LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –
Dott. NONNO Giacomo Maria – Consigliere –
Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –
Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO M.G. – Consigliere –
Dott. NOCELLA Luigi – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 22157/2016 R.G. proposto da:
IDROENERGIA S.C.R.L., rappresentata e difesa dagli Avv.ti Puri Paolo ed Mula Alberto del Foro di Roma, elett.te dom.ta presso il loro studio in Roma, Via XXIV Maggio n. 43, giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale dell’Abruzzo n. 230/03/16, depositata il 26 febbraio 2016, asseritamente non notificata.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 18 aprile 2019 dal Cons. Nocella Luigi.
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale De Renzis Luisa, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Udito l’Avv. Mula Alberto per la contribuente, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.
Udito l’Avv. S.F. per l’Agenzia delle Dogane che ha concluso per il rigetto del ricorso.
FATTI DI CAUSA
La s.c.r.l. Idroenergia proponeva innanzi alla CTP di L’Aquila ricorso avverso l’avviso di pagamento N. *****, notificatole il 1.04.2014, con il quale l’Agenzia delle Dogane di L’Aquila aveva richiesto il pagamento della somma di Euro 61.527,09 oltre interessi per accise su energia elettrica relative alle annualità dal 2008 al 2012, negando alla contribuente il diritto all’esenzione prevista dal D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 52, comma 3, lett. b; in particolare la Società ricorrente aveva dedotto di possedere i requisiti per beneficiare di detta agevolazione, in quanto autoproduttore dell’energia elettrica mediante fonti rinnovabili, ceduta in parte ad altre società consorziate; sotto altro profilo aveva eccepito violazione della L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 2 ed art. 11, poichè essa contribuente si era attenuta alle prescrizioni rese da diverse articolazioni dell’Agenzia in sede di risposta ad istanza di interpello che in occasione di controlli diversi; infine deduceva la prescrizione della pretesa erariale, limitatamente all’imposta riferibile all’anno 2008, per sopravvenuta prescrizione ai sensi degli artt. 15 e 57 del TUA.
Prima la CTP adìta, con sentenza n. 897/04/2014, poi, su appello della Società, la CTR dell’Abruzzo, con la pronuncia oggetto della presente impugnazione, hanno respinto, nel costituito contraddittorio con l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, le censure della ricorrente, compensando le spese di lite.
In particolare il giudice d’appello, manifestata adesione all’orientamento di Cass. sez. V 19.04.2013 n. 9567 che individuava nel fabbricante o nel cedente al consumo il soggetto passivo dell’imposta di consumo (D.Lgs. n. 504 del 1995, ex artt. 2 e 52) avente diritto di rivalsa sui consumatori, sulle varie questioni sollevate dall’appellante ha così statuito: a) ha escluso in capo alla ricorrente la sussistenza del requisito della qualifica di “autoproduttore”, cioè di produttore per il consumo proprio, che implicherebbe anche quella conseguente di autoconsumatore, laddove la ricorrente cedeva l’energia prodotta a favore delle imprese consorziate e diffuse su tutto il territorio dello Stato; così come ha negato che fossero idonee ad accogliere la tesi difensiva la funzione strumentale del consorzio rispetto alle attività delle imprese aderenti, stante la indiscutibile autonomia strutturale e giuridica del primo rispetto alle seconde, la circostanza che le cessioni di energia erano fatturate e che il Consorzio era controllato da una società per azioni perseguente scopo di lucro. A chiusura del tema ha poi rilevato che, vertendosi in tema di agevolazioni, la ricorrente non avrebbe adempiuto all’onere probatorio di fornire elementi di contrasto idonei a sostenere il possesso dell’accampato requisito; b) quanto all’eccepita prescrizione dei crediti relativi all’anno 2008 che, essendo stata la dichiarazione annuale presentata il 30.03.2009 ed essendo stato l’avviso di pagamento inviato per la notifica il 27.03.2014, il termine quinquennale non era scaduto; c) ha ritenuto l’inidoneità della risposta del 21.06.2005 all’interpello proposto dalla ricorrente a costituire posizione di principio vincolante per l’Agenzia, essendo stata negata dall’Amm.ne l’ammissibilità dell’interpello medesimo, così come doveva ritenersi non vincolante la nota della Direzione Centrale dell’Agenzia n. 133904/2013; d) infine ha ritenuto che il provvedimento non violasse la L. n. 212 del 2000, art. 10 comma 2, i cui effetti dovrebbero ritenersi limitati ad escludere, in caso di accertato legittimo affidamento del contribuente alle prassi ed indicazioni o prescrizioni dell’Amm.ne, alla non applicabilità delle sanzioni, che nella specie l’Agenzia non aveva in concreto irrogato.
La S.c.r.l. Idroenergia ricorre per la cassazione di tale sentenza, con atto notificato il 23.09.2016 ed articolato su 4 motivi.
L’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli ha notificato e depositato controricorso.
Il aprile 2019 la Compagnia Valdostana delle Acque Trading S.r.l. (in avanti COVAT), quale incorporante della Società ricorrente giusta rogito per Notar M.G. 22.12.2017 rep. 16130, ha depositato memoria illustrativa dei motivi e di replica al controricorso.
Nella pubblica udienza del 18.04.2019 il P.G. e le parti hanno discusso oralmente la causa ed all’esito della camera di consiglio la Corte ha deciso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Prima di procedere all’esame dei motivi di ricorso, appare utile una rapida ricognizione della normativa applicabile ratione temporis alla fattispecie, anche a seguito delle modifiche al D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504 (Testo unico accise – TUA) conseguenti alla attuazione, con D.Lgs. 2 febbraio 2007, n. 26 e a far data dal 01/06/2007, della direttiva n. 2003/96/CE del 27 ottobre 2003, che ha ristrutturato il quadro comunitario per la tassazione dei prodotti energetici e dell’elettricità. I testi normativi che si vanno ad esaminare non hanno subito modifiche rilevanti in questa sede ad opera del D.L. 2 marzo 2012, n. 16, conv. con modif. nella L. 26 aprile 2012, n. 44.
