Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.26304 del 17/10/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 4071-2017 proposto da:

B.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA MONTE ACERO 2-A, presso lo studio dell’avvocato GINO BAZZANI, rappresentato e difeso dagli avvocati PASQUALINO PAVONE, FRANCESCO ZEFELIPPO;

– ricorrente –

contro

*****, in persona del Direttore Generale Dott. P.R., UNIPOSAI ASSICURAZIONI SPA in persona del Dott. F.E.

procuratore speciale, elettivamente domiciliati in ROMA, VIA SABOTINO 46, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO FERRONI, che li rappresenta e difende;

GENERALI ITALIA SPA, in persona dei Sigg.ri C.P. e PO.MA. procuratori speciali, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VALADIER 43, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI ROMANO, rappresentata e difesa dall’avvocato VINCENZO LA BROCCA;

– controricorrenti –

e contro

NAVALE ASS SPA, *****;

– intimati –

avverso la sentenza n. 122/2016 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 12/01/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 02/07/2019 dal Consigliere Dott. PAOLO PORRECA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PEPE ALESSANDRO, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato FRANCESCO ZEFELIPPO;

udito l’Avvocato ROSANNA SERAFINI per delega per *****;

udito l’Avvocato VINCENZO BROCCA;

udito l’Avvocato ROSANNA SERAFINI per delega orale per Unipolsai.

FATTI DI CAUSA

B.G., nel 2001, conveniva in giudizio l'*****, il dottore Be.Pa., che a sua volta chiamava in garanzia la Meie Aurora Assicurazioni s.p.a. poi UGF Assicurazioni s.p.a., il dottore Be.Gi.Ma., che chiamava in garanzia la Navale Assicurazioni s.p.a., il dottore S.S., il dottore Pu.Do., la Navale Assicurazioni poi UnipolSai Assicurazioni s.p.a., nonchè l'*****, che chiamava in garanzia Ina Assitalia s.p.a. poi Generali Italia s.p.a., e il dottore V.P., esponendo che:

– era stato ricoverato, nell'*****, presso l’ospedale beneventano per patologie diagnosticate come embolia e trombosi arteriose dell’aorta addominale e delle arterie degli arti, con infarto miocardico pregresso;

– dopo i primi trattamenti sanitari era stato trasferito presso l’ospedale salernitano, dove, nonostante gli interventi terapeutici posti in essere, subiva, alcuni giorni dopo, l’amputazione urgente dell’arto inferiore sinistro;

-dopo essere stato dimesso, era stato costretto a un nuovo ricovero, nel *****, cui seguiva l’amputazione dell’avampiede destro. Ciò posto, chiedeva il risarcimento dei danni anche non patrimoniali, causati dalla colposa responsabilità dei convenuti.

Il Tribunale condannava l’Azienda ospedaliera di Salerno, in solido con Ina Assitalia, al risarcimento dei quantificati danni in favore del B., accertando che:

– sussisteva una negligenza dei sanitari dell’ospedale di Benevento per il ritardo nella diagnosi e il “deficit” organizzativo riferibile ai vari specialisti;

– sussistevano negligenza e imperizia grave dei sanitari dell’ospedale di Salerno per non aver effettuato un’opportuna e tempestiva disostruzione chirurgica dei vasi;

– alcuna responsabilità poteva ascriversi ai sanitari dell’ospedale beneventano, Be.Pa., Be.Gi.Ma. e S., per difetto d’incidenza causale della condotta colposa in quanto, al momento del ricovero a Salerno, l’evento dannoso era ancora evitabile;

alcuna responsabilità era ascrivibile, tra i sanitari dell’ospedale salernitano, al dottor V., che non aveva avuto un ruolo nella vicenda poichè in ferie.

