LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Presidente –
Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –
Dott. CATALLOZZI Paolo – Consigliere –
Dott. SAIJA Salvatore – Consigliere –
Dott. CORRADINI Grazia – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 8637-2013 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
PRELIOS CREDIT SERVICING SPA, elettivamente 2019 domiciliato in ROMA VIA SARDEGNA 38, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO MICHELE CAPORALE, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato ANGELA ROVEDA;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 52/2012 della COMM. TRIB. REG. di MILANO, depositata il 03/05/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/03/2019 dal Consigliere Dott. GRAZIA CORRADINI.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza n. 52/8/2012 depositata in data 3 maggio 2012 la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia confermava la sentenza n. 144/5/2010 della Commissione Tributaria Provinciale di Milano che aveva accolto il ricorso presentato da PIRELLI RE CREDIT SERVICING Spa (successivamente PRELIOS CREDIT SERVICING Spa) “per ottenere il rimborso degli interessi relativi ad un credito IVA riconosciuto alla contribuente con provvedimento della Agenzia delle Entrate Ufficio di Milano ***** in data 2.2.2009 prot. n. *****”.
Con il provvedimento in data 2 febbraio 2009 la Agenzia delle Entrate, in risposta alla domanda di rimborso, presentata dalla contribuente ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 42, dell’IVA versata nella misura di Euro 2.257.053,55 per prestazioni documentate da otto fatture per il periodo compreso fra il 29.11.2002 ed il 10.4.2003, eseguite dalla Pirelli Re Credit Servicing Spa a favore delle Società International Credit Recovery (5) Srl ed International Credit Revovery (6) Srl, facenti parte del gruppo Bancario “Credito Fondiario Industriale Spa”, fondata sulla pretesa esenzione dell’IVA ai sensi della L. n. 133 del 1999, art. 6, per prestazioni eseguite nell’ambito delle attività ausiliarie di cui alla L. bancaria, art. 59, comma 1, lett. c), a favore di società rientranti nello stesso gruppo bancario, aveva rilevato che non era corretta la procedura attivata di rimborso su conto fiscale a cura del Concessionario, poichè riguardava le ipotesi di rimborsi disposti dall’Ufficio in caso di tributi erroneamente iscritti a ruolo ovvero di erronei versamenti di imposte sul reddito, ma che peraltro, poichè doveva essere riconosciuta la non assoggettabilità ad IVA delle prestazioni rese fra società del Gruppo bancario oggetto dell’istanza, il soggetto richiedente veniva autorizzato a portare in detrazione l’importo richiesto a rimborso nella prima dichiarazione dei redditi successiva alla notifica del provvedimento.
Utilizzato il credito in detrazione nella dichiarazione per la annualità 2009, la società ricorrente aveva quindi adito, al fine di ottenere il rimborso degli interessi maturati e maturandi dalla istanza di rimborso, la CTP di Milano che aveva ritenuto spettanti gli interessi poichè il diritto al rimborso era stato riconosciuto dal provvedimento impugnato, sia pure sotto forma di detrazione.
La CTR della Lombardia respingeva l’appello dell’Agenzia delle Entrate ritenendo che la domanda di rimborso avesse riguardato anche gli interessi, su cui l’Ufficio non si era pronunciato, per cui legittimamente la ricorrente aveva impugnato “il rifiuto tacito della restituzione degli interessi” che doveva essere annullato poichè il diritto di credito IVA era equiparato al diritto al rimborso e gli interessi spettavano nell’ambito della previsione del diritto alla ripetizione dell’indebito ai sensi dell’art. 2033 c.c..
Contro la sentenza di appello, notificata in data 23.1.2013, ha presentato ricorso la Agenzia delle Entrate con atto consegnato alla notifica il 22.3.2013 affidato ad un unico motivo.
Resiste con controricorso la Spa Prelios Credit Servicing, nel frattempo subentrata a Pirelli Re Crediti Servicing Spa.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con un unico motivo di ricorso la Agenzia delle Entrate deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 30 e 38 bis, in combinato disposto con il D.P.R. n. 443 del 1993, artt. 1, 2 e 3, e dell’art. 2033 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, rilevando che, al contrario di quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, il diritto a detrarre il credito non era equiparabile al diritto al rimborso, ai fini del riconoscimento degli interessi, poichè, mentre il diritto agli interessi in caso di richiesta di rimborso discendeva dalla previsione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 30 e 38 bis, la cui procedura non era stata utilizzata dalla società ricorrente, non esisteva alcuna norma che prevedesse la applicazione degli interessi in caso di diniego del rimborso e contestuale riconoscimento del credito in detrazione a norma del D.P.R. n. 443 del 1997, art. 1, che prevedeva espressamente, a art. 2, che “il credito riconosciuto ma non ammesso al rimborso non è produttivo di interessi”. Inoltre la contribuente, dopo avere portato in detrazione il credito con la dichiarazione per l’anno di imposta 2009, senza impugnare con ricorso davanti alla Commissione tributaria il diniego espresso di rimborso – come avrebbe potuto fare, se avesse inteso insistere per il rimborso, così come previsto dal D.P.R. n. 443 del 1997, art. 1, comma 3, che, in caso di impugnazione del provvedimento di diniego, sospendeva gli effetti della detrazione fino alla definizione della controversia – non avrebbe potuto pretendere il pagamento degli interessi su un rimborso ormai definitivamente negato ed in relazione ad un credito già utilizzato in detrazione, neppure sotto il profilo della ripetizione dell’indebito, che pure prevede il diritto ai frutti ed agli interessi, poichè nulla era stato nel caso in esame riconosciuto a rimborso e tanto meno rimborsato o restituito.