1.1. Ai sensi dell’art. 52, comma 1, TUA “l’energia elettrica (codice NC 2716) è sottoposta ad accisa, con l’applicazione delle aliquote di cui all’allegato I, al momento della fornitura ai consumatori finali ovvero al momento del consumo per l’energia elettrica prodotta per uso proprio”.
1.2. Obbligati al pagamento dell’accisa sono, tra gli altri, anche “gli esercenti le officine di produzione di energia elettrica utilizzata per uso proprio” (TUA, art. 53, comma 1, lett. b)), purchè non esclusi dal pagamento dell’imposta ai sensi dell’art. 52, comma 2, TUA. E, per quanto interessa in questa sede, non è sottoposta ad accisa solo l’energia elettrica “prodotta con impianti azionati da fonti rinnovabili ai sensi della normativa vigente in materia, con potenza non superiore a 20 kW” (TUA, art. 52, comma 2, lett. a)).
1.3. L’officina di produzione è “costituita dal complesso degli apparati di produzione, accumulazione, trasformazione e distribuzione dell’energia elettrica esercitati da una medesima ditta, anche quando gli apparati di accumulazione, trasformazione e distribuzione sono collocati in luoghi distinti da quelli in cui si trovano gli apparati di produzione, pur se ubicati in comuni diversi” (TUA, art. 54, comma 1).
1.4. I soggetti obbligati al pagamento delle accise e, in particolare, gli esercenti officine di produzione di energia elettrica utilizzata per uso proprio, “hanno l’obbligo di denunciare preventivamente la propria attività all’Ufficio dell’Agenzia delle dogane competente per territorio e di dichiarare ogni variazione (…)” (TUA, art. 53, comma 4). A seguito della denuncia, l’Ufficio competente, verificata la sussistenza di tutte le condizioni previste dalla legge ed effettuati i necessari controlli, rilascia alle officine di produzione di energia elettrica una licenza di esercizio (TUA, art. 53, comma 7) e queste ultime sono tenute a presentare, entro il mese di marzo dell’anno successivo a quello cui la dichiarazione si riferisce, “una dichiarazione di consumo annuale, contenente, (…), tutti gli elementi necessari per l’accertamento del debito d’imposta relativo ad ogni mese solare, nonchè l’energia elettrica prodotta, prelevata o immessa nella rete di trasmissione o distribuzione” (TUA, art. 53, commi 8 e 9).
1.5. Ai sensi del TUA, art. 55, comma 1, l’accertamento e la liquidazione dell’accisa sono effettuati proprio sulla base della menzionata dichiarazione di consumo annuale, mentre “il termine di prescrizione per il recupero dell’imposta è di cinque anni dalla data in cui è avvenuto il consumo”, salva la sussistenza di fatti illeciti (TUA, art. 57, comma 2).
1.6. Infine, ai sensi del TUA, art. 52, comma 3, lett. b), è esentata da accise l’energia elettrica “prodotta con impianti azionati da fonti rinnovabili ai sensi della normativa vigente in materia, con potenza disponibile superiore a 20 kW, consumata dalle imprese di autoproduzione in locali e luoghi diversi dalle abitazioni”.
1.7. La formulazione della disposizione riprende, sostanzialmente, il testo della L. 13 maggio 1999, n. 133, art. 10, comma 6, che, con riferimento alle addizionali erariali, così recita: “Al fine di agevolare il raggiungimento degli obiettivi di cui al Protocollo sui cambiamenti climatici, adottato a Kyoto il 10 dicembre 1997, l’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili, consumata dalle imprese di autoproduzione e per qualsiasi uso in locali e luoghi diversi dalle abitazioni è esclusa dall’applicazione delle addizionali erariali (…)”. Le menzionate addizionali erariali sono state poi abrogate dalla L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 28, comma 1, che, peraltro, estende all’imposta erariale di consumo di cui al TUA, art. 52 “tutte le agevolazioni previste, fino alla data di entrata in vigore della presente legge, per l’addizionale erariale sull’energia elettrica” (L. n. 388 del 2000, art. 28, comma 3), con disposizione poi assorbita dalla nuova formulazione del TUA, art. 52, conseguente alla novella di cui al D.Lgs. n. 26 del 2007.
1.8. Va, infine, ricordato che, il D.Lgs. n. 79 del 1999, art. 2, comma 2, attuativo della direttiva n. 96/92/CE del 19 dicembre 1996, concernente norme comuni per il mercato interno dell’energia elettrica, stabilisce che, agli effetti del menzionato decreto, “Autoproduttore è la persona fisica o giuridica che produce energia elettrica e la utilizza in misura non inferiore al 70% annuo per uso proprio ovvero per uso delle società controllate, della società controllante e delle società controllate dalla medesima controllante, nonchè per uso dei soci delle società cooperative di produzione e distribuzione dell’energia elettrica di cui alla L. 6 dicembre 1962, n. 1643, art. 4, n. 8, degli appartenenti ai consorzi o società consortili costituiti per la produzione di energia elettrica da fonti energetiche rinnovabili e per gli usi di fornitura autorizzati nei siti industriali anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto”.
2. Dalla lettura coordinata delle su riportate disposizioni si evince che, ai fini della presente controversia, tutte le officine di produzione di energia elettrica per uso proprio sono soggetti obbligati al pagamento delle accise e devono denunciare preventivamente la propria attività, ottenere il rilascio di una licenza di esercizio e depositare annualmente una dichiarazione di consumo.
2.1. Sono, dunque, soggetti obbligati al pagamento delle accise anche gli autoproduttori indicati dal D.Lgs. n. 79 del 1999, art. 2, comma 2, e, specificamente, quei soggetti che producono energia elettrica e la utilizzano in misura non inferiore al settanta per cento annuo per uso proprio ovvero per uso degli appartenenti ai consorzi o alle società consortili costituiti per la produzione di energia elettrica da fonti energetiche rinnovabili.
