Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.24559 del 02/10/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NAPOLITANO Lucio – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – rel. Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere –

Dott. FRACANZANI Marcello Maria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 21052/2013 R.G. proposto da:

Geo Risorse Gestioni Ecologiche Organizzate di A. e C. s.a.s.

e A.A., in proprio e quale socio, e M.R., in proprio e quale socio accomandatario, tutti rappresentati e difesi, in forza di procura in calce al ricorso, dall’Avv.to Andrea Bodrito e dall’avv.to Francesco d’Ayala Valva, elettivamente domiciliati presso lo studio di quest’ultimo in Roma, via Pompeo Magno n. 2/B;

– Ricorrenti –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa, ex lege, dall’Avvocatura Generale dello Stato, domiciliata in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;

– Controricorrente –

Avverso la decisione n. 03/2012 della Commissione Tributaria Regionale della Liguria, depositata il 25/01/2013 e non notificata.

Udita la relazione del Consigliere Rosita d’Angiolella svolta nella Camera di consiglio del 15 maggio 2019.

RITENUTO

che:

La società, Geo Risorse Gestioni Ecologiche Organizzate di A. e C. s.a.s. (di seguito, per brevità, società Geo) ed i soci, A.A. e M.R., hanno proposto ricorso per Cassazione avverso la sentenza indicata in epigrafe con la quale la Commissione Tributaria Regionale della Liguria (di seguito, CTR), in accoglimento dell’appello dell’Ufficio, riformava parzialmente la decisione della Commissione Tributaria Provinciale di Genova che, a sua volta, aveva accolto il ricorso presentato dalla società e dai soci avverso l’avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle entrate aveva rettificato, in via induttiva e con riferimento ai parametri degli studi di settore ritenuti applicabili alla fattispecie, i ricavi dichiarati per l’anno 2005, riguardanti l’attività di impresa di smaltimento di rifiuti. La CTR, con la sentenza in epigrafe, rideterminava il reddito eliminando dai costi il compenso dei soci amministratori e riducendo di conseguenza il reddito accertato.

I contribuenti ricorrono per Cassazione affidandosi a due motivi.

L’Agenzia delle entrate resiste con controricorso.

Il ricorso è stato fissato all’odierna udienza camerale a seguito di avviso notificato a mezzo PEC con invio telematico perfezionatosi in data 20/03/2019.

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo di ricorso, i ricorrenti deducono la violazione e la falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per non aver la sentenza impugnata considerato che le regole di riparto dell’onere probatorio pongono a carico dell’Ufficio l’onere di provare la plausibile applicabilità dello standard, di cui allo studio di settore, all’impresa contribuente.

2. Con il secondo motivo di gravame, deducono il vizio di omessa esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, costituito dalla rilevanza, ai fini dello studio di settore “*****”, applicato nella specie, della peculiare attività di impresa accertata riguardante lo smaltimento deì rifiuti e non certo le attività di cui al corrispondente studio di settore (quali, intermediazione del commercio di attrezzature sportive, biciclette ed altri prodotti). Peraltro, secondo l’assunto dei ricorrenti, la CTR avrebbe omesso di considerare che l’oggetto delle attività di cui allo studio di settore applicato, non riguarda attività pericolose come, invece, è l’attività svolta dalla società Geo Risorse Gestioni Ecologiche Organizzate di A. e C. s.a.s..

3. Dalla lettura della sentenza in epigrafe emerge che la CTR, dopo aver premesso che “la giurisprudenza della Suprema Corte pone a carico della parte contribuente la prova della sussistenza delle condizioni di esclusione del periodo di tempo cui si riferisce la pretesa”, ha ritenuto che nella fattispecie al suo esame “le cause dello scostamento dalle risultanze degli studi di settore non risultano sufficientemente provate e che tutte le circostanze riportate in atti forniscono, nel loro complesso, la conferma che la rideterminazione del reddito d’impresa, effettuato tenendo conto della stima dei ricavi operata dallo studio di settore, sia pianamente plausibile”. I giudici di secondo grado hanno rilevato un unico errore nel conteggio dell’ufficio – l’aver inserito nei costi il compenso dei soci amministratori, contabilizzato due volte – ed hanno, quindi, ridotto il reddito accertato, eliminando dai costi il compenso dei soci erroneamente contabilizzato.

