LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –
Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere –
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere –
Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 20365-2018 proposto da:
R.I., R.G.E., RO.CE., nella loro qualità di eredi del sig. R.A., elettivamente domiciliati in ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II 326, presso lo studio dell’avvocato CLAUDIO SCOGNAMIGLIO, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato EMILIO TORA;
– ricorrenti –
contro
AGENZIA DEL DEMANIO, in persona del Direttore Generale in carica, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3702/2017 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 03/06/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 16/05/2019 dal Consigliere Relatore Dott. GRASSO GIUSEPPE.
FATTO E DIRITTO
ritenuto che con la sentenza di cui in epigrafe la Corte d’appello di Roma, accogliendo l’impugnazione dell’Agenzia del Demanio, rigettò la domanda, con la quale Ro.Ce., R.G.E. e R.I., tutti eredi di R.A., avevano chiesto accertarsi che “il confine tra la proprietà degli attori (…) e il demanio marittimo è costituito dal muretto di recinzione che delimita, dal versante del mare, la particella *****, appartenente agli attori”;
ritenuto che avverso la statuizione d’appello Ro.Ce., R.G.E. e R.I. ricorrono sulla base di due motivi, ulteriormente illustrati da memoria e che l’intimata Amministrazione resiste con controricorso;
ritenuto che i ricorrenti con il primo motivo, denunziante violazione o falsa applicazione dell’art. 35 c.n., anche in riferimento all’art. 3 Cost. e all’art. 42 Cost., comma 2, e all’art. 829 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, pur consapevoli dell’indirizzo di legittimità, che esclude la sdemanializzazione tacita o per fatto concludente del demanio marittimo, invocano una diversa e a loro favorevole interpretazione, evidenziando, in sintesi, che:
– non emergono diversità sostanziali tra il contenuto dell’art. 829 c.c. e l’art. 35 c.n., dovendosi evidenziare solo una “enunciazione linguistica lievemente differente”;
– da una lettura a contrario della L. n. 241 del 1990, art. 2, si trae che la P.A. nei casi non ivi contemplati può esprimere la propria volontà per “contegno concludente”;
– non si rileva una diversa consistenza dell’interesse pubblico, a seconda che il demanio sia marittimo o meno e proprio per questa ragione le statuizioni di legittimità si limitano tralaticiamente ad affermare il principio avversato col ricorso;
– un’interpretazione costituzionalmente orientata, nel rispetto del principio d’uguaglianza “non consente di differenziare la disciplina della sdemanializzazione del demanio pubblico in generale rispetto a quella della sdemanializzazione del demanio marittimo”;
– una tale interpretazione deve salvaguardare il diritto di proprietà del privato (art. 42 Cost.), avendo nella specie, il CTU accertato che l’area in discorso non presentava “alcuna delle caratteristiche proprie delle aree attribuibili ai sensi della normativa vigente al demanio marittimo”;
considerato che gli argomenti sopra in sintesi ripresi non risultano tali da incrinare il pluridecennale orientamento di legittimità, dovendosi rilevare che:
a) le due discipline (quella dell’art. 829 c.c., per il demanio in genere, e quella dell’art. 35 c.n., per il demanio marittimo) non sono sovrapponibili, l’art. 829 c.c., avente natura generale, prevede che la sdemanializzazione possa avvenire attraverso un atto amministrativo dichiarativo; l’altra, impone una previa verifica in concreto ad opera dell’autorità amministrativa localmente competente, la quale deve constatare la non utilizzabilità delle zone “per pubblici usi del mare”, e un successivo decreto ministeriale;
b) trattasi di una determinazione che necessariamente deve seguire “una valutazione tecnico-discrezionale dei caratteri naturali (…), variabili e contingenti secondo le diverse caratteristiche geofisiche e le varie esigenze locali, in relazione alla diversità degli usi” e “solo ove gli organi amministrativi competenti esprimano la volontà in seno ad appositi provvedimenti da essi adottati – di considerare cessata l’idoneità della spiaggia (comprensiva dell’arenile) agli usi specifici della demanialità marittima si determina il trasferimento dell’area, con efficacia costitutiva, dal demanio al patrimonio” (Sez. 2, n. 7551/2017);
