Corte di Cassazione, sez. V Civile, Sentenza n.26352 del 17/10/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –

Dott. SUCCIO Roberto – Consigliere –

Dott. FANTICINI Giovanni – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28358-2015 proposto da:

INGROSS LEVANTE SPA in persona dell’Amm.re Unico e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIALE G. MAZZINI 134, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE MARIA CIPOLLA, che lo rappresenta e difende giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1934/2015 della COMM.TRIB.REG. di BARI, depositata il 17/09/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/11/2018 dal Consigliere Dott. GIOVANNI FANTICINI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VISONA’ STEFANO che ha concluso per l’inammissibilità e rigetto del ricorso;

udito per il ricorrente l’Avvocato CIPOLLA che ha chiesto l’accoglimento;

udito per il controricorrente l’Avvocato PUCCIARIELLO che si riporta agli atti.

FATTI DI CAUSA

Con avviso di accertamento n. 885030301130/2008 notificato I’l agosto 2008 l’Agenzia delle Entrate – Ufficio di Bari ***** contestava alla Ingross Levante S.p.A. che dal processo verbale di constatazione redatto il 17 dicembre 20005 dalla Guardia di Finanza era emersa una ingente frode fiscale volta all’evasione di IVA nell’anno di imposta 2004, realizzata attraverso l’emissione di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, avendo la società considerato “intracomunitarie” – e, quindi, non imponibili – cessioni di merci ad imprese che erano solo formalmente localizzate in altri Stati dell’Unione Europea, mentre le merci non avevano mai varcato i confini italiani.

Con sentenza n. 143/15/09 del 20 ottobre 2009, la C.T.P. di Bari, respinte le eccezioni preliminari, accoglieva il ricorso della Ingross Levante nel merito.