2.2. Invero, sono esentati dal pagamento delle accise unicamente le officine di produzione che producono energia elettrica per uso proprio a condizione che: a) la produzione avvenga con impianti azionati da fonti rinnovabili; b) detti impianti abbiano una potenza disponibile superiore a 20 kw; c) l’energia autoprodotta venga anche autoconsumata per usi differenti da quello abitativo.
3. Ciò premesso, appare opportuno esaminare il secondo motivo, che, concernendo l’esatta individuazione ed interpretazione della disciplina invocata, ha carattere logicamente preliminare.
3.1. Con esso si deduce violazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 52, comma 3, lett. b, in relazione al D.Lgs. n. 79 del 1999, art. 2, comma 2 (c.d. decreto Bersani) e art. 2602 c.c. e ss., per avere erroneamente affermato l’inapplicabilità alla fattispecie di esenzione invocata (TUA, art. 52) della nozione di autoproduttore fornita dal coevo D.Lgs. n. 79 del 1999, art. 2, definizione peraltro non contenuta nel medesimo TUA, laddove i due testi legislativi regolerebbero comunque sotto diversi profili il medesimo settore economico; e deduce anche violazione della normativa civilistica in tema di consorzi, per non aver tenuto conto della strumentalità della struttura consortile rispetto alle imprese che vi aderiscono ed alla sua natura non lucrativa che ne esclude la natura di impresa, non privilegiando quindi detta strumentalità rispetto all’alterità giuridica tra consorzio e consorziati, come invece dovrebbe evincersi dai più recenti orientamenti di legittimità che valorizzano il fenomeno della unitarietà operativa del consorzio rispetto ai consociati.
L’Agenzia replica focalizzando l’attenzione su due dei quattro requisiti per la fruibilità dell’esenzione invocata, e cioè la produzione di energia con fonti rinnovabili e la consumazione della stessa da parte delle “imprese di autoproduzione”, dai quali si evince il collegamento necessario tra autoproduzione ed autoconsumo, di talchè non è agevolata la parte di energia elettrica prodotta che non viene consumata dallo stesso produttore; sicchè nel settore tributario può costituire autoproduzione soltanto l’attività produttiva non come attività economica a sè stante, ma in quanto funzionale a diversa attività del medesimo operatore, e non potrà ricorrere esenzione in difetto di tale stretta correlazione; e poichè l’art. 53 inserisce tra i soggetti d’imposta anche l’autoproduttore, evidentemente nelle ipotesi nelle quali non ricorrano gli altri requisiti per fruire dell’agevolazione, questi assume veste di autoproduttore per i consumi propri e di venditore per l’energia ceduta a terzi. Evidenzia poi che le due nozioni di “autoproduttore” ricavabili dal TUA e dal c.d. decreto Bersani sono autonome ed applicabili nei rispettivi ambiti di disciplina, come esplicitato in entrambi i testi normativi; e sono anche intrinsecamente differenti, poichè il secondo richiede una soglia di autoconsumo assente nel primo. Infine ricorda (invocando il precedente specifico di Cass. sez. V 12.09.2008 n. 23529) che, trattandosi di norma speciale di deroga agevolativa, l’art. 52 non tollera interpretazioni estensive o applicazioni analogiche, secondo consolidatissimo orientamento di questa Corte, e deve anzi essere interpretata in senso restrittivo. 3.2. Il motivo è infondato.
La CTR, che ha passato in rassegna il contenuto delle disposizioni applicabili, e la cui motivazione si è già ampiamente riassunta, ha ben individuato contenuto e valenza del decreto Bersani, evidenziando che dal suo articolato non emerge alcun riferimento alla disciplina tributaria delle accise, ed ha correttamente affermato che il concetto di autoproduttore di cui al D.Lgs. n. 79 del 1999, art. 2 comma 2, non è estensibile alla materia delle accise, sia perchè per energia autoprodotta si è sempre intesa quella “prodotta per uso proprio e non per scopo di rivendita”, sia perchè “l’imposizione di cui si discorre va applicata al singolo consumo finale in quanto essa stessa imposizione sul consumo”.
3.3. Alla luce delle considerazioni già anticipate ai p.p. 2 ss., la decisione della CTR si rivela sostanzialmente corretta, anche se il percorso motivazionale va integrato e meglio esplicitato ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 4.
3.4. Come già anticipato, la nozione di autoproduzione di cui al D.Lgs. n. 79 del 1999 non è idonea ad individuare i soggetti esentati dal pagamento delle accise ai sensi del TUA, art. 52, comma 3, lett. b), i quali non rientrano nella menzionata definizione. A tal fine sembra opportuno evidenziare o ribadire le seguenti considerazioni:
a) il D.Lgs. n. 79 del 1999, art. 2, comma 1, afferma che le definizioni di cui ai successivi commi valgono ai soli fini del decreto e, pertanto, la definizione di autoproduzione di cui al comma 2 trova un limite applicativo testuale;
b) le finalità del decreto Bersani, in linea con la direttiva n. 96/92/CE sono quelle di perseguire un mercato concorrenziale dell’energia elettrica mentre il TUA, come modificato dal D.Lgs. n. 26 del 2007, in attuazione della direttiva n. 2003/96/CE, ha come obiettivo l’armonizzazione della tassazione degli Stati membri della UE in materia di accise sui prodotti energetici: in questo contesto, la definizione di autoproduzione di cui al decreto Bersani deve fare i conti con la qualifica di soggetti obbligati al pagamento delle accise che hanno le officine di produzione di energia elettrica per uso proprio ai sensi del Testo unico accise;
c) l’esenzione prevista dal TUA, art. 52, comma 3, lett. b), con riferimento all’energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili è limitata all’utilizzazione che fa dell’energia medesima il soggetto autoproduttore ed è di stretta interpretazione: deve, pertanto, riconoscersi l’esenzione unicamente alla società consortile che produce l’energia, nei limiti del consumo dalla stessa praticato, e non già per l’ipotesi in cui la società consortile ceda l’energia elettrica a distinti soggetti giuridici quali sono i consorziati (nello stesso senso, sebbene con riferimento alle addizionali locali sull’energia elettrica, Cass. n. 8293 del 09/04/2014; Cass. n. 23529 del 12/09/2008), pena facili ed intuibili elusioni della disposizione agevolativa;
d) la giurisprudenza riguardante la traslazione delle agevolazioni IVA spettanti alla società consortile sui singoli consorziati attraverso il meccanismo del cd. ribaltamento dei costi e dei ricavi (Cass. n. 24320 del 04/10/2018; Cass. n. 3166 del 09/02/2018; Cass. n. 18437 del 26/07/2017) segue uno schema differente, in quanto, nelle fattispecie considerate, il contratto di appalto stipulato dal committente con la società consortile è direttamente imputabile alle società consorziate, con conseguente neutralità del consorzio, che non esercita attività commerciale in proprio; nel caso dell’autoproduzione, invece, è la società consortile a svolgere, legittimamente (cfr. Cass. S.U. n. 12190 del 14/06/2016), attività commerciale in proprio e a cedere il prodotto ai consorziati: laddove lo scopo consortile non è certo quello di godere della agevolazione fiscale, ma quello di approvvigionarsi di energia elettrica a costi contenuti.
