Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.28204 del 31/10/2019

Pubblicato il

Condividi su FacebookCondividi su LinkedinCondividi su Twitter

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. SCOTTI Umberto L. C. G. – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13856/2015 proposto da:

P.E., P.D., P.M., elettivamente domiciliati in Roma, Via Val d’Ossola n. 100, presso lo studio dell’avvocato Pettorino Mario, rappresentati e difesi dall’avvocato Bonavera Enrico Erasmo, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

Maior SPV S.r.l., tramite la PreAos Credit Servicing S.p.a., in sostituzione della Banca Regionale Europea S.p.a. (incorporante il Banco di San Giorgio S.p.a.), in persona del legale rappresentante pro tempore, domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa dagli avvocati Galli Marcello, Caprino Gaetano, giusta procura alle liti in calce all’atto di intervento;

– controricorrente –

contro

Fallimento ***** S.r.l.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 354/2015 della CORTE D’APPELLO di GENOVA, depositata il 11/03/2015;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/07/2019 dal cons. Dott. MARULLI MARCO.

FATTI DI CAUSA

1.1. E’ impugnata per cassazione dai soccombenti Piombo la sentenza in atti con la quale la Corte d’Appello di Genova, accogliendo il gravame del Banco di San Giorgio s.p.a. – oggi Banca Regionale Europea s.p.a. – ed in riforma dell’impugnata decisione di primo grado, ha respinto l’opposizione dei medesimi avverso il decreto ingiuntivo notificatogli dalla banca quali fideiussori della Residenza ***** s.r.l. in ragione dell’esposizione debitoria cumulata da quest’ultima in relazione al conto corrente e al conto anticipi fatture attivi presso la banca.

1.2. La Corte d’Appello ha motivato il proprio convincimento osservando, nell’ordine: che l’eccepita nullità del contratto di conto corrente per difetto di sottoscrizione della banca andava nella specie esclusa sul rilievo che la produzione del documento in giudizio ad opera di chi non lo ha sottoscritto “costituisce equipollente della mancata sottoscrizione contestuale e perciò perfeziona sul piano sostanziale o su quello processuale il contratto in esso contenuto” e che “la produzione non determina la costituzione del rapporto ex nunc, ma supplisce alla mancanza della sottoscrizione con effetti retroagenti al momento