La Corte di appello, investita dal gravame di B. e di quelli incidentali della società assicuratrice Generali, dell’Azienda ospedaliera di Salerno, nonchè sulle sole spese di Be.Gi.Ma. Pu. e V., riformava parzialmente la sentenza di primo grado statuendo in particolare, per quanto qui ancora rileva, che:

– per Be.Pa., S., Be.Gi.Ma., Pu. e V., non vi era stata impugnazione sull’accertamento della loro mancanza di responsabilità, con conseguente giudicato sul punto;

– la censura sull’insufficienza della liquidazione del danno da riduzione della capacità lavorativa specifica era infondata, perchè non era stata provata la contrazione reddituale prospettata in relazione all’attività, dell’attore, di libero professionista veterinario nonchè imprenditore agricolo, anzi emergendo un notevole incremento del lavoro dipendente, sempre quale veterinario, tale da compensare e superare il pregresso reddito complessivo, così come non era stato provato un ulteriore danno futuro e non si era tenuto conto del vantaggio implicito nella liquidazione anticipata effettuata al riguardo dal giudice di prime cure;

– le censure sul danno alla persona erano fondate poichè erano state immotivatamente applicate le tabelle in uso presso il locale Tribunale invece che quelle più diffuse milanesi;

– il danno biologico ed esistenziale doveva liquidarsi seguendo tale parametro tendenzialmente onnicomprensivo, con personalizzazione del 25% in relazione all’incidenza sulla vita di relazione;

-andava riconosciuta, in coerenza con l’elaborato peritale officioso, una concorrente responsabilità dell’Azienda sanitaria di Benevento, pari al 5%.

Avverso questa decisione ricorre per cassazione B.G. formulando tre motivi e depositando memoria.

Resistono con controricorso e propongono ricorso incidentale indicato come condizionato, contenente un motivo, l'***** e la UnipolSai Assicurazioni s.p.a., già Navale Assicurazioni. Tale parte, depositando memoria, ha altresì fatto istanza di ricostruzione del fascicolo di primo e secondo grado non rinvenuti dalla Cancelleria della Corte di appello.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo del ricorso principale si prospetta la violazione degli artt. 1223,2043,2056,2059, c.c., in uno all’omesso esame di fatto decisivo e discusso, poichè la Corte di appello avrebbe errato mancando di apprezzare tutte le risultanze istruttorie, e in particolare omettendo di considerare che il danno futuro era stato insufficientemente liquidato senza tener conto sia del fatto che l’attività libero professionale era stata sostituita da quella dipendente, presuntivamente meno redditizia, mentre quella imprenditoriale non era stata surrogata affatto, sia del fatto costituito dall’elevata proiezione futura dei guadagni derivanti dalle pregresse attività rispetto a quella dipendente di tipo prevalentemente amministrativo.

Con il secondo motivo del ricorso principale si prospetta la violazione degli artt. 1226 e 2056 c.c., artt. 3 e 32 Cost., e il vizio di motivazione, poichè la Corte di appello avrebbe errato non dando una valutazione autonoma del danno esistenziale alla vita di relazione e del danno morale da sofferenza, non suscettibile di liquidazione, in casi di eccezionale gravità come quello in discussione, con una valutazione meramente tabellare, laddove, anche in una cornice di apprezzamento unitario del danno non patrimoniale, avrebbe dovuto procedersi a una marcata personalizzazione, omessa senza offrire congrue ragioni di tale scelta.

Con il terzo motivo del ricorso principale si prospetta la violazione dell’art. 115 c.p.c., poichè la Corte di appello avrebbe errato nell’affermare la concorrente responsabilità dell’Azienda sanitaria di Benevento al 5% e poi non iscrivere la stessa nella totalità della responsabilità, scomputandola, invece, dal 90% d’invalidità permanente.

2. Con l’unico motivo di ricorso incidentale, indicato dalla parte come condizionato all’accoglimento dell’ultima censura del ricorso principale, si prospetta la violazione degli artt. 1223 e 1218 c.c., nonchè l’omesso esame di un fatto decisivo e discusso, deducendo che l’errore della Corte di appello sulla ripartizione della responsabilità solidale era ininfluente perchè superabile alla luce della motivazione, ma, qualora tale conclusione avesse dovuto ritenersi non raggiungibile, allora avrebbe dovuto constatarsi il vizio della sentenza di secondo grado che, a fronte del rilievo del Tribunale per cui l’evento dannoso era ancora evitabile all’arrivo del paziente presso l’ospedale di Salerno, aveva affermato, riprendendo la consulenza tecnica officiosa, che, pur non potendo quantificarsi con certezza il grado di danno derivato dal ritardo diagnostico dei sanitari dell’istituto di primo ricovero, era comunque ipotizzabile la suddetta minima responsabilità causale concorrente, così violando il paradigma della causalità che nei giudizi civili è quello dell’alta probabilità e non della mera possibilità.