c) l’interesse pubblico, di conseguenza, al contrario dell’asserto censuratorio, ha consistenza e specificità diversa, non solo, primariamente, a riguardo del particolare interesse pubblico al mantenimento del pieno accesso al mare e alla piena fruizione e controllo di esso, anche tenuto conto delle caratteristiche geografiche del territorio nazionale, ma, in secondo luogo, a cagione della peculiarità dell’elemento naturale in esame, mobile e cangiante nel tempo, tale da richiedere un approfondito studio delle concrete situazioni locali; difatti, come di recente ricorda questa Corte (Sez. 2, n. 10489/2018), “nel demanio marittimo è incluso, oltre il lido del mare (porzione di riva a contatto diretto con le acque del mare da cui resta normalmente coperta per le ordinarie mareggiate) e la spiaggia (che comprende quei tratti di terra prossimi al mare, che siano sottoposti alle mareggiate straordinarie), anche l’arenile, ovvero quel tratto di terraferma che risulti relitto dal naturale ritirarsi delle acque, restando idoneo ai pubblici usi del mare, anche se in via soltanto potenziale e non attuale (Cass. 30 luglio 2009, n. 17737)”;
d) la citata decisione n. 10489/2018 si inserisce esattamente nell’alveo giurisprudenziale qui condiviso, dal quale non diverge in alcun modo (siccome afferma, sia pure dubitativamente, il ricorso) per avere, fra l’altro pertinentemente, richiamato l’art. 28 c.n., il quale stabilisce che “Fanno parte del demanio marittimo: il lido, la spiaggia, i porti, le rade; le lagune, le foci dei fiumi che sboccano in mare, i bacini di acqua salsa o salmastra che almeno durante una parte dell’anno comunicano liberamente col mare; i canali utilizzabili ad uso pubblico marittimo”;
e) l’evocazione della L. n. 241 del 1990, art. 2, sia pure a contrario, non può condividersi, trattandosi del tentativo di trarre da una disposizione peculiarmente diretta a salvaguardare il diritto del privato istante per un pronunciamento da parte della P.A., attraverso una forzata lettura del non detto, un principio generale e cogente, secondo il quale, in ogni altro caso (cioè tutte le volte che il provvedere non sia sollecitato dall’istanza di un privato), la P.A., può sempre e comunque, decidere per fatto concludente, pur ove ciò contrasti, come nella specie, con la legge;
f) infine, l’interpretazione fin qui ferma di questa Corte (cfr., ex multis, nn. 10817/2009, 12945/2014, 10489/2018) non necessità di diversamente orientarsi nel rispetto dei principi costituzionali, non contrastando con essi:
– non già con l’art. 3, trattandosi di discipline che tengono conto di situazioni diverse e mirano alla tutela d’interessi non sovrapponibili;
– non già con l’art. 42, il quale al suo comma 1 salvaguarda, addirittura volutamente anteponendola a quella privata, la proprietà pubblica, la quale, è costituita per parte assolutamente preponderante dal demanio necessario;
considerato che il secondo motivo, con il quale i ricorrenti denunziano l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5, per non avere la sentenza tenuto conto della relazione del CTU, il quale aveva chiarito che la particella di cui si discorre non costituiva affatto un tratto di arenile, è inammissibile, avendo la Corte puntualmente spiegato che l’immutazione non “dipende già dalla naturale trasformazione dello stato dei luoghi, ma dalle opere non autorizzate poste in essere dagli odierni appellati, come risultante dal verbale di accertamento redatto nell’anno 2005 laddove si contesta l’occupazione abusiva di “un tratto di p.d.m. con porzione di scogliera (insabbiata), posta a protezione della retrostante proprietà privata, mediante realizzazione di un muro di recinzione””;
considerato che le spese legali debbono seguire la soccombenza e possono liquidarsi siccome in dispositivo, tenuto conto del valore e della qualità della causa, nonchè delle attività espletate;
considerato che ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), ricorrono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte dei ricorrenti, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
PQM
rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento, in favore dei controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, il 16 maggio 2019.
Depositato in Cancelleria il 18 ottobre 2019