LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –
Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –
Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –
Dott. D’AQUINO Filippo – rel. Consigliere –
Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 13388/2016 R.G. proposto da:
CAD TERGESTE SRL (C.F. *****), in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall’Avv. Prof.
ENZIO VOLLI, dall’Avv. PAOLO VOLLI e dall’Avv. STEFANO COEN, elettivamente domiciliato presso quest’ultimo in Roma, Piazza di Priscilla, 4;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI (C.F. *****), in persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Friuli Venezia Giulia n. 440/10/2015, depositata il 24 novembre 2015.
Udita la relazione svolta nella Camera di consiglio del 17 aprile 2019 dal Consigliere Filippo D’Aquino.
RILEVATO
che:
A seguito di controllo a posteriori innescato da rapporto OLAF relativo a bolletta di importazione del 30.08.2010, sottoscritta da CAD TERGESTE SRL quale rappresentante indiretto (relativa a importazione di silicio metallico introdotto in regime di deposito IVA), l’Ufficio delle Dogane di Trieste ha emesso avviso di accertamento suppletivo e di rettifica con il quale ha ritenuto che la merce importata, dichiarata di origine taiwanese, era invece di origine cinese per non avere subito luna lavorazione ulteriore tale da far accrescerne il valore almeno del 35%, con conseguente declaratoria di falsità del certificato di origine, applicazione del dazio antidumping, oltre sanzioni e sottoposizione a IVA;
che la contribuente ha impugnato l’avviso di accertamento, contestando la violazione del diritto al contraddittorio, nonchè la mancata detrazione del dazio ad valorem già corrisposto, l’avvenuta lavorazione in misura superiore al valore della merce e la contraddittorietà dell’accertamento OLAF e l’assoggettamento a IVA per il solo fatto dell’accertamento della irregolarità della importazione;
che la CTP di Trieste ha rigettato il ricorso e la CTR del Friuli Venezia Giulia, con sentenza in data 24 novembre 2015, ha rigettato l’appello, affermando:
– che nel procedimento tributario non trova applicazione il diritto di accesso di cui alla L. 7 agosto 1990, n. 241, artt. 13 e 24, trovando applicazione la disciplina del contraddittorio di cui alla L. 27 luglio 2000, n. 212 e di cui al D.Lgs. 8 novembre 1990, n. 374, art. 11 e che, in ogni caso, il diritto di accesso non spetta in relazione ai documenti di cooperazione internazionale in materia investigativa, coperti in sede amministrativa dal segreto di ufficio;
– che le risultanze dell’avviso di accertamento sono basate su un rapporto OLAF, che ha piena valenza probatoria e che la contribuente non ha fornito la prova che le lavorazioni effettuate a Taiwan sul silicio superassero la soglia a partire dalla quale il silicio di origine cinese avrebbe potuto acquisire provenienza taiwanese;
– che sussiste la legittimazione passiva dello spedizioniere in quanto dichiarante a termini del Reg. (CEE) 12 ottobre 1992, n. 2913, art. 201, punto 3, (CDC) e responsabile solidale;
– che sussiste l’obbligo di versare l’IVA quale merce irregolarmente importata, posto che l’introduzione nel deposito fiscale IVA a termini del D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 50 – bis (con conseguente obbligo del pagamento dell’IVA all’atto della fuoriuscita dal deposito) è avvenuto sulla base di un certificato di origine rivelatosi falso;
che propone ricorso per cassazione la contribuente con cinque motivi, cui resiste con controricorso l’Agenzia delle Dogane.
