LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANNA Antonio – Presidente –
Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –
Dott. D’ANTONIO Enrica – rel. Consigliere –
Dott. GHINOY Paola – Consigliere –
Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 11416/2016 proposto da:
F.R., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA R. VENUTI 30, presso lo studio dell’avvocato SILVIA CRETELLA, rappresentata e difesa dall’avvocato MARIO CRETELLA;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’ISTRUZIONE, DELL’UNIVERSITA’ E DELLA RICERCA, C.F.
*****, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia in ROMA, ALLA VIA DEI PORTOGHESI 12;
– resistente con mandato –
avverso la sentenza n. 1122/2015 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata il 27/10/2015 R.G.N. 91/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/06/2019 dal Consigliere Dott. ENRICA D’ANTONIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato MARIO CRETELLA.
FATTI DI CAUSA
1. La Corte d’appello di Salerno, in riforma della sentenza del Tribunale di Nocera Inferiore, ha rigettato la domanda di F.R., dipendente del Ministero dell’Istruzione, volta ad ottenere il rimborso della trattenuta previdenziale obbligatoria del 2,5%, prevista dalla L. n. 152 del 1968, art. 11, e dal D.P.R. n. 1032 del 1973, art. 37, illegittimamente operata dal datore di lavoro sull’80% della retribuzione.
La Corte ha esposto che la ricorrente aveva optato volontariamente, in quanto dipendente pubblica, per il regime del TFR in luogo del TFS e che,dunque,alla stessa non era applicabile il ripristino del previgente sistema del TFS e le vicende abrogative del D.L. n. 78 del 2010, art. 12, comma 10, conv in L. n. 122 del 2010, comma 98, della L 228/2012. La Corte ha, quindi, rilevato, che, essendo alla stessa applicabile il regime del TFR,la trattenuta era stata espressamente esclusa.
Ha, quindi, osservato che la ricorrente contestava in realtà, non tanto la trattenuta di fatto non operata, quanto il diverso regime retributivo alla quale era sottoposta, in particolare, previsto dalla L. n. 335 del 1995, dalla L. n. 448 del 1998, e dall’accordo quadro nazionale del 29/7/1999 e dal D.P.C.M. 20/12/1999; che dette fonti avevano disposto la soppressione della trattenuta del 2,5% ed introdotto un meccanismo contabile basato sulla riduzione della retribuzione lorda accompagnata da misure di recupero tali da garantire invarianza della retribuzione netta e di quella utile a fini previdenziali.
La Corte territoriale ha esposto che tale regime era legittimo in quanto con riferimento ai lavoratori assunti dopo il 31/12/2000, come la ricorrente, non poteva comportare una modifica peggiorativa del trattamento goduto e tantomeno la riduzione della retribuzione; che era legittimo anche per coloro che avevano optato per il TFR trattandosi di scelta volontaria; che inoltre, il predetto meccanismo di calcolo era stato ritenuto legittimo dalla Corte Cost. con sentenza n. 244/2014; che del resto,ove non operasse l’invarianza della retribuzione complessiva,si avrebbe una sostanziale disparità di trattamento retributivo tra i dipendenti pubblici rimasti con il TFS, in contrasto con il principio di uniformità del trattamento retributivo.
Ha osservato, infine, che la ricorrente non poteva dolersi della disparità di trattamento nei confronti dei dipendenti privati in quanto la contrattualizzazione dell’impiego pubblico aveva costituito solo un avvicinamento tra le discipline rimaste sotto molti profili distinte.
2. Avverso la sentenza ricorre la F.. Resiste il Ministero.
RAGIONI DELLA DECISIONE
3. La ricorrente solleva in via pregiudiziale questione di legittimità costituzionale della L. n. 448 del 1998, art. 26, comma 19, per violazione degli artt. 3 e 36 Cost.. Deduce che il richiamato art. 26, ed il D.P.C.M. del 20/12/1999 di attuazione della citata norma, confliggono con gli art. 3 e 36 Cost., nella parte in cui sanciscono invarianza di retribuzione complessiva netta e di quella utile ai fini pensionistici ” del personale pubblico dipendente transitato dal regime di TFS a quello di TFR.