3.5. A ciò si aggiunga che la L. 28 dicembre 2015, n. 208, art. 1, comma 911, applicabile solo con riferimento all’anno d’imposta 2016 (e, pertanto, non alla presente controversia), ha previsto che “D.Lgs. 26 ottobre 1995, n. 504, art. 52, comma 3, lett. b), si applica anche all’energia elettrica prodotta con impianti azionati da fonti rinnovabili ai sensi della normativa vigente in materia, con potenza disponibile superiore a 20 kw, consumata dai soci delle società cooperative di produzione e distribuzione dell’energia elettrica di cui alla L. 6 dicembre 1962, n. 1643, art. 4, n. 8), in locali e luoghi diversi dalle abitazioni”. 3.5.1. La menzionata disposizione richiama pedissequamente solo la prima parte del decreto Bersani, art. 2, comma 2, includendo, pertanto, nell’esenzione i soci delle società cooperative di produzione e distribuzione dell’energia elettrica, ma non estendendo l’esenzione agli appartenenti ai consorzi o società consortili costituiti per la produzione di energia elettrica da fonti energetiche rinnovabili.
3.5.2. Tale innovazione offre un ulteriore spunto argomentativo per confermare la tesi più sopra sostenuta: l’estensione dell’esenzione alle sole società cooperative di cui al D.L. n. 79 del 1999, art. 2, comma 2, implica, a contrario, che i consorzi e le società consortili, già esclusi, rimangono fuori dal campo applicativo della norma anche per gli anni d’imposta successivi al 2016.
3.6. Va, dunque, enunciato il seguente principio di diritto: “in tema di accise sull’energia elettrica, la società consortile che autoproduce energia elettrica da fonte rinnovabile, con impianti dalla potenza disponibile superiore a 20 kw, beneficia dell’esenzione prevista dal D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 52, comma 3, lett. b), (nella sua formulazione applicabile ratione temporis, successiva alle modifiche introdotte con il D.Lgs. n. 26 del 2007) limitatamente all’energia prodotta e consumata in proprio e non anche a quella prodotta e ceduta ai singoli consorziati”.
3.7. Poichè, nella fattispecie, non è in contestazione (ed emerge chiaramente dal tenore dell’avviso di pagamento impugnato e prodotto anche nel presente giudizio) che si chieda l’esenzione con riferimento alla sola energia prodotta e ceduta da COVAT in favore dei consorziati (e non anche con riferimento all’energia autoprodotta ed autoconsumata), il motivo proposto deve essere senz’altro rigettato.
4. Con il primo motivo la Idroenergia ha denunciato violazione e falsa applicazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., della L. n. 212 del 2000, artt. 10 e 11: dopo aver enumerato gli atti delle diverse articolazioni dell’Agenzia che si erano pronunciate in tempi diversi sulla spettanza alla ricorrente della qualifica di autoproduttore e sulla conseguente spettanza dell’esenzione prevista dal TUA, art. 52, comma 3, lett. b (pagg.9-10 del ricorso), evidenzia che la CTR avrebbe implicitamente ed erroneamente interpretato il combinato disposto degli artt. 10 ed 11 invocati come se soltanto il secondo prevedesse l’esaurimento della pretesa impositiva in esito ad una determinata risposta favorevole dell’Agenzia medesima, laddove l’art. 10 potrebbe al più giustificare la non irrogazione delle sanzioni connesse, delimitando in tali ristretti termini gli effetti favorevoli del legittimo affidamento del contribuente. Quindi (pagg.14 segg.) critica tale opzione interpretativa ricordando, anche alla luce dell’insegnamento di questa Corte (Cass. sez.V 2002 n. 17576 ed altre successive), che il principio di affidamento, del quale l’art. 10 rappresenta soltanto una ipotesi esemplificativa, ha portata generale e trova radice in ineludibili principi costituzionali (artt. 3,23,53 e 97 Cost.), dovendo trovare graduazione di effetti a seconda delle concrete fattispecie di verificazione, sicchè anche elementi dell’imposizione diversi dalle sanzioni e dagli interessi potrebbero essere esclusi dalla pretesa impositiva; evidenziando come nella specie una pluralità di concorrenti elementi (la pluralità dei pronunciamenti dell’amministrazione e l’elevato grado di specificità degli stessi – pagg.16-18 -, il lungo lasso di tempo intercorso fino all’emissione dell’avviso – pagg.24-25 -) avrebbe dovuto condurre alla massima espansione di efficacia nell’applicazione del principio di affidamento; che la portata generale del principio è testimoniata da altre norme dell’ordinamento tributario, quale il D.P.R. n. 600 del 197, art. 43, u.c. e lo stesso art. 11 di cui si censura la violazione, in merito al quale la stessa Corte ha ritenuto idoneo a generare legittimo affidamento anche la risposta dell’Amm.ne ad interpello inammissibile (Cass. sez. V 2010 n. 20421). Infine ricorda che, come nella fattispecie, anche la sussistenza di un teorico diritto di rivalsa, che il soggetto obbligato al pagamento delle accise sull’energia elettrica avrebbe nei confronti degli acquirenti, potrebbe essere vanificato dal decorso del tempo; sicchè effetti sostanzialmente esoneranti dal pagamento dell’imposta sarebbero ammissibili in alcuni casi di affidamento legittimo, come peraltro affermato in importanti pronunce della Corte di Giustizia UE (sentenza 9.10.2014 C-492/2013, Traum EOOD, e sentenza 14.09.2006 C-181/2004, Elmeka).
