di azione non era estinto sicchè l’appello poteva essere reiterato.

Con sentenza depositata il 16.7.13, la Corte d’appello di Potenza, sezione civile, dichiarava inammissibile il gravame, essendo passata in giudicato, a norma dell’art. 338 c.p.c., la sentenza di primo grado.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso il D., affidato a due motivi, cui resiste la DPL con controricorso.

CONSIDERATO

CHE:

Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione della L. n. 689 del 1981, art. 23, comma 2.

Il ricorrente sembra dedurre che la riassunzione doveva avvenire a cura della Cancelleria, ma la tesi è infondata posto che l’art. 23 invocato riguarda il giudizio di opposizione ad ordinanza ingiunzione e non già la riassunzione del processo nel rito civile, applicabile anche al rito del lavoro e previdenza per quanto compatibile (ex aliis, Cass. n. 2366/91).

Con un secondo motivo il ricorrente si duole della erronea interpretazione ed applicazione della legge.

La palese inammissibilità del motivo così formulato esime il Collegio dal valutare la sostanzialmente reiterata doglianza secondo cui spettava all’Ufficio e non alle parti la riassunzione del processo.

Il ricorso deve essere pertanto rigettato.

Le spese di lite seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo risultante dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 29 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 1 ottobre 2019

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