Con il controricorso la intimata deduce la inammissibilità del ricorso per cassazione per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1 n. 3, per difetto della esposizione sommaria dei fatti di causa, avendo in particolare il ricorso per cassazione omesso di riportare che la istanza di rimborso presentata dalla ricorrente rientrava nell’ambito dell’indebito oggettivo e per introduzione nel giudizio di cassazione di un tema nuovo derivante dalla applicazione del D.P.R. n. 433 del 1997, artt. 1 e 2, che non avevano mai formato in precedenza materia del contendere e chiede altresì il rigetto del ricorso trattandosi di un caso di indebito oggettivo rientrante nella norma di chiusura di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 21.
Il ricorso è ammissibile.
In primo luogo esso contiene una precisa esposizione dei fatti di causa, ben più che sommaria, con riguardo non solo ai fatti, tra l’altro risultanti dal provvedimento di diniego del rimborso da cui è scaturito il presente giudizio, trascritto e quindi riassunto, che riporta la pretesa della ricorrente, ma anche alla posizione ed alle difese delle parti nel giudizio (pagine da 1 a 6 del ricorso) pure con riguardo alla specifica riconduzione del caso all’indebito oggettivo (pag. 14 del ricorso). D’altronde, in tema di giudizio di legittimità, per soddisfare il requisito dell’esposizione sommaria dei fatti di causa prescritto, a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione, dall’art. 366 c.p.c., n. 3, non è necessario che tale esposizione costituisca parte a sè stante del ricorso ma è sufficiente che essa risulti in maniera chiara dal contesto dell’atto, attraverso lo svolgimento dei motivi (v., per tutte, Cass. Sez. 3 -, Sentenza n. 17036 del 28/06/2018 Rv. 649425 – 01), essendo caso mai censurabile la ridondanza del ricorso che non consenta di coglierne la sintesi.
Non è poi vero neppure che il ricorso contenga un tema nuovo di cui non vi è traccia nel giudizio di merito poichè la sentenza impugnata, a pagina 2, riporta lo specifico motivo di appello proposto dall’appellante con riguardo alla non equiparabilità del diritto al rimborso del credito al diritto di credito da detrarre, per cui non potevano essere riconosciuti, secondo l’appellante, gli interessi su una somma non rimborsabile, il che è quanto riproposto dalla Agenzia delle Entrate con il ricorso per cassazione. Per nuovo tema, in caso di ricorso per cassazione, deve infatti intendersi la prospettazione di questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, ovvero di una prospettiva difensiva diversa da quella sostenuta e dibattuta nel giudizio di merito, giacchè i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel “thema decidendum” del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito nè rilevabili di ufficio (v, per tutte, Cass. Sez. 2 -, Sentenza n. 20694 del 09/08/2018 Rv. 650009 – 01), ma non anche la indicazione delle disposizioni legislative a sostegno di una questione ampiamente dibattuta nel giudizio di merito quale quella, nella specie, della mancata previsione legislativa degli interessi su una imposta versata in eccedenza, ritenuta espressamente dalla Agenzia delle Entrate non rimborsabile ma solo come detraibile.
Il ricorso è quindi ammissibile ed è altresì fondato.
La sentenza impugnata ha ritenuto che il provvedimento della Agenzia delle Entrate impugnato nel giudizio integrasse una ipotesi di “rifiuto tacito della restituzione degli interessi” su cui non aveva provveduto, mentre aveva solo autorizzato la contribuente a portare in detrazione l’imposta nella prima dichiarazione successiva alla notifica del provvedimento ed ha riconosciuto il diritto della contribuente agli interessi su tale somma sul presupposto che il diritto a portare una imposta in detrazione, riconosciuto espressamente dall’Ufficio con il provvedimento impugnato, fosse equiparabile al diritto al rimborso, anche perchè lo stesso Ufficio aveva citato nel detto provvedimento la ipotesi di ripetizione dell’indebito, nella quale spettano gli interessi.