Alla luce delle svolte considerazioni la ricorrente, in via subordinata all’accoglimento del motivo, insta per la remissione degli atti alla Corte Costituzionale per contrarietà della norma ai menzionati principi costituzionali o alla Corte di Giustizia UE per la verifica di compatibilità della normativa medesima ai principi comunitari.
L’Agenzia sul punto ha replicato osservando che il senso logico-letterale del testo normativo non ammetterebbe interpretazioni diverse, che comunque sarebbero contrastanti con i principi di legalità ed indisponibilità dell’obbligazione tributaria, nonchè con i principi costituzionali di cui eguaglianza e capacità contributiva; e richiamando un più recente orientamento di questa Corte di legittimità (la cui più completa enunciazione si troverebbe in Cass. sez. V 17.04.2013 n. 9282, per un’ipotesi molto simile a quella in esame) che si è tassativamente espresso per l’assoluta non incidenza della tutela del legittimo affidamento sull’obbligazione tributaria.
4.1. Neppure il riassunto motivo merita accoglimento.
Secondo la ormai prevalente giurisprudenza di questa Corte, cui si intende dare continuità, “la tutela dell’affidamento incolpevole del contribuente, sancita dalla L. n. 212 del 2000, art. 10, commi 1 e 2, costituisce espressione di un principio generale dell’ordinamento tributario, che trova origine nei principi affermati dagli artt. 3,23,53 e 97 Cost., e, in materia di tributi armonizzati, in quelli dell’ordinamento dell’Unione Europea, sicchè deve ritenersi che la situazione di incertezza interpretativa, ingenerata da risoluzioni dell’Amministrazione finanziaria, anche se non influisce sulla debenza dell’imposta, deve essere valutata ai fini dell’esclusione dell’applicazione delle sanzioni” (così Cass. n. 370 del 09/01/2019, con ampi riferimenti alla giurisprudenza Europea in materia di tributi armonizzati; sempre con riferimento all’esclusione delle sole sanzioni, si vedano ancora Cass. n. 10499 del 03/05/2018; Cass. n. 12635 del 08/02/2017; Cass. n. 5934 del 25/03/2015; Cass. n. 16692 del 03/07/2013; Cass. n. 21070 del 13/10/2011; Cass. n. 19479 del 10/09/2009).
4.1.1. E’ stato altresì precisato che “le circolari ministeriali in materia tributaria non costituiscono fonte di diritti ed obblighi, sicchè, ove il contribuente si sia conformato ad un’interpretazione erronea fornita dall’Amministrazione finanziaria, è esclusa soltanto l’irrogazione delle relative sanzioni e degli interessi, senza alcun esonero dall’adempimento dell’obbligazione tributaria, in base al principio di tutela dell’affidamento, espressamente sancito dalla L. n. 212 del 200, art. 10, comma 2” (Cass. n. 12635 del 19/05/2017; Cass. n. 10195 del 18/05/2016; Cass. n. 3757 del 09/03/2012; Cass. n. 2133 del 14/02/2002).
4.1.2. Il principio trova origine nel fondamentale arresto delle Sezioni Unite, per il quale “la circolare non vincola addirittura la stessa autorità che l’ha emanata, la quale resta libera di modificare, correggere e anche completamente disattendere l’interpretazione adottata. Ciò è tanto vero che si è posto il problema della eventuale tutela del contribuente di fronte al mutamento di indirizzo (interpretativo) adottato dall’amministrazione e si è escluso che tale tutela sia possibile anche sotto il profilo dell’affidamento, stante la evidente collisione che si determinerebbe con il principio coniugato secondo un diverso lessico, ma riferito ad un unico concetto – di inderogabilità delle norme tributarie, di indisponibilità dell’obbligazione tributaria, di vincolatezza della funzione di imposizione, di irrinunciabilità del diritto di imposta. Non si può, al riguardo, non concordare con quella dottrina secondo la quale ammettere che l’amministrazione, quando esprime opinioni interpretative (ancorchè prive di fondamento nella legge), crea vincoli per sè e i Giudici tributari, equivale a riconoscere all’amministrazione stessa un potere normativo che, a tacer d’altro, è in palese conflitto con il principio costituzionale della riserva relativa di legge codificato dall’art. 23 Cost. Tutt’al più, come è stato pure affermato, potrebbe ammettersi che il mutamento da parte dell’amministrazione di un precedente indirizzo (interpretativo) sul quale il contribuente possa aver fatto affidamento, eventualmente rilevi (o possa esse valutato) ai fini della applicazione delle sanzioni e della richiesta degli interessi sulle somme dovute a titolo di imposta” (Cass. S.U. n. 23031 del 02/11/2007, in motivazione).
4.1.3. E’ vero che, giusta la valenza generale del principio del legittimo affidamento, è stato anche affermato che i casi di tutela espressamente enunciati dalla L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 2, (attinenti all’area della irrogazione di sanzioni e della richiesta di interessi), vanno considerati quali situazioni meramente esemplificative e legate a ipotesi ritenute maggiormente frequenti, atteso che la regola è idonea a disciplinare una serie indeterminata di casi concreti (Cass. n. 620 del 12/01/2018; Cass. n. 537 del 14/01/2015; Cass. n. 14000 del 22/09/2003; Cass. n. 17576 del 10/12/2002; si veda anche Cass. n. 8197 del 22/04/2015, che esprime analogo principio pur affrontando la questione unicamente dal punto di vista delle sanzioni).