La C.T.R. della Puglia, con la sentenza n. 1934/05/15 del 17 settembre 2015, accoglieva l’appello dell’Agenzia delle Entrate; per quanto rileva in questa sede, il giudice d’appello osservava: “E’ pacifico che la soc. Ingross abbia apparentemente venduto della merce ad imprenditori operanti in altri Stati dell’U.E., mentre in realtà tale merce era destinata al mercato nazionale, dove veniva rivenduta con forti sconti proprio perchè non assoggettata ad IVA… E’ pure pacifico che la soc. Ingross abbia puntualmente eseguito tutti gli adempimenti formali cui è tenuto chi vende ad un cliente intracomunitario ed abbia addirittura conservato in cartelle intestate ad ogni cliente tutta la documentazione che veniva predisposta in occasione di ogni transazione commerciale (fattura accompagnatoria, con numero identificativo ISO del cessionario; lettera di vettura internazionale; carta d’identità dell’autista libretto di circolazione del camion, ecc.). Ciò posto, il problema che la causa pone è se i vertici della soc. Ingross fossero consapevoli che reale acquirente non era l’imprenditore straniero indicato in fattura, ma altro soggetto operante in Italia”: infatti, dopo aver spiegato le ragioni per cui “gli impiegati della soc. Ingross addetti alla vendita certamente sapevano che gli effettivi acquirenti della merce non erano gli operatori comunitari indicati in fattura, il giudice del merito rileva che “Dalle telefonate intercettate anche emerge che l’amministratore unico della soc. Ingross, parlando al telefono con i suoi dipendenti, si informava quotidianamente dell’andamento delle vendite “ai patrassesi”, a attribuendo grande importanza a tali clienti. D’altro canto, la quantità di merce comprata da tali apparenti imprenditori comunitari era tale (pari a circa 1/3 del fatturato annuo della soc. Ingross) che è impossibile che i vertici della soc. Ingross non abbiano prestato grande attenzione a tali clienti (ed)… E’ comunque impossibile che gli stessi vertici aziendali non abbiano acquisito maggiori informazioni in ordine a tali loro importantissimi clienti. Con particolare riferimento al principale fittizio cliente intracomunitario (tale D.T.V.)… deve ricordarsi che lo stesso era già stato in precedenza segnalato alla soc. Ingross come persona coinvolta in frodi fiscali… Altrettanto dicasi per altri apparenti clienti intracomunitari ( D.D., G.C., C.F.) che pure erano stati coinvolti in indagini giudiziarie di cui la soc. Ingross era venuta a conoscenza… Peraltro, che l’amministratore unico della soc. Ingross conoscesse personalmente il De.To. è confermato dalle dichiarazioni rese dallo stesso De.To. alla magistratura inquirente, oltre che dalla circostanza – che la Commissione Giudicante ritiene decisiva ai fini della prova del suo coinvolgimento nella frode fiscale – che l’amministratore unico acconsentì che ben tre autovetture fossero regalate al De.To., come “premio” per quell’importantissimo cliente, i cui acquisti avevano un peso considerevole nell’economia complessiva dell’azienda. In conclusione, è provato senza alcun margine di dubbio (innanzitutto dalle intercettazioni telefoniche oltre che dalle prove logiche sopra ricordate) che gli addetti alle vendite S. ed A. fossero consapevoli della illiceità delle operazioni poste in essere dal D.T. e dagli altri apparenti clienti comunitari; la prova della consapevolezza di tale illiceità anche da parte dell’amministratore unico della soc. Ingross si ricava dai seguenti concorrenti di voci indizi: l’amministratore unico che dalle intercettazioni risulta attribuire a tali clienti comunitari (denominati “patrassesi”) grande importanza, anche perchè oggettivamente rappresentavano quasi 1/3 del fatturato annuo dell’impresa, non può non aver assunto maggiori informazioni in ordine a tali sedicenti aziende straniere (ed essersi accontentato della circostanza che formalmente risultavano intestatarie di partita Iva) tenuto conto di una pluralità di circostanze anomale che induceva necessariamente a sospetto, come il fatto che la stragrande maggioranza di loro fosse stata in passato coinvolta in frodi comunitarie, il fatto che tutti i bonifici provenissero dall’Italia, il fatto che i titolari di queste aziende straniere risultassero tutti italiani, il fatto che gli stessi autisti per più giorni di seguito prelevassero la merce che non vi era stato il tempo di trasportare fuori dei confini nazionali. In particolare, è impossibile che l’amministratore unico della soc. Ingross non abbia acquisito maggiori informazioni sul De.To., che era il suo principale cliente intracomunitario, che conosceva personalmente, che ben sapeva essere stato coinvolto in frodi fiscali e che addirittura volle “premiare” come “cliente sommo” donandogli ben tre autovetture”.

Avverso tale decisione la Ingross Levante propone ricorso per cassazione, affidato a sette motivi; la stessa ricorrente ha presentato memoria ex art. 378 c.p.c., eccependo la tardività del controricorso e richiamando la sentenza n. 20033 dell’11/8/2017 di questa Corte resa tra le stesse parti e riferita ad altri anni di imposta.

Resiste con controricorso l’Agenzia delle Entrate.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente, deve essere esaminata l’eccezione di tardività del controricorso sollevata dalla ricorrente.

Il ricorso è stato notificato all’Agenzia delle Entrate, sede di Roma, il 4 dicembre 2015.

Il controricorso è stato portato alla notifica il 19 gennaio 2016 ed è, dunque, tardivo rispetto al termine prescritto dall’art. 370 c.p.c., comma 1.

2. Col primo motivo di ricorso la Ingross Levante lamenta violazione (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) del D.L. n. 331 del 1993, artt. 49 e 50, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 8, e della L. n. 212 del 2000, art. 10, per avere la C.T.R. addossato alla cedente, che aveva venduto le merci con clausola “franco fabbrica” dopo aver acquisito, conformemente alle citate disposizioni, tutta la documentazione volta a comprovare la natura intracomunitaria della cessione, l’ulteriore onere di controllare l’effettivo trasporto in altro Stato dell’Unione Europea.

