LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –
Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –
Dott. CARRATO Aldo – rel. Consigliere –
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –
Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 14846-2018 proposto da:
B.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato GIACOMO MANCINI;
– ricorrente-
contro
ISMEA – ISTITUTO di SERVIZI per il MERCATO AGRICOLO ALIMENTARE – ENTE di DIRITTO PUBBLICO ECONOMICO, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, V.LE PARIOLI 79/14, presso lo studio dell’avvocato MICHELE LOBIANCO, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 6894/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 30/10/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 16/5/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ALDO CARRATO.
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
Il Tribunale di Roma, con sentenza n. 216/2011, dichiarava risolto il contratto di compravendita (con patto di riservato dominio ed avente ad oggetto un fondo rustico sito nel Comune di Ascianola) intercorso tra l’ISMEA e B.G., condannando quest’ultimo al rilascio del fondo oltre che al pagamento delle spese giudiziali.
Decidendo sull’appello del convenuto soccombente e nella costituzione dell’appellato Istituto ISMEA, la Corte di appello di Roma, con sentenza n. 6894/2017 (depositata il 30 ottobre 2017), rigettava il gravame, condannando l’appellante alla rifusione delle spese del grado.
A fondamento dell’adottata decisione la Corte laziale – oltre a ravvisare l’inammissibilità delle (ritenute) nuove eccezioni, proposte dall’appellante, attinenti alla dedotta mancata contabilizzazione di appositi versamenti in favore dell’Istituito venditore (sulla base dei quali avrebbe dovuto essere escluso l’inadempimento della stessa), nonchè della produzione di nuovi documenti ad opera del B., peraltro non indispensabili – rilevava che il gravame era comunque infondato nel merito poichè, ove anche si fossero volute considerare le risultanze desumibili dai documenti allegati in appello, l’importo dei versamenti dagli stessi evincibile non era idoneo a sanare la morosità maturata nè a ridurre quella residuale al momento della proposizione del giudizio.
Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione il B.G., affidato ad un unico motivo, al quale ha resistito con controricorso Con la formulata censura il ricorrente ha denunciato la violazione e falsa applicazione dell’art. 345 c.p.c., comma 3, avuto riguardo alla ritenuta inammissibilità – con l’impugnata sentenza – dei nuovi (come sopra indicati) documenti siccome decisivi ai fini dell’esito della causa, anche sulla base del principio affermato dalle Sezioni unite di questa Corte con la sentenza n. 10790/2017.
Su proposta del relatore, il quale riteneva che il motivo del ricorso potesse essere ritenuto inammissibile, con la conseguente definibilità nelle forme dell’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 1), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio. Ritiene il collegio che effettivamente ricorrono le condizioni per pervenire alla dichiarazione di inammissibilità della formulata censura. E’, infatti, risolutivo osservare al riguardo che – al di là della ritenuta inammissibilità delle nuove eccezioni e dei documenti prodotti per la prima volta in secondo grado – la Corte territoriale ha rilevato che, ove anche fossero stati ammissibili tali eccezioni e documenti, l’eventuale sussistenza delle ulteriori circostanze dedotte e la valutazione del contenuto dei documenti prodotti non avrebbero condotto ad un esito di accoglimento nel merito della proposta impugnazione, posto che era comunque rimasto comprovato l’inadempimento del B., compiendo, a tal proposito, una specifica valutazione di merito sulla scorta delle complessive risultanze acquisite (anche di quelle emergenti dai nuovi documenti prodotti in appello).
Pertanto, il giudice di appello ha deciso sul gravame proposto dal B. ponendo riferimento – nella motivazione dell’impugnata sentenza – a due autonome “rationes decidendi”, l’una riferita al richiamato aspetto processuale e l’altra relativa propriamente al merito della causa. Questa seconda “ratio” non risulta attinta dal ricorso per cassazione, ragion per cui essa è idonea a sorreggere la sentenza di appello, con la conseguente inammissibilità dello stesso formulato ricorso.
Costituisce, infatti, principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte (cfr., tra le tante, Cass. n. 22753/2011 e n. 18641/2017) l’affermazione secondo cui, ove la sentenza sia sorretta da una pluralità di ragioni, distinte ed autonome, ciascuna delle quali giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, l’omessa impugnazione di una di esse rende inammissibile, per difetto di interesse, la censura relativa alle altre, la quale, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, non potrebbe produrre in nessun caso l’annullamento della sentenza.
Alla stregua delle argomentazioni svolte consegue, quindi, la dichiarazione di inammissibilità del ricorso, con la derivante condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nei sensi di cui in dispositivo.
Sussistono, altresì, le condizioni per dare atto – ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 1, comma 17, che ha aggiunto il comma 1- quater al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13 – dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione integralmente rigettata.
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, liquidate in complessivi Euro 6.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre contributo forfettario nella misura del 15%, iva e cap come per legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI-2 Sezione civile della Corte di cassazione, il 16 maggio 2019.
Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2019