Tuttavia, come chiarito da Cass. n. 25299 del 20/11/2013, dire che la L. n. 212 del 2000, art. 10, sia una norma aperta significa unicamente “che la induzione in errore incolpevole del contribuente può essere determinata anche da differenti circostanze di fatto ovvero anche da altre condotte, imputabili ad errore della Amministrazione finanziaria, dalla stessa norma non espressamente considerate”. Si tratta, pertanto, di condotte diverse da quelle tipizzate, vale a dire le errate “indicazioni contenute in atti” dell’Amministrazione ovvero i “fatti (…) conseguenti a ritardi, omissioni od errori” della stessa (L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 2) o ancora le “obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione della norma impositiva” (L. n. 212 del 2000, art., comma 3), in presenza delle quali la tutela del legittimo affidamento può venire ad incidere sulla stessa debenza del tributo (si tratta appunto della peculiare ipotesi esaminata da Cass. n. 17576 del 2002, citata anche dalla difesa di COVAT).
Situazioni siffatte, in cui la tutela del legittimo affidamento viene ad incidere sulla stessa debenza del tributo, sono caratterizzate da circostanze concrete di natura eccezionale, e non necessariamente ricomprendono quelle in cui l’induzione in errore sia da ascriversi ad informazioni fornite dalla Amministrazione doganale con atti interpretativi di carattere generale o con erronee prassi applicative, che sono già espressamente contemplate dalla L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 2, e sono, dunque, inidonee ad esonerare il contribuente dall’obbligazione tributaria principale (cfr. sempre Cass. n. 25299 del 2013, cit.).
4.2. Venendo, in particolare, al caso di specie, la società contribuente afferma che in svariati atti dell’Amministrazione finanziaria è stata riconosciuta a COVAT la qualità di autoproduttore di energia elettrica da fonti rinnovabili escluso dall’obbligo di pagamento delle accise, così ingenerando il legittimo affidamento della stessa nella menzionata esenzione.
4.2.1. Si tratta, tuttavia, di valutazioni che l’Amministrazione doganale ha assunto in conseguenza della determinazione del deposito cauzionale (Ufficio tecnico di finanza di Torino del 02/06/2000; Agenzia delle Dogane di Ancona del 17.04.2002; Ufficio delle dogane di Aosta del 17/04/2009;) ovvero in sede di verifica ispettiva (Ufficio delle dogane di Aosta del 12/11/2004 e segg., che si limita ad attribuire la qualifica che risulta dalla documentazione riscontrata), atti che già rientrano a pieno regime nella formulazione della L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 2.
4.2.2. Nè può darsi specifica rilevanza ad altri provvedimenti che nulla dicono in relazione alla questione di cui si discute, ovvero si limitano a riconoscere a COVAT la qualifica di autoproduttore esentato dal pagamento dell’imposta erariale sul consumo (Direzione Centrale, Area Gestione Tributi del 04/10/2005; Direzione regionale per il Piemonte e la Valle d’Aosta del 21/06/2005), senza specificare se, ai fini dell’esenzione, l’energia autoprodotta deve essere autoconsumata ovvero può anche essere ceduta ai soci consorziati (questione dirimente, come più sopra evidenziato).
Peraltro deve rilevarsi che la licenza di esercizio rilasciata alla Società in data 23.06.2003 le attribuiva la qualifica di “Cliente grossista che immette in consumo energia elettrica”, dando atto della possibilità di cedere a terzi l’energia prodotta.
5.2.3. Infine non è pertinente il richiamo della ricorrente (pagg.19-20 del ricorso) al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, u.c., dal quale vorrebbe evincersi l’emergenza normativa degli effetti preclusivi dell’affidamento, in virtù dei menzionati atti, rispetto alla modifica in pejus degli stessi per carenza della conoscenza di elementi nuovi, e quindi l’impossibilità di pretendere la corresponsione delle accise pur dovute. La preclusione di nuovo accertamento, proveniente da un settore tributario del tutto diverso, esprime chiaramente una sorta di ne bis in idem, a tutela del diritto del contribuente a non veder rimessa in gioco la medesima materia impositiva senza adeguate sopravvenienze conoscitive; laddove nella specie nessuno dei provvedimenti già emessi dall’Agenzia delle Dogane era direttamente finalizzato alla pronuncia sul diritto all’esenzione in relazione ad un particolare anno d’imposta ed era idoneo, per i limiti stessi degli accertamenti ed indagini da compiersi, ad acquisire una conoscenza specifica dei presupposti per l’attività impositiva. Del pari nessuna valenza significativa può avere il lasso di tempo trascorso laddove, come nel caso di specie, i provvedimenti sulla base dei quali vuole costruirsi un inattendibile affidamento della contribuente siano, appunto, privi di quella valenza sintomatica dell’inesistenza (o dell’abbandono) della pretesa impositiva che sola può giustificare il legittimo affidamento del soggetto passivo.
4.3. Ancorchè non abbia costituito autonomo motivo di ricorso, la ricorrente ha tuttavia denunciato nel motivo in esame, come già riportato, anche la pretesa erronea violazione della L. n. 212 del 200, art. 11. Orbene, va evidenziato che nessuno dei provvedimenti assunti dalla Amministrazione doganale, che avrebbero riconosciuto all’allora Idroenergia s. cons. r.l. la qualifica di soggetto esente da accisa, sono stati resi all’esito di una regolare procedura di interpello per come disciplinata dalla L. n. 212 del 2000, art. 11.