3. Preliminarmente deve disattendersi l’eccezione, formulata da Generali Italia, di litisconsorzio processuale non integro con riguardo alla mancata notifica del ricorso principale a Be.Gi.Ma., Be.Pa., V., S., Pu., nonchè Aurora Assicurazioni s.p.a.

Infatti, come rilevato dalla Corte territoriale, nei confronti di tali soggetti (tenuto conto che UGF Assicurazioni, già Aurora Assicurazioni, era la compagnia assicuratrice di Be.) è intervenuto giudicato, dovendosi evidenziare in particolare che in appello, per Be.Gi.Ma., V. e Pu., si discuteva solo in punto di spese, con conseguente operatività dell’art. 329, c.p.c. (cfr. Cass., 14/05/2019, n. 12725).

4. Il primo motivo del ricorso principale è in parte inammissibile, in parte infondato.

In tema di danno patrimoniale per riduzione della capacità lavorativa specifica, la giurisprudenza di questa Corte ha progressivamente chiarito la necessità di distinguere il danno “passato”, costituito dalla flessione reddituale effettivamente subita dal danneggiato (che sia risultato, come nella fattispecie qui in esame, produrre reddito da lavoro) fino al momento della decisione, trattandosi di danno non “futuro” bensì attuale, già emerso, e il pregiudizio c.d. futuro, rappresentato dall’ipotetica contrazione economica che la vittima andrà verosimilmente a perdere per gli anni a venire (cfr. Cass., 30/04/2018, n. 10321, Cass., 12/04/2018, n. 9048, Cass., 11/07/2017, n. 17061, Cass., 24/07/2012, n. 12902).

Ciò posto, la Corte territoriale ha accertato che correlativamente alla risultata “contrazione di reddito da attività libero professionale ed agricola si registra(va) un notevole incremento del reddito da lavoro dipendente, tale non solo da compensare ma addirittura superare il pregresso reddito complessivo” (pag. 10 della sentenza impugnata). Dal che la conclusione per cui non risultava prova della fondatezza della pretesa d’incrementare la liquidazione del danno patrimoniale in parola rispetto alla misura accordata dal Tribunale.

A fronte di ciò parte ricorrente lamenta la mancata considerazione prospettica secondo la quale il reddito da lavoro dipendente, “prevalentemente di tipo amministrativo” (pag. 16 del ricorso), avrebbe dovuto presuntivamente considerarsi determinare una riduzione rispetto a quello libero professionale corrispondente, di veterinario, tanto più se sommato a quello inerente alla gestione dell’impresa agricola parimenti risultata.

Quest’affermazione, però, si risolve in una richiesta di rilettura istruttoria perchè l’accertamento del Collegio di merito ha riguardato il raffronto con il reddito complessivo, e non si indicano i fatti allegati e quindi discussi, provati e non esaminati, da cui avrebbe dovuto evincersi, per gli anni a venire, un raffronto da cui trarre la conclusione pretesa.

Da una parte, cioè, il giudice di seconde cure ha considerato sia il danno c.d. passato (emergente) che quello c.d. futuro (da mancato guadagno che altrimenti si sarebbe avuto); d’altra parte il ricorrente non allega quale specifico fatto attestante quale specifica progressione reddituale, rispetto a quella accertata e ipotizzabile con riferimento al lavoro dipendente, sarebbe stato addotto, dimostrato eppure non vagliato dalla Corte di appello, incidendo sulla conclusione da essa tratta sul punto.

Ne deriva che non risulta nè un errore in diritto nè l’ipotizzata violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5.

5. Il secondo motivo è fondato per quanto di ragione.

5.1. Deve ribadirsi (Cass., 30/01/2019, n. 2788) che sul piano del diritto positivo, l’ordinamento riconosce e disciplina (soltanto) le fattispecie del danno patrimoniale (nelle due forme del danno emergente e del lucro cessante: art. 1223 c.c.) e del danno non patrimoniale (art. 2059 c.c.; art. 185 c.p.).