3. Col secondo motivo si deduce violazione (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) dell’art. 115 c.p.c., comma 1, per avere la C.T.R. disatteso circostanze pacifiche, quali la cessione delle merci “franco fabbrica”, l’operatività delle partite IVA dei cessionari comunitari e l’attività di questi ultimi anche dopo la chiusura del periodo d’imposta.

4. Col terzo motivo la ricorrente deduce la nullità della decisione (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4) per violazione di legge (pure dedotta ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e, segnatamente, per avere il giudice d’appello – trasgredendo al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, all’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, e all’art. 111 Cost., comma 6 – reso una sentenza con motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile in relazione all’individuazione degli acquirenti comunitari coinvolti dalle operazioni asseritamente inesistenti.

5. Col quarto motivo si censura la sentenza di merito – sotto i distinti profili della violazione di legge (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e del vizio di motivazione (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) – perchè la C.T.R., ad onta del disposto dell’art. 2697 c.c., del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 7, comma 4, e dell’art. 115 c.p.c., comma 1, avrebbe ritenuto dimostrata la consapevolezza della Ingross Levante in ordine alla reale identità degli acquirenti in base a meri indizi, inidonei a costituire prova della predetta circostanza.

6. Col quinto motivo si deduce “violazione del diritto comunitario, così come interpretato dalla Corte di Giustizia, in ordine alla possibilità di disconoscere la natura comunitaria di un’operazione commerciale sulla base della difformità dei comportamenti posti in essere dal contribuente rispetto a parametri comportamentali non previamente stabiliti in via normativa o di prassi” (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

7. Col sesto motivo la ricorrente censura la motivazione della sentenza (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) per avere il giudice di merito omesso di considerare un fatto decisivo che era stato oggetto di discussione tra le parti, costituito dall’affidamento della contribuente sulle attestazioni fornite dalla controparte Agenzia delle Entrate circa la validità delle partite IVA degli acquirenti.

8. Col settimo motivo si deduce violazione (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) della L. n. 212 del 2000, art. 10, per avere la C.T.R. ritenuto, in contrasto col principio di affidamento del contribuente, fondate le anche le sanzioni amministrative irrogate con l’atto impositivo.

9. I motivi primo, secondo, terzo, sesto e settimo – che possono essere trattati congiuntamente per le ragioni di seguito esposte sono inammissibili.

Infatti, tutti i predetti motivi sono volti a ribadire la pretesa buona fede della Ingross Levante che, in base alla documentazione acquisita e ai controlli effettuati, non avrebbe potuto acquisire consapevolezza della frode fiscale, non essendo tenuta nè ad una più ampia disamina documentale, nè a verificare l’effettiva destinazione delle merci vendute con la clausola Incoterm “franco fabbrica” (trattasi di difesa già esposta nei gradi precedenti, come risulta dal testo della sentenza impugnata: “la soc. Ingross si difende sostenendo che non era certamente tenuta pedinare i camion che ritiravano la merce dai suoi magazzini e che unico suo obbligo era quello di verificare che l’acquirente indicato in fattura risultasse essere un operatore commerciale con sede in altri Stati dell’U.E.”).

La ricorrente non censura, però, la ratio decidendi della C.T.R. che non onera il cedente di adempimenti non prescritti dalle norme italiane o comunitarie, nè desume la consapevolezza della frode dalla documentazione acquisita prima delle vendita, ma afferma il coinvolgimento della Ingross Levante nella frode fiscale sulla scorta di altri elementi indiziari, senza con ciò omettere di considerare il puntuale rispetto delle formalità da parte della Ingross Levante (“E’ pure pacifico che la soc. Ingross abbia puntualmente eseguito tutti gli adempimenti formali cui è tenuto chi vende ad un cliente intracomunitario ed abbia addirittura conservato in cartelle intestate ad ogni cliente tutta la documentazione che veniva predisposta in occasione di ogni transazione commerciale (fattura accompagnatoria, con numero identificativo ISO del cessionario; lettera di vettura internazionale; carta d’identità dell’autista libretto di circolazione del camion, ecc.)”).