Le ragioni del decidere sono state entrambe contestate con il ricorso per cassazione che ha fatto rilevare come il diritto agli interessi sia previsto per legge per il caso di rimborso dell’imposta (D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 30 e 38 bis), e sia invece escluso, sempre per provvedimento normativo (D.P.R. n. 443 del 1997, artt. 1 e 2), per il caso di imposta portata in detrazione, trattandosi di situazioni ben diverse fra di loro e che non si poteva ipotizzare nella specie neppure l’istituto dell’indebito oggettivo, cui sono collegati gli interessi, poichè non vi era stata alcuna restituzione dell’imposta che anzi era stata negata dalla Agenzia delle Entrate con provvedimento definitivo. Ed in effetti le due ragioni giustificatrici sono entrambe infondate poichè il credito degli interessi presuppone in entrambi i casi un rimborso o una restituzione che non è mai avvenuta ed è stata al contrario negata dalla Agenzia con un provvedimento che è divenuto definitivo per mancata impugnazione con cui la Agenzia ha escluso il diritto al rimborso per assenza di una domanda proposta nelle forme di legge.
Come ha correttamente rilevato la Agenzia delle Entrate quel provvedimento sarebbe stato impugnabile sul punto relativo al diniego del rimborso, ma non lo era stato, per cui il definitivo diniego in via amministrativa del rimborso esclude che possa esistere “un diritto al rimborso degli interessi” (rectius al pagamento degli interessi) quando invece la disposizione normativa prevede espressamente che il credito riconosciuto ma non ammesso al rimborso non sia produttivo di interessi (D.P.R. n. 443 del 1997, art. 2), il che è d’altronde la regola in tutti i casi in cui il contribuente opti, invece che per il rimborso, per la utilizzazione credito di imposta in compensazione o in detrazione. In ogni caso, in tema di IVA, il credito inerente agli interessi sulle somme dovute a titolo di rimborso per eccedenza di versamento dell’imposta, non è esigibile fino a che non sia divenuto definitivo l’accertamento del diritto al rimborso del capitale cui esso accede, vale a dire fino al passaggio in giudicato della sentenza sulla “condictio indebiti” o fino alla definizione, operata dall’ufficio ed accettata dalla parte, della somma capitale dovuta in restituzione, non essendo certo sino a tale momento se ed in quale misura gli interessi siano dovuti (v. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 10033 del 29/04/2009 Rv. 607917 – 01 e precedenti tute conformi) il che comporta che solo se fosse stato riconosciuto in via definitiva il diritto alla restituzione si sarebbe concretizzato anche il diritto agli interessi.
La pretesa di restituzione degli importi indebitamente versati inerisce indubbiamente ad una obbligazione che ha la sua fonte nella legge (art. 2033 c.c.), e che prescinde, come tale, dalla natura del rapporto ultimo intercorso tra il “solvens” e l'”accipiens”; pertanto, l’attore, che fa valere una obbligazione pecuniaria ordinaria, ha ovviamente diritto di ottenere, oltre la restituzione della somma indebitamente pagata, gli interessi, ma anche in tal caso si deve trattare di una restituzione della somma, mentre nella specie non vi è stata alcuna restituzione e neppure il riconoscimento di un diritto alla restituzione. Ed in proposito non appare condivisibile l’argomento per cui sarebbe stato l’Ufficio a riconoscere, nel provvedimento impugnato, che si sarebbe trattato di un caso di ripetizione dell’indebito, poichè il provvedimento impugnato cita l’istituto della ripetizione dell’indebito soltanto per spiegare al contribuente che la istanza di rimborso presentata ai sensi del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 42, (previsto per i casi di rimborso sul conto fiscale a cura del Concessionario) era erronea e non poteva trovare accoglimento, mentre “si rammenta all’istante, tale modalità (rimborsi da eseguirsi a cura del Concessionario) è D.P.R. n. 633 del 1972, disciplinata ex art. 30 e art. 38 bis/bis ed è poi previsto in via residuale (in mancanza di altro strumento giuridico per fare valere il rimborso) la possibilità, ai sensi dell’art. 2033 c.c., nel termine di due anni dal momento in cui non può altrimenti ottenere il rimborso. E’ in questa diversa fattispecie che andava inquadrata l’istanza in questione” (così testualmente il provvedimento impugnato che è stato trascritto nel ricorso per cassazione e prodotto in allegato al controricorso), tanto che la istanza di rimborso era stata rigettata e non risulta mai essere stata presentata altra istanza di ripetizione dell’indebito, anche perchè la contribuente ha subito optato per la utilizzazione del credito in detrazione.
L’impugnata sentenza non si è conformata a tali principi di diritto, per cui il ricorso deve essere accolto.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa può essere decisa da questa Corte nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, con il rigetto dell’originario ricorso della contribuente.
In considerazione della novità della questione, può disporsi l’integrale compensazione delle spese processuali, di ogni ordine e grado.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso; cassa l’impugnata sentenza e, decidendo nel merito, rigetta l’originario ricorso avverso il provvedimento impugnato. Compensa le spese processuali, di ogni ordine e grado.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della V sezione civile, il 12 marzo 2019.
Depositato in Cancelleria il 17 ottobre 2019