La natura unitaria e onnicomprensiva del danno non patrimoniale, secondo l’insegnamento della Corte costituzionale e delle Sezioni Unite della Suprema Corte (Corte Cost. n. 233 del 2003; Cass., Sez. U., 11/11/2008, n. 26972) dev’essere interpretata, “parte qua”, sul piano delle categorie giuridiche, anche se non sotto quello fenomenologico, rispettivamente nel senso di:

a) unitarietà rispetto a qualsiasi lesione di un interesse o valore costituzionalmente protetto e non suscettibile di valutazione economica;

b) onnicomprensività intesa come obbligo, per il giudice di merito, di tener conto, a fini risarcitori, di tutte le conseguenze (modificative “in peius” della precedente situazione del danneggiato) derivanti dall’evento di danno, nessuna esclusa, con il concorrente limite di evitare duplicazioni attribuendo nomi diversi a pregiudizi identici, procedendo, a seguito di compiuta istruttoria, a un accertamento concreto e non astratto del danno, a tal fine dando ingresso a tutti i necessari mezzi di prova.

Nel procedere all’accertamento e alla quantificazione del danno risarcibile, il giudice di merito deve dunque tenere conto da una parte dell’insegnamento della Corte costituzionale (Corte Cost. n. 235 del 2014, punto 10.1 e ss.) e, dall’altra, del recente intervento del legislatore sugli artt. 138 e 139 c.d.a. come modificati dalla L. 4 agosto 2017, n. 124, art. 1, comma 17, la cui nuova rubrica (“danno non patrimoniale”, sostituiva della precedente, “danno biologico”), e il cui contenuto consentono di distinguere definitivamente il danno dinamico-relazionale da quello morale.

Ne deriva che il giudice deve congiuntamente, ma distintamente, valutare la compiuta fenomenologia della lesione non patrimoniale, e cioè tanto l’aspetto interiore del danno sofferto (cd. danno morale) quanto quello dinamico-relazione (destinato a incidere in senso peggiorativo su tutte le relazioni di vita esterne del soggetto).

5.2. La regola di giudizio esposta si pone in una linea di evidente continuità con i principi diacronicamente (ma costantemente) affermati dalla giurisprudenza della Corte costituzionale e della Corte di Giustizia Europea, oltre che da questa stessa Corte regolatrice (principi rispetto ai quali le sole sentenze del 2008 delle Sezioni Unite di questa Corte sembrarono segnare, “parte qua”, un momento di apparente discontinuità).

a) Corte Cost. n. 184 del 1986: “Va ribadito che il danno biologico è nettamente distinto (ed assume un ruolo autonomo) sia in relazione al lucro cessante da invalidità temporanea o permanente, sia nei confronti del danno morale in senso stretto”; “Il danno biologico è sempre presente nell’avvenuta menomazione psico-fisica, ed è sempre risarcito, a differenza delle due voci (eventuali) del lucro cessante e del danno morale”; “Anche se il danno biologico risulta nettamente distinto dal danno morale subbiettivo, ben può applicarsi l’art. 2059 c.c., ove dal primo (lesione della salute) derivi, come conseguenza ulteriore rispetto all’evento della menomazione delle condizioni psico-fisiche del soggetto leso, un danno morale subbiettivo”; “Il danno biologico è un tipo di danno-evento, mentre il danno morale subbiettivo è un genere di danno-conseguenza. Diversamente dalle conseguenze morali subbiettive o patrimoniali, che possono anche mancare in tutto o in parte, il danno biologico, in quanto evento interno al fatto lesivo, deve necessariamente esistere ed essere provato”;

b) Corte Cost. n. 372 del 1994: “Il danno alla salute patito dal familiare della persona uccisa è il momento terminale di un processo patogeno originato dal medesimo turbamento dell’equilibrio psichico che sostanzia il danno morale soggettivo, che, in persone particolarmente predisposte, anzichè esaurirsi in un patema d’animo o in uno stato d’angoscia transeunte, può degenerare in un trauma fisico o psichico permanente”; “Il risarcimento dei danni non patrimoniali deve essere razionalmente commisurato non semplicemente al pretium doloris in senso stretto, ma alle conseguenze del trauma in termini di perdita delle qualità personali”;