4. La questione che si pone col primo motivo, attiene al se l’Ufficio abbia assolto il suo corrispondente onere probatorio circa la plausibile applicabilità dello studio di settore sul quale si è basato l’accertamento nei confronti del contribuente.

5. Ritiene il Collegio che tale questione va risolta in senso favorevole al contribuente, anche in considerazione degli esiti della giurisprudenza di questa Corte in materia di accertamento con metodo cd. analitico – induttivo.

6. Senza qui ripercorrere l’evoluzione esegetica del combinato disposto ai sensi del D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 62 sexies e della L. 8 maggio 1998, n. 146, art. 10 – che riconoscono all’Amministrazione finanziaria la possibilità di fondare un accertamento su gravi incongruenze tra quanto dichiarato dal contribuente e quanto, invece, avrebbe dovuto essere dichiarato in relazione alle tipologia dell’attività svolta – è principio consolidato della giurisprudenza di questa Corte quello secondo cui la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante studi di settore costituisce, si, un sistema di presunzioni semplici la cui gravità, precisione e concordanza non è per legge determinata dallo scostamento tra reddito dichiarato e standard, ma si delinea, via via, in base a quanto emerge nel corso del procedimento ed agli elementi di segno contrario offerti dal contribuente, fermo restando che incombe sull’Ufficio l’onere di dimostrare l’applicabilità dello standard prescelto al caso concreto oggetto di accertamento.

7. Di tali principi non fa corretta applicazione la sentenza impugnata, che, erroneamente applicando le regole di riparto dell’onere della prova, non tiene conto che, in primis, incombe all’Ufficio l’onere di dimostrare l’applicabilità dello standard prescelto al caso concreto oggetto di accertamento, poi, soltanto facendo carico al contribuente l’onere di provare, senza limitazioni di mezzi e di contenuto, le circostanze di fatto tali da allontanare la sua attività dal modello normale cui fanno riferimento i parametri o gli studi di settore (Cass. S.U. 18 dicembre 2009, n. 26635; Cass. sez. 5, 20 febbraio 2015, n. 3415; Cass. sez. 5, 13 luglio 2016, n. 14288; Cass. sez. 5, 12 aprile 2017, n. 9484; Cass. sez. 6-5, ord. 24 luglio 2018, n. 19657).

8. Nella specie, la sentenza in epigrafe ha ribaltato sui contribuenti l’onere della prova sulla riferibilità alla fattispecie concreta dello standard prescelto all’attività svolta dalla società per l’anno in oggetto, e ciò, nonostante vi sia stata la contestazione specifica dei contribuenti dell’applicabilità dello studio di settore prescelto sotto due profili: a) il non essere riferibile l’attività di smaltimento di rifiuti, principalmente tossici e speciali, ad alcuna tipologia di studio di settore; b) l’essere comunque l’attività d’intermediazione, cui si riferisce lo studio di settore applicato dall’Amministrazione finanziaria, peraltro non riguardante in sè materiali pericolosi, stata svolta a partire dall’anno in contestazione, 2005, dalla s.r.l. di nuova costituzione.

9. Il primo motivo di ricorso va, dunque, accolto.

10. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile. Il vizio motivazionale denunciato (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012) proprio in quanto è un vizio specifico – relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti ed abbia carattere decisivo nel senso che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia richiede, nel rispetto delle regole di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, ed all’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4, l’indicazione del fatto storico il cui esame sia stato omesso, il “dato” testuale e/o extra testuale da cui esso risulti esistente, il “come” ed il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti per la sua decisività, fermo restando che qualora il fatto storico sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, tale vizio non può ritenersi integrato (cfr. Cass. Sez. U. n. 8053 del 2014). Nulla, di tale specificità, è contenuta nel motivo di ricorso qui all’esame.

11. In accoglimento del primo motivo la sentenza impugnata va cassata con rinvio alla CTR della Liguria che dovrà, in primo luogo, verificare con accertamento di fatto la riferibilità in concreto all’attività dello standard prescelto secondo l’onere della prova sul punto gravante all’Amministrazione, così come indicato ai paragrafi che precedono.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto con rinvio alla CTR della Liguria, in diversa composizione, anche per le spese relative al presente giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 15 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 2 ottobre 2019

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