In altri termini, i succitati motivi non censurano la sentenza impugnata, ma mirano, inammissibilmente, a ribadire la buona fede della cedente (che, però, è stata esclusa dalla C.T.R.) in base ai controlli, meramente documentali, dalla stessa eseguiti e al rispetto degli adempimenti, prettamente formali, per le cessioni intracomunitarie; tali elementi sono già stati considerati dal giudice d’appello che, in un apprezzamento unitario del complesso delle circostanze (attività propria del giudice di merito e non sindacabile nel giudizio di legittimità), ha ritenuto “provato senza alcun margine di dubbio… che gli addetti alle vendite… fossero consapevoli della illiceità delle operazioni poste in essere dal De.To. e dagli altri apparenti clienti comunitari” e, altresì, che fosse stata data dall’Agenzia delle Entrate “la prova della consapevolezza di tale illiceità anche da parte dell’amministratore unico della soc. Ingross” (proprio la pronuncia di Cass., Sez. 5, n. 20033 dell’11/8/2017 menzionata dalla ricorrente – lungi dall’attribuire alle certificazioni IVA e alle interrogazioni sulla validità del numero identificativo del cessionario per ciascuna transazione il valore di “prova legale” della buona fede della società – ha cassato la decisione di merito per aver omesso l’analisi critica della documentazione fornita alla luce degli ulteriori elementi forniti dall’Agenzia delle Entrate).

Essendo stata esclusa la buona fede e, anzi, ritenuta la complicità della Ingross Levante nella frode fiscale, è poi evidente che nessuna tutela poteva essere riconosciuta dalla C.T.R. al ragionevole affidamento della contribuente sulle risultanze documentali, di talchè anche la censura di omessa considerazione di tale circostanza non coglie nel segno.

10. Il quarto motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.

Sono inammissibili le censure ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 poichè “la violazione dell’art. 2697 c.c. si configura soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella su cui esso avrebbe dovuto gravare secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni mentre, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunziare che il giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 c.p.c.” (tra le tante, Cass., Sez. 6-3, Ordinanza n. 26769 del 23/10/2018, Rv. 650892-01).

Infondate, invece, sono le doglianze relative alla carenza della motivazione fornita al proprio convincimento dalla C.T.R., la quale, al contrario, ha dato conto di aver considerato anche e proprio gli elementi che la Ingross Levante assume essere stati pretermessi e di averli ritenuti, con ragionamento logico e non contraddittorio, superati “dalle intercettazioni telefoniche oltre che dalle prove logiche sopra (puntualmente) ricordate”.

11. Il quinto motivo è inammissibile.

L’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, impone al ricorrente di dedurre specificamente le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata che motivatamente si assumano in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione delle stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla prevalente dottrina, non risultando altrimenti consentito alla Suprema Corte di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il fondamento della denunziata violazione; conseguentemente, deve reputarsi inammissibile la censura de qua, che richiama genericamente, quale parametro per la valutazione del preteso errore di diritto, la “violazione del diritto comunitario, così come interpretato dalla Corte di Giustizia”.

12. In conclusione, il ricorso è respinto.

Alla decisione fa seguito la condanna della ricorrente alla rifusione, in favore della controricorrente Agenzia, delle spese di questo giudizio di cassazione, limitatamente alla discussione in pubblica udienza, stante la tardività del controricorso (Cass., Sez. 3, Sentenza n. 22269 del 02/11/2010, Rv. 615554-01).

13. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si deve dare atto, infine, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

La Corte:

rigetta il ricorso;

condanna la ricorrente a rifondere alla controricorrente le spese di questo giudizio, che liquida in Euro 5.000,00 per compensi, oltre a spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Quinta Sezione Civile, il 13 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 17 ottobre 2019

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