c) Corte Cost. n. 293 del 1996: “L’inclusione del danno alla salute nella categoria considerata dall’art. 2059 c.c. non significa identificazione con il danno morale soggettivo, ma soltanto riconducibilità delle due figure, quali specie diverse, al genere del danno non patrimoniale”;

d) Corte Cost. n. 233 del 2003 (punto 3.4.): “Occorre da ultimo considerare che l’indirizzo interpretativo assunto dal rimettente come diritto vivente risulta disatteso, successivamente all’ordinanza di rimessione, dalla stessa giurisprudenza di legittimità. Giova al riguardo premettere – pur trattandosi di un profilo solo indirettamente collegato alla questione in esame – che può dirsi ormai superata la tradizionale affermazione secondo la quale il danno non patrimoniale riguardato dall’art. 2059 c.c. si identificherebbe con il cosiddetto danno morale soggettivo. In due recentissime pronunce (Cass., 31 maggio 2003, nn. 8827 e 8828) viene, infatti, prospettata un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2059 c.c., tesa a ricomprendere nell’astratta previsione della norma ogni danno di natura non patrimoniale derivante da lesione di valori inerenti alla persona: e dunque sia il danno morale soggettivo, inteso come transeunte turbamento dello stato d’animo della vittima; sia il danno biologico in senso stretto, inteso come lesione dell’interesse, costituzionalmente garantito, all’integrità psichica e fisica della persona, conseguente ad un accertamento medico (art. 32 Cost.); sia infine il danno (spesso definito in dottrina ed in giurisprudenza come esistenziale) derivante dalla lesione di (altri) interessi di rango costituzionale inerenti alla persona”;

e) Corte Cost. n. 235 del 2014 (punto 10.1.) “E’ pur vero che l’art. 139 cod. ass. priv. fa testualmente riferimento al danno biologico, e non fa menzione del danno morale. Ma la norma denunciata non è chiusa, come paventano i rimettenti, alla risarcibilità anche del danno morale: ricorrendone i presupposti del quale, il giudice può avvalersi della possibilità di incremento dell’ammontare del danno biologico, secondo la previsione, e nei limiti, di cui alla disposizione del comma 3 (aumento del 20%). L’introdotto meccanismo “standard” di quantificazione del danno attiene al solo, specifico e limitato settore delle lesioni di lieve entità, e lascia comunque spazio al giudice per personalizzare l’importo risarcitorio, eventualmente maggiorandolo fino ad un quinto, in considerazione delle condizioni soggettive del danneggiato”;

f) Corte giust., 23/01/2014, C-371/2012: “Rientra nella nozione di danno alla persona ogni danno arrecato alla sua integrità che include le sofferenze sia fisiche che psicologiche. Di conseguenza, tra i danni che devono essere risarciti conformemente alla prima e alla seconda direttiva figurano i danni morali. Il diritto nazionale italiano prevede, da un lato, all’art. 2059 c.c., il fondamento del diritto al risarcimento dei danni morali derivanti dai sinistri stradali, dall’altro, all’art. 139 cod. ass. priv., le modalità di determinazione della portata del diritto al risarcimento per quanto riguarda il danno biologico per lesioni di lieve entità cagionate da siffatti sinistri. L’art. 139 cod. ass. priv. non si pone, pertanto, in contrasto con la normativa comunitaria, poichè la liquidazione del danno morale, se e in quanto dimostrato, non è impedita dalla norma denunciata, ma semmai, come confermato dal Governo italiano in udienza dinanzi alla Corte, limitata entro la misura stabilita dalla norma stessa”;

g) Cass., 31/05/2003, n. 8827 (p. 38): “Si risarciscono così danni diversi da quello biologico e da quello morale soggettivo, pur se anch’essi, come gli altri, di natura non patrimoniale”, il che “non impedisce che la valutazione equitativa di tutti i danni non patrimoniali possa anche essere unica, senza una distinzione – bensì opportuna, ma non sempre indispensabile – tra quanto va riconosciuto a titolo di danno morale soggettivo, quanto a titolo di risarcimento del danno biologico in senso stretto, se una lesione dell’integrità psico-fisica sia riscontrata, e quanto a titolo di ristoro dei pregiudizi ulteriori e diversi dalla mera sofferenza psichica”, e ciò perchè “il danno biologico non è configurabile se manchi una lesione dell’integrità psico-fisica secondo i canoni fissati dalla scienza medica: in tal senso si è orientato il legislatore con il D.Lgs. 23 febbraio 2000, n. 38, art. 13 e della L. n. 57 del 2001, artt. 5 e 38 prevedendo che il danno biologico debba essere suscettibile di accertamento o valutazione medico-legale”;