4.3.1. Invero, l’interpello del 21/06/2005 è stato ritenuto inammissibile dall’Amministrazione doganale, sicchè ogni valutazione compiuta nella risposta comunque fornita (peraltro, riguardante l’addizionale provinciale sul consumo di energia elettrica e non specificamente le accise) non può in alcun modo vincolare i successivi atti posti in essere dall’Amministrazione medesima, come esattamente affermato nella sentenza oggetto di ricorso. Gli altri atti, invece, non sono stati emessi a seguito di regolare procedura di interpello, che sola può determinare l’effetto vincolante previsto dalla citata disposizione di legge.
Del resto, l’efficacia della risoluzione o della circolare che segue l’interpello “vincola l’Amministrazione, ai sensi della L. n. 212 del 200, art. 11, comma 3, con esclusivo riferimento alla questione oggetto dell’istanza o, al più, con riguardo ai comportamenti successivi del contribuente riconducibili alla fattispecie oggetto di interpello” (Cass. n. 735 del 13/01/2017).
Nel caso di specie, si tratta di accise (e non di addizionali provinciali) relative all’anno 2009, successivo, pertanto, all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 26 del 2007, che ha comportato una integrale rivisitazione della materia; con riferimento a tale anno nessuna istanza di interpello risulta presentata all’Amministrazione doganale; nè il provvedimento del 17/04/2009, che ha esentato Idroenergia s. cons. r.l. dall’obbligo di cauzione, è qualificabile come risposta ad un interpello.
E vale da ultimo evidenziare che non è irragionevole, sotto il profilo costituzionale ed unionale, la diversità di disciplina degli effetti prevista dalla L. n. 212 del 200, art. 10 e dall’art. 11 della legge medesima. Infatti, l’ipotesi prevista da quest’ultima disposizione, che comporta la grave conseguenza della nullità dell’atto impositivo, riguarda una situazione in cui l’Amministrazione finanziaria ha dato una risposta specifica nel merito di un formale quesito del contribuente, ingenerando nello stesso il ragionevole convincimento della correttezza della soluzione fornita, laddove negli altri casi si tratta di indicazioni di carattere generale o particolare formulate in via di prassi generale o applicativa, senza che la specifica problematica sia stata formalmente posta dal contribuente alla puntuale valutazione dell’Ufficio e sia stata da questo valutata con specifico riferimento alle condizioni soggettive ed operative dell’istante.
4.4. Le conclusioni della CTR sono, dunque, conformi a diritto, spettando alla società contribuente, in ragione del legittimo affidamento specificamente tutelato dalla L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 2, unicamente l’esenzione dalle sanzioni e dagli interessi, puntualmente riconosciuta dall’Agenzia.
5.1. Nè la norma così interpretata è incostituzionale, perchè al principio, di rilievo costituzionale, del legittimo affidamento fa, comunque, da contraltare il principio, di rilevanza costituzionale, della riserva di legge, nonchè gli ulteriori principi di inderogabilità delle norme tributarie, di indisponibilità dell’obbligazione tributaria, di obbligatorietà della funzione di imposizione e di irrinunciabilità del diritto di imposta, già menzionati dalle Sezioni Unite di questa Corte.
5.2. Infine non sembra necessario dar luogo al chiesto rinvio pregiudiziale innanzi alla Corte di Giustizia UE, tenuto conto che, come evidenziato dalla stessa parte ricorrente, questa ha già ampiamente chiarito che, se è vero che il diritto ad avvalersi del principio della tutela del legittimo affidamento “si estende a ogni individuo in capo al quale un’autorità amministrativa abbia fatto sorgere fondate speranze a causa di assicurazioni precise che essa gli avrebbe fornito” (ex multis, CGUE 14 giugno 2017, in causa C26/16, punto 76; CGUE 9 luglio 2015, in causa C-183/14, punto 44; CGUE 5 marzo 2015, in causa C-585/13, punto 95), tuttavia “il legittimo affidamento non può basarsi su una prassi illegittima dell’amministrazione” (CGUE 11 aprile 2018, in causa C-532/16, punto 50; CGUE 6 febbraio 1986, in causa C-162/84, punto 6).
5.2.1. Rientra, pertanto, nella specifica competenza del giudice nazionale stabilire se, avuto conto della specificità del caso concreto, sussistano i presupposti per il riconoscimento della inapplicabilità del tributo ovvero, più semplicemente, delle sanzioni e degli interessi. E, in proposito, la valutazione della CTR, che ha ricompreso l’atteggiamento di COVAT nell’ambito di tutela della L. n. 212 del 2000, art. 10, comma 2, è pienamente coerente con il formante giurisprudenziale interno, a sua volta rispettoso dei principi evincibili dalla giurisprudenza della Corte di giustizia della UE.
Ne consegue che, se l’Amministrazione finanziaria non ha fornito una corretta interpretazione del dato normativo, non per questo è possibile escludere il diritto alla riscossione dell’imposta, opportunamente temperato, nel caso di specie, dalla mancata applicazione di sanzioni ed interessi.
6. Infine con il terzo e quarto motivo Idroenergia deduce violazioni del TUA, artt. 15 e 57, da soli o in correlazione con l’art. 2943 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3., perchè la CTR avrebbe fatto decorrere il termine di prescrizione, in contrasto con l’espresso dettato normativo, dalla data di presentazione della denuncia annuale (30.03.2014) anzichè dal momento del consumo di energia (fine dell’anno 2013), senza che neppure fossero ipotizzabili comportamenti omissivi fraudolenti che necessitassero speciali indagini, anzi nella perfetta consapevolezza da parte dell’Agenzia dell’applicazione del regime di esenzione. Inoltre, in violazione anche dell’art. 2943 c.c., i Giudici d’appello avevano considerato momento interruttivo della prescrizione la data di spedizione dell’avviso impugnato (27.03.2014), avente chiara natura ricettizia, anzichè quello di ricezione dello stesso (1.04.2014).
