Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.26113 del 16/10/2019

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRECO Antonio – Presidente –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – rel. Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18988-2018 proposto da:

MARROCCO SRL, in persona dell’amministratore unico pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, P.ZZA S. ANDREA DELLA VALLE, 3, presso lo studio dell’avvocato VALENTINA ANTONETTI, rappresentata e difesa dall’avvocato ENRICO DEL MONTE;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, C.F. *****, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7911/19/2017 della COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE del LAZIO, SEZIONE DISTACCATA di LATINA, depositata il 20/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 15/05/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO FRANCESCO ESPOSITO.

RILEVATO

che:

Con sentenza in data 20 dicembre 2017 la Commissione tributaria regionale del Lazio, sezione distaccata di Latina, accoglieva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la decisione della Commissione tributaria di Latina che aveva accolto il ricorso proposto dalla Marrocco s.r.l. contro l’avviso di accertamento con il quale, a seguito di processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza, venivano recuperate a tassazione IVA, IRAP ed IRES in relazione alla omessa contabilizzazione di acquisti intracomunitari nell’anno 2010, con conseguente presunzione di successiva vendita in nero. Posto che l’accoglimento del ricorso in primo grado era basato sulla esistenza di una denuncia querela con la quale la società contribuente rappresentava di essere stata vittima di una truffa operata in suo danno da fornitori comunitari, la CTR perveniva all’accoglimento dell’appello osservando, in particolare, che, nella specie, mancava un accertamento, sia pure non definitivo, in relazione alla denuncia querela presentata dalla contribuente, mentre gli elementi evidenziati dalla Guardia di Finanza nel p.v.c. dimostravano che gli acquisti erano stati realmente effettuati dalla società.

Avverso la suddetta pronuncia, con atto del 20 giugno 2018, la società contribuente ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un motivo.

Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Sulla proposta del relatore ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c. risulta regolarmente costituito il contraddittorio camerale.

CONSIDERATO

che:

Con l’unico motivo dedotto la società ricorrente – denunciando “violazione art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti” lamenta che la CTR abbia trascurato la circostanza, ricavabile dalla produzione documentale (documenti di trasporto privi di firma per accettazione e/o consegna riferibile alla società, fatture saldate dalla ditta Koch) allegata alla denuncia querela presentata dalla contribuente, dalla quale si evinceva la mancata consegna della fornitura oggetto di accertamento.

Il ricorso è infondato.

Secondo l’insegnamento dalle Sezioni Unite (sent. n. 8053 del 2014), “La riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 10, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012 n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione; pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali; tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione”; “L’art. 360 c.p.c., comma 10, n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciabile per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia); ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni dell’art. 366 c.p.c., comma 10, n. 6, e dell’art. 369 c.p.c., comma 20, n. 4, il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie”.

Alla stregua dei principi di diritto sopra richiamati la sentenza impugnata si rivela immune da censure, posto che la CTR ha preso considerazione la denuncia querela presentata dalla società, rilevando, in merito ai fatti ivi rappresentati sulla scorta della documentazione allegata, per un verso, che alla stessa non era seguito alcun accertamento definitivo e, per altro verso, che “le indagini effettuate dalla G. di Finanza hanno riscontrato una difformità tra i modelli Intrastat 2 e 2 bis presentati dalla società e le comunicazioni relative alle cessioni comunitarie acquisite e hanno dimostrato che gli acquisti sono stati effettuati tramite due fornitori austriaci e tedeschi. Dalle predette indagini è emerso anche l’esistenza delle fatture e dei documenti di trasporto relativi alle operazioni di acquisto”. Il giudice di appello, in definitiva, ha attributo, con valutazione di merito ad esso riservata, valenza probatoria decisiva alle risultanze degli accertamenti compiuti dalla Guardia di Finanza rispetto agli elementi dedotti dalla contribuente nella denuncia querela e nella documentazione ad essa allegata, non essendo tenuto a dare conto di tutte le risultanze acquisite al processo.

Il ricorso va dunque rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore dell’Agenzia delle entrate, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.100,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 15 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2019

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472