h) Cass., Sez. U., 24/03/2006, n. 6572: “Invero, stante la forte valenza esistenziale del rapporto di lavoro, per cui allo scambio di prestazioni si aggiunge il diretto coinvolgimento del lavoratore come persona, per danno esistenziale si intende ogni pregiudizio che l’illecito datoriale provoca sul fare areddituale del soggetto, alterando le sue abitudini di vita e gli assetti relazionali che gli erano propri, sconvolgendo la sua quotidianità e privandolo di occasioni per la espressione e la realizzazione della sua personalità nel mondo esterno. Peraltro, il danno esistenziale si fonda sulla natura non meramente emotiva ed ulteriore (propria del danno morale), ma oggettivamente accertabile del pregiudizio, attraverso la prova di scelte di vita diverse da quelle che si sarebbero adottate se non si fosse verificato l’evento dannoso. Il danno esistenziale, essendo legato indissolubilmente alla persona, e quindi non essendo passibile di determinazioni secondo il sistema tabellare – al quale si fa ricorso per determinare il danno biologico necessita di precise indicazioni comprovanti l’alterazione delle abitudini di vita del danneggiato in conseguenza di ciò che concretamente ha inciso in senso negativo nella sfera del lavoratore alterandone l’equilibrio”.

Va, in particolare, osservato, quanto all’interpretazione del dictum del giudice delle leggi di cui a Corte Cost. n. 235 del 2014, che una piana lettura del punto 10.1. della sentenza non consente (diversamente da quanto sostenuto recentemente da autorevole dottrina, che discorre, in proposito, “di lettura antiletterale”) soluzione diversa da quella che predichi l’ontologica differenza tra danno morale e danno biologico (i.e., il danno dinamico-relazionale).

Una diversa lettura della decisione, che ne ipotizzi l’assorbimento del danno morale in quello biologico difatti, ometterebbe del tutto di considerare che la premessa secondo cui “la norma denunciata di incostituzionalità non è chiusa al risarcimento anche del danno morale” evidenzia con cristallina chiarezza la differenza tra qualificazione della fattispecie e liquidazione del danno.

Se, sul piano strutturale, la qualificazione della fattispecie “danno non patrimoniale”, in assoluta consonanza con i suoi stessi precedenti, viene espressamente ricondotta dal giudice delle leggi, giusta il consapevole uso dell’avverbio “anche”, alla duplice, diversa dimensione del danno morale e del danno alla salute, sul piano funzionale la liquidazione del danno conseguente alla lesione viene poi circoscritta – per il “solo, specifico e limitato caso delle micro permanenti conseguenti alla circolazione stradale” – entro i limiti di un generalizzato aumento del 20% rispetto ai valori tabellari.

Ogni incertezza sul tema del danno alla persona risulta, comunque, si ripete, definitivamente fugata ad opera dello stesso legislatore, con la riforma degli artt. 138 e 139 codice delle assicurazioni.

L’art. 138 (la cui rubrica è stata correttamente e coerentemente trasformata da quella di danno biologico in quella, onnicomprensiva, di danno non patrimoniale), al comma 2, lett. e) recita testualmente: “al fine di considerare la componente del danno morale da lesione dell’integrità fisica, la quota corrispondente al danno biologico è incrementata in via percentuale e progressiva per punto, individuando la percentuale di aumento di tali valori per la personalizzazione progressiva della liquidazione”.

Si legge, ancora, al comma 3 della norma citata: “quando la menomazione accertata incida in maniera rilevante su specifici aspetti dinamico-relazionali personali documentati ed obbiettivamente accertati, l’ammontare del risarcimento, calcolato secondo quanto previsto dalla tabella unica nazionale, può essere aumentato dal giudice, con equo e motivato apprezzamento delle condizioni soggettive del danneggiato, fino al 30%”.