Sostiene di contro l’Agenzia che il termine di prescrizione dovrebbe decorrere (così come quello di decadenza dall’istanza di rimborso ex art. 14) dal momento in cui essa ha conoscenza dei dati necessari per la liquidazione (ai sensi del TUA, art. 55, comma 1), quindi dal momento della comunicazione della denuncia annuale, e cioè il momento del presunto consumo; derivandone perciò la tempestività dell’avviso.
Il terzo motivo è infondato.
6.1. Secondo un recente arresto della S.C., cui in questa sede si intende dare continuità, “il termine quinquennale di prescrizione che, ai sensi del D.Lgs. n. 504 del 1995, art. 57, comma 3, decorre dalla “data in cui è avvenuto il consumo”, va riferito alla data di presentazione della dichiarazione annuale da parte del contribuente-fabbricante, responsabile dell’attuazione del tributo, assumendo rilievo il momento in cui l’Ufficio è posto nelle condizioni di verificare l’adempimento degli obblighi di cui al cit. D.Lgs., art. 55, comma 1".
Il riportato principio di diritto, sebbene faccia riferimento a disposizioni del TUA nella versione antecedente alle modifiche apportate dal D.Lgs. 2 febbraio 2007, n. 26, è sicuramente applicabile anche a seguito della novella, non essendo sostanzialmente mutato il contesto normativo.
6.2. Il TUA, art. 57, comma 2, nel testo applicabile ratione temporis, ricollega il termine di prescrizione per il recupero dell’imposta, determinato in cinque anni, alla data in cui è avvenuto il consumo, salva la presenza di illeciti penali o amministrativi. Tuttavia, il credito per accisa implica specifici adempimenti del contribuente, obbligatori per legge, rispetto ai quali l’intervento dell’Amministrazione doganale risulta solo eventuale: le attività di accertamento necessarie, anche sul piano cronologico, sono, in realtà, demandate al contribuente-produttore, che assume la responsabilità dell’attuazione del tributo.
6.2.1. Ne deriva che l’azione successiva dell’Amministrazione si caratterizza come controllo di quanto il contribuente ha realizzato: l’atto di accertamento ha ad oggetto i fatti imponibili non direttamente, bensì attraverso un’attività secondaria, propria del contribuente-produttore, che ha, in concreto, quale obbiettivo gli atti posti in essere (od omessi) dal contribuente medesimo.
6.3.2. In questo contesto, la “data in cui è avvenuto il consumo” si identifica, in termini univoci, in quella in cui è possibile verificare che il contribuente-produttore abbia adempiuto agli obblighi di legge e, dunque, coincide con quella di presentazione della dichiarazione annuale di cui al TUA, art. 55, comma 1, da effettuare entro il mese di marzo dell’anno successivo a quello cui il consumo si riferisce.
6.4. Nel caso di specie, pertanto, poichè la dichiarazione annuale dei consumi dell’anno 2008 è stata presentata il 30.03.2009, il termine di prescrizione andava a scadere il 30.03.2014; dovendosi quindi verificare se l’avviso di pagamento sia intervenuto entro detto termine.
6.5. E’ invece fondato il quarto motivo concernente la tempestività dell’atto impositivo con effetti interruttivi, che, pacificamente, è stato inviato dall’Agenzia il 27.03.2014, ma ricevuto dalla Idroenergia il 1 aprile successivo, quindi il secondo giorno successivo alla scadenza del termine di prescrizione.
Invero, non può dubitarsi che l’avviso di pagamento, come altri avvisi a contenuto di accertamento e/o intimazione di pagamento posti in essere dall’Amm.ne Finanziaria, sia atto di natura sostanziale, che, nella specie per espressa previsione normativa, ha effetto interruttivo della prescrizione; effetto che il codice civile (art. 2943 c.c.) ricollega alla notifica di una serie di atti di iniziativa giurisdizionale o (u.c.) ad ogni atto idoneo alla costituzione in mora del debitore. A tale ultima categoria di atti appartengono anche gli avvisi di cui si tratta, che pertanto hanno tipica natura unilaterale ricettizia e sono quindi assoggettati alla disciplina prevista dall’art. 1334 c.c., e producono i loro effetti tipici con la conoscenza legale da parte del destinatario: in tal senso da ultimo ha dichiarato l’inapplicabilità del principio c.d. della scissione soggettiva degli effetti della notificazione enunciato da Cass. S.U. n. 24822 del 09/12/2015 ai casi degli atti unilaterali recettizi ed atutti quegli atti, quali la rinuncia, che possono essere compiuti anche senza attività processuale, Cass. SU 22.03.2019 n. 8227.
Pertanto, poichè la CTR ha collegato l’effetto interruttivo all’invio del plico raccomandato contenente l’avviso oggi impugnato, la sentenza deve essere cassata limitatamente alla sola annualità del 2008. Tuttavia la disponibilità agli atti dei documenti necessari alla decisione di entrambe le eccezioni (ampiamente riprodotti dalla stessa appellante) e la non necessità di ulteriori attività istruttorie consente alla Corte di deciderle nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, pervenendo all’accoglimento dell’eccezione di prescrizione della pretesa erariale limitatamente alle accise dovute per i consumi realizzati nell’esercizio 2008 ed agli interessi applicati sulla rispettiva somma; e conseguentemente annullando in parte qua l’avviso di pagamento impugnato dalla ricorrente innanzi alla CTP di L’Aquila.
7. In conclusione, respinti i primi tre motivi, deve essere accolto il quarto, con decisione nel merito nei sensi sopra enunciati. La novità di alcune delle questioni trattate ed il parziale accoglimento del ricorso originario giustificano l’integrale compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio.
11.1. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è parzialmente accolto, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, che ha aggiunto il testo unico di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della non sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quarto motivo di ricorso, respinge gli altri tre, cassa e, decidendo nel merito del motivo accolto, accoglie il ricorso originario limitatamente al debito d’imposta relativo all’anno 2008.
Spese compensate per tutti i gradi di giudizio.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma l-quater, dà atto della non sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del medesimo art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 18 aprile 2019.
Depositato in Cancelleria il 17 ottobre 2019
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