CONSIDERATO
Che:
con il primo motivo la ricorrente deduce violazione di legge in relazione alla L. n. 241 del 1990, artt. 13 – 24, nella parte in cui è stata esclusa l’applicazione delle suddette disposizioni normative, laddove il diritto di accesso sarebbe indispensabile per ottenere copia della documentazione finalizzata a consentire osservazioni;
che con il secondo motivo si deduce violazione di legge, pur senza fare il ricorrente menzione di espresse disposizioni di legge (le quali vanno rinvenute nell’art. 2697 c.c., indicato nel corpo del motivo) e omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione, per avere la sentenza di appello ritenuto probanti le risultanze del rapporto OLAF, il quale non avrebbe compiuto indagini di fatto ma mere valutazioni;
che con il terzo motivo si deduce violazione di legge in relazione all’art. 1292 c.c. e ss. ed error in procedendo per avere la sentenza impugnata ritenuto che la responsabilità del rappresentante indiretto sia solidale nonchè una responsabilità propria dello spedizioniere;
che con il quarto motivo denuncia violazione di legge (senza fare espressa menzione delle disposizioni violate) e vizio di motivazione, ritenendo erronea l’equiparazione tra la merce non introdotta fisicamente nei depositi IVA e il caso di specie, rilevando il ricorrente che nel caso di specie non si fa questione di inserimento reale o virtuale nel deposito IVA ma di indebita emissione di un certificato di origine; rileva come una “ormai superata giurisprudenza consentiva una duplice imposizione, ancorchè l’Iva all’importazione secondo la più recente pronuncia deve essere considerata una Iva interna”;
che con il quinto motivo si deducono violazione di legge in relazione all’art. 1292 c.c. e ss. ed all’art. 1703 c.c. e ss. oltre che vizio di motivazione per avere la sentenza impugnata ritenuto responsabile lo spedizioniere doganale senza fare applicazione del principio della diligenza professionale;
che il primo motivo di ricorso è inammissibile, perchè non riguarda la ratio decidendi della sentenza impugnata, che ha motivato l’esclusione del diritto al contraddittorio sia sulla sussistenza dello ius speciale di cui alla L. n. 374 del 1990, art. 11, sia sulla sussistenza di limitazioni al diritto di accesso in relazione ad atti istruttori coperti da segreto o comunque riservati;
che il secondo motivo di ricorso è infondato quanto alla dedotta violazione di legge, in quanto gli accertamenti compiuti dall’OLAF ai sensi del Reg. (CE) del 25 maggio 1999, n. 1073, hanno, per costante giurisprudenza di questa Corte, piena valenza probatoria nei procedimenti amministrativi e giudiziari, spettando al contribuente che ne contesti il fondamento fornire la prova contraria (Cass., Sez. V, 21 aprile 2017, n. 10118; Cass., Sez. V, 3 agosto 2012, n. 14036; Cass., Sez. V, 27 luglio 2012, n. 13496; Cass., Sez. V, 2 marzo 2009, n. 4997; Cass., Sez. V, 24 settembre 2008, n. 23985), nonchè inammissibile quanto alla dedotta violazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, sia in quanto carente dei requisiti previsti dalla norma attualmente vigente, sia in quanto volta a una inammissibile revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito (Cass., Sez. I, 5 agosto 2016, n. 16526 del 05/08/2016; Cass., Sez. VI, 7 gennaio 2014, n. 91), ossia a una nuova pronuncia sul fatto (Cass., Sez. Lav., 20 aprile 2006, n. 9233), non essendo questa Corte giudice del fatto in senso sostanziale (Cass., Sez. V, 28 novembre 2014, n. 25332);
che il terzo motivo e il quinto motivo, da valutare congiuntamente, sono infondati in punto violazione di legge, posto che dei diritti di confine risponde non solo l’importatore ma anche e in via solidale il suo rappresentante indiretto quale dichiarante in dogana (Cass., Sez. V, 27 marzo 2013, n. 7720; Cass., Sez. V, 23 aprile 2010, n. 9773), nonchè inammissibili in relazione agli altri profili, essendosi il giudice di appello diffusamente soffermato sui presupposti in fatto che comportano la responsabilità del rappresentante indiretto, anche alla luce della giurisprudenza unionale in materia di importazione di blocchi di silicio;
che il quarto motivo è, invece, fondato quanto all’obbligo di corresponsione dell’IVA relativa alla merce introdotta nel deposito IVA, sulla base del principio secondo cui, poichè l’IVA all’importazione ha la medesima natura di quella interna, nell’ipotesi di falsità dei certificati di origine delle merci importate inserite in un deposito IVA, la perdita dell’esenzione daziaria conseguente all’accertamento di detta falsità non implica necessariamente anche quella dell’IVA all’importazione, ove assolta secondo il modulo della inversione contabile all’atto dell’estrazione delle merci dal deposito IVA (Cass., Sez. V, 14 febbraio 2019, n. 4384);
che a questo principio deve darsi continuità, posto che il solo fatto della irregolarità dei certificati di origine non può costituire presupposto di nuova esazione dell’IVA, sub specie di IVA all’importazione, appunto trattandosi della medesima imposta, perchè opinando diversamente si realizzerebbe un evento di doppia imposizione ovvero, più propriamente, di tipo sanzionatorio, di per sè estraneo al sistema dell’imposta sul valore aggiunto e sicuramente contrario al principio di neutralità, quale fermamente ribadito dalla Corte UE (Corte di Giustizia, 17 luglio 2014, C272/13, Equoland, punti punti 41 – 49);
che va, pertanto, riaffermato il principio secondo cui in caso di falsità dei certificati di origine delle merci importate ed inserite in un deposito IVA, la perdita dell’esenzione daziaria conseguente all’accertamento di detta falsità non implica necessariamente anche quella dell’IVA all’importazione, qualora tale imposta venga assolta secondo il modulo dell’inversione contabile all’atto dell’estrazione delle merci dal deposito IVA;
che la sentenza va, pertanto, cassata in relazione a tale aspetto, con rinvio alla CTR del Friuli Venezia Giulia in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte, rigetta il primo, il secondo, il terzo e il quinto motivo di ricorso, accoglie il quarto motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione al suddetto motivo e rinvia la causa alla CTR del Friuli Venezia Giulia, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, nell’adunanza camerale, il 17 aprile 2019.
Depositato in Cancelleria il 3 ottobre 2019