Il sopravvenuto intervento chiarificatore, da parte del legislatore, della fenomenologia del danno alla persona ha indotto (Cass., n. 2788 del 2019, cit.) e induce a escludere una rimessione della questione alle Sezioni Unite di questa Corte, posta, cioè, l’esistenza di una chiara volontà normativa affermativa della distinzione strutturale tra danno morale e danno dinamico relazionale (non diversamente da quanto accaduto in campo sanitario, con la modificazione legislativa della responsabilità del medico da contrattuale in aquiliana, nonostante la contrastante ricostruzione in termini di contatto sociale da parte delle stesse Sezioni Unite di questa Corte), sia pur in apparente contrasto con alcune affermazioni contenute nelle citate sentenze delle Sezioni Unite del 2008.

A tali, necessarie premesse storico-metodologiche consegue, con riguardo alla fattispecie concreta sottoposta all’esame del Collegio, che, in particolare nella valutazione del danno alla persona da lesione della salute (art. 32 Cost.), ma non diversamente da quanto avviene in quella di tutti gli altri danni alla persona conseguenti alla lesione di un valore o interesse costituzionalmente protetto, il giudice dovrà necessariamente valutare tanto le conseguenze subite dal danneggiato nella sua sfera morale (che si collocano nella dimensione del rapporto del soggetto con sè stesso), quanto quelle incidenti sul piano dinamico-relazionale della sua vita (che si dipanano nell’ambito della relazione del soggetto con la realtà esterna, con tutto ciò che, in altri termini, costituisce “altro da sè”).

La misura “standard” del risarcimento prevista dalla legge o dal criterio equitativo uniforme adottato dagli organi giudiziari di merito può inoltre essere aumentata, nella sua componente dinamico-relazionale, in presenza di conseguenze dannose del tutto anomale, eccezionali e affatto peculiari: le conseguenze dannose da ritenersi normali e indefettibili secondo l'”id quod plerumque accidit” – ossia quelle che qualunque persona con la medesima invalidità ovvero lesione non potrebbe non subire – non giustificano una personalizzazione in aumento del risarcimento.

Ed è questo il motivo per cui, nel caso di specie, è infondata la parte di censura con cui si critica il mancato appesantimento del punto tabellare, utilizzato quale declinazione equitativa, in chiave dinamica: perchè non si allega specificatamente, prim’ancora di darne la prova, di aver subito pregiudizi eccezionalmente maggiori (in termini di gravità delle ricadute e non della colpa) di quelli che chiunque con quella elevatissima invalidità permanente subirebbe comunque.

Va ribadito ancora che ai fini della c.d. “personalizzazione” del danno forfettariamente individuato (in termini monetari) attraverso i meccanismi tabellari cui la sentenza abbia fatto riferimento (e che devono ritenersi destinati alla riparazione delle conseguenze “ordinarie” inerenti ai pregiudizi che qualunque vittima di lesioni analoghe normalmente patirebbe), spetta al giudice rilevare e valorizzare, dandone espressamente conto in motivazione in coerenza alle emergenze assertive e probatorie obiettivamente emerse all’esito del dibattito processuale, specifiche circostanze di fatto, peculiari al caso sottoposto ad esame, che valgano a superare le conseguenze “ordinarie” già previste e compensate dalla liquidazione forfettizzata assicurata dalle previsioni tabellari; da queste ultime distinguendosi siccome legate all’irripetibile singolarità dell’esperienza di vita individuale nella specie considerata, meritevoli in quanto tali di tradursi in una differente (più ricca e, dunque, individualizzata) considerazione in termini monetari, rispetto a quanto suole compiersi in assenza di dette peculiarità (Cass., 21/09/2017, n. 21939; Cass., n. 2788 del 2019, cit.).

In tale quadro ricostruttivo, costituisce quindi duplicazione risarcitoria, come correttamente osservato sul punto dalla Corte territoriale, la congiunta attribuzione del danno biologico – inteso, secondo la stessa definizione legislativa, come danno che esplica incidenza sulla vita quotidiana del soggetto e sulle sue attività dinamico relazionali – e del danno cd. esistenziale, appartenendo tali “categorie” o “voci” di danno alla stessa area protetta dalla norma costituzionale (art. 32 Cost.). Mentre una differente e autonoma valutazione andrà compiuta con riferimento alla sofferenza interiore patita dal soggetto in conseguenza della lesione del suo diritto alla salute (come oggi normativamente confermato dalla nuova formulazione dell’art. 138 c.d.a., lett. e).

