LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 3
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –
Dott. CIGNA Mario – Consigliere –
Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –
Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –
Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 7385-2018 proposto da:
D.S., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MASSIMO FASANO;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE – RISCOSSIONE;
– intimata –
avverso la sentenza n. 819/2017 della CORTE D’APPELLO di LECCE, depositata il 21/08/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 21/03/2019 dal Consigliere Relatore Dott. RUBINO LINA.
RILEVATO
che:
1. D.S. ha proposto ricorso per cassazione contro l’Agenzia delle Entrate, avverso la sentenza n. 819/2017, emessa dalla Corte d’Appello di Lecce il 21.8.2017, con la quale si accoglieva l’appello dell’Agenzia delle Entrate e, in riforma della sentenza di primo grado, dichiarava legittima la procedura esecutiva immobiliare promossa nei confronti del D..
2.L’Agenzia delle Entrate non ha svolto attività difensiva in questa sede.
3. Essendosi ravvisate le condizioni per la trattazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., nel testo modificato dal D.L. n. 168 del 2016, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 197 del 2016, è stata formulata dal relatore designato proposta di definizione del ricorso con declaratoria di manifesta infondatezza dello stesso. Il decreto di fissazione dell’udienza camerale e la proposta sono stati comunicati.
CONSIDERATO
che:
Il Collegio condivide le conclusioni contenute nella proposta del relatore nel senso del rigetto del ricorso.
Questa la vicenda: il D. e A.M.V. (alla quale il ricorso non è stato notificato) proponevano opposizione all’esecuzione immobiliare intrapresa nei confronti del solo D. da Equitalia, per un credito di quasi 500.000 Euro portato da cartelle esattoriali, deducendo che l’immobile sottoposto ad esecuzione era stato costituito in fondo patrimoniale, e che i debiti contratti dall’odierno ricorrente erano estranei ai bisogni della famiglia, in quanto tutti relativi all’attività di impresa esercitata dallo stesso, nonchè la consapevolezza in capo al creditore di tale estraneità.
L’opposizione, accolta in primo grado, veniva rigettata in appello, sulla base delle seguenti considerazioni:
– che non possono ritenersi estranei ai bisogni della famiglia i debiti inerenti l’attività di lavoro dei coniugi, ivi compresi quelli di natura fiscale e previdenziale, allorquando da tale attività la famiglia tragga i mezzi di mantenimento, proprio in ragione della destinazione degli utili di tali attività anche e soprattutto alle esigenze familiari;
– che nella fattispecie in esame i debiti del D. derivassero in massima parte dall’attività di impresa del medesimo, con cui lo stesso manteneva la famiglia, e quindi fossero riconducibili alle esigenze familiari;
– che in ogni caso l’onere della prova sulla estraneità ai bisogni della famiglia gravasse sull’esecutato e fosse rimasto insoddisfatto.
Il ricorso denuncia con il primo motivo l’omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio oggetto di discussione tra le parti, in cui il fatto non considerato sarebbero state le risultanze probatorie – neppure indicate – che avrebbero consentito di ritenere assolto da parte sua l’onere di documentare l’estraneità delle obbligazioni per il cui soddisfacimento si procedeva ai bisogni della famiglia.
Il motivo, in violazione del disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, manca di specificità, non indicando affatto in realtà quale sarebbero gli specifici fatti non considerati tanto da costituire un tassello decisivo e mancante nella motivazione che ne facesse venir meno la logica complessiva.
In effetti ciò che il ricorrente denuncia è (pag. 6) “un macroscopico vizio motivazionale per omessa o insufficiente valutazione di fatti decisivi per la lite”, secondo una formula del vizio di motivazione non più vigente, che presuppone una ampiezza di scrutinio non più utilizzabile.
Con il secondo motivo, ci si duole della violazione dell’art. 170 c.c. ma facendo anche in questo caso riferimento al vizio di motivazione, in quanto il ricorrente denuncia la contraddittorietà della motivazione sulla valutazione della fonte dei rapporti obbligatori da cui sorgono i debiti tributari.
Anche questo motivo è infondato: valgono per esso le stesse considerazioni di cui al primo motivo sulla genericità. La corte d’appello, partendo dal condivisibile principio per cui grava sul debitore che intenda avvalersi del regime di impignorabilità dei beni costituiti in fondo patrimoniale l’onere di provare l’estraneità del debito alle esigenze familiari e la consapevolezza del creditore (principio affermato in relazione alla iscrizione ipotecaria da Cass. n. 22761 del 2016, ma riferibile anche all’assoggettamento all’esecuzione dei beni costituiti in fondo patrimoniale), ha ritenuto che il ricorrente non avesse fornito idonea prova di ciò.
Il ricorso va pertanto rigettato.
Nulla sulle spese in difetto di attività difensiva in questa sede da parte dell’intimato.
Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, e il ricorrente risulta soccombente, pertanto egli è gravato dall’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, commi 1 bis e 1 quater.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di cassazione, il 21 marzo 2019.
Depositato in Cancelleria il 18 ottobre 2019