Secondo la ricorrente il meccanismo non è rispettoso del principio di parità tra pubblici dipendenti: per il dipendente pubblico con TFR,alla riduzione dello stipendio,non corrisponde alcun incremento del TFR, mentre per il dipendente con TFS il contributo determina un trattamento più favorevole.
4. Con il secondo motivo denuncia violazione dell’art. 437 c.p.c., comma 2, in combinato disposto all’art. 112 c.p.c.. Rileva che nel costituirsi il Ministero aveva eccepito soltanto l’estinzione del giudizio e che,solo in appello,aveva opposto la legittimità del trattamento retributivo e,dunque, si era formato il giudicato circa l’illegittimità del trattamento retributivo applicato alla ricorrente.
5. Con il terzo motivo denuncia violazione degli artt. 3 e 36 Cost., e dell’art. 2120 c.c..
Osserva che la Corte territoriale avrebbe dovuto – in una interpretazione costituzionalmente orientata – disapplicare il D.P.C.M. del 20/12/1999, palesemente contrario ai principi dettati dagli artt. 3 e 36 Cost., e recante una normativa identica ad altra (D.L. n. 78 del 2010 art. 12, comma 10),già dichiarata incostituzionale con sentenza n. 223/2012, e ritenere invece applicabile al caso di specie – in un contesto di pubblico impiego privatizzato – l’art. 2110 c.c., con cui pure la richiamata illegittima normativa regolamentare si pone in contrasto.
6. Il ricorso non è fondato.
Con riguardo al secondo motivo, da esaminarsi per primo in quanto logicamente preliminare, basta qui ribadire che il giudice ha il potere-dovere di qualificare giuridicamente i fatti posti a base della domanda o delle eccezioni e di individuare le norme di diritto conseguentemente applicabili, anche in difformità rispetto alle indicazioni delle parti, incorrendo nella violazione del divieto di ultrapetizione soltanto ove sostituisca la domanda proposta con una diversa, modificandone i fatti costitutivi o fondandosi su una realtà fattuale non dedotta e allegata in giudizio dalle parti (Cass. n. 13945 del 03/08/2012, n. 5153 del 21/02/2019). Correttamente quindi la Corte d’appello ha sottoposto al proprio vaglio la correttezza della soluzione adottata dal Tribunale, a ciò investita dall’appello del MIUR che la contestava, senza che tale facoltà fosse preclusa al Ministero dalle difese in diritto assunte in primo grado.
7. La problematica posta con gli altri due emotivi è stata esaminata dalla Corte Costituzionale nella sentenza n. 213 del 22/11/2018, che ha ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale della L. 23 dicembre 1998, n. 448, art. 26, comma 19, per violazione degli artt. 3 e 36 Cost., nella parte in cui, nel disciplinare il passaggio dei lavoratori alle dipendenze delle PP.AA. dal trattamento di fine servizio al trattamento di fine rapporto, ha demandato a un D.P.C.M. il compito di definire, ferma restando l’invarianza della retribuzione complessiva netta e di quella utile ai fini pensionistici, gli adeguamenti della struttura retributiva e contributiva conseguenti all’applicazione del trattamento di fine rapporto. La Consulta ha argomentato che il principio dell’invarianza della retribuzione netta, con i meccanismi perequativi tratteggiati in sede negoziale, mira proprio a garantire la parità di trattamento, nell’ambito di un disegno graduale di armonizzazione, e non contrasta, pertanto, con il principio di eguaglianza, nè determina la violazione del diritto a una retribuzione sufficiente e proporzionata alla quantità e alla qualità del lavoro prestato, in ragione del trattamento complessivo previsto e non già della ponderazione di una sua singola componente.
8. Segue coerente il rigetto del ricorso.
Le spese, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.
Sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 1.200,00 per compensi professionali, oltre ad Euro 200,00 per esborsi, oltre 15% per spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi del D.Lgs. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 13 giugno 2019.
Depositato in Cancelleria il 11 ottobre 2019