E’ tale ultima e autonoma valutazione quella che, al contrario, non risulta essere stata fatta, nel caso, dalla Corte di appello.

La liquidazione finalisticamente unitaria di tale danno (non diversamente da quella prevista per il pregiudizio patrimoniale, nella sua duplice e distinta accezione di danno emergente e di lucro cessante) avrà pertanto il significato di attribuire al soggetto una somma di danaro che tenga conto del pregiudizio complessivamente subito tanto sotto l’aspetto della sofferenza interiore, quanto sotto quello dell’alterazione o modificazione peggiorativa della vita di relazione in ogni sua forma e considerata in ogni suo aspetto, senza ulteriori frammentazioni nominalistiche (Cass., 20/04/2016, n. 7766, Cass., 17/01/2018, n. 901, Cass., 27/03/2018, n. 7513).

Il giudice del rinvio procederà dunque, nei suddetti sensi, a un nuovo e compiuto apprezzamento e, quindi, a una nuova e compiuta liquidazione del danno alla persona.

6. Il terzo motivo deve esaminarsi congiuntamente al motivo di ricorso incidentale per ragioni di connessione.

Deve precisarsi che il gravame dell'***** e della UnipolSai Assicurazioni s.p.a., seppure indicato come condizionato, non lo è logicamente, poichè contiene una censura indipendente dalla risoluzione dell’ultima propria del gravame del B., e anzi preliminare.

Il motivo logicamente prioritario è infondato.

Infatti, la Corte territoriale, basandosi sulle risultanze peritali d’ufficio, non ha affermato, a ben vedere, la responsabilità concorrente dei sanitari dell’ospedale di Benevento in termini ipotetici ossia di mera possibilità eziologica, bensì che “il ritardo diagnostico, la disorganizzazione nel coordinamento assistenziale e l’assenza di un approccio terapeutico immediato costituiscono colpa grave, che ha senza dubbio inciso sull’evento finale, e che, “pur non potendo quantificare con certezza il grado di danno che è derivato dal suddetto ritardo diagnostico (e alla probabile mancata somministrazione di idonea terapia), si può comunque ipotizzare che il danno globalmente sofferto dal B. trovi in tale iniziale comportamento colposo una percentuale di causatività del 5%” (pag. 15 della sentenza).

Mentre, cioè, il Tribunale aveva concluso nel senso che “alcun residuato irreversibile si sarebbe verificato” (sentenza di prime cure riportata a pag. 15 del ricorso incidentale), la motivazione della Corte di appello, complessivamente apprezzata, sta a intendere che non vi era idonea prova dell’evitabilità di tutti i danni quali verificatisi, al tempo del ricovero, a Salerno.

Non a caso i ricorrenti incidentali sottolineano che la consulenza non è mezzo di prova (ma resta mezzo istruttorio), non riportando alcun passo della stessa in cui si concluda nel senso del Tribunale.

L’ipotesi di cui parla il consulente d’ufficio è locuzione verbale non riferibile a un grado di mera possibilità eziologica, corrispondendo, invece, nel tessuto discorsivo, al fatto che non si poteva determinare con assoluta “certezza” quella percentuale di corresponsabilità, ferma la sicura incidenza (“senza dubbio”) causale seppure non autonoma.

Quella percentuale di responsabilità colposa, ferma la sussistenza del nesso causale, dovrà essere riferita, come lamentato dal ricorrente principale, all’intera responsabilità e, quindi, alla finale liquidazione, non, logicamente, alla percentuale d’invalidità permanente.

Diversamente non sarebbe violato l’art. 115 c.p.c., solo formalmente richiamato nella rubrica del terzo motivo di ricorso principale, bensì gli artt. 1223,2059 e 2055, c.c., sostanzialmente evocati.

7. Spese al giudice del rinvio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso principale, accoglie per quanto di ragione il secondo, accoglie il terzo e rigetta il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione a quanto accolto e rinvia alla Corte di appello di Napoli perchè provveda anche sulle spese relative al giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 2 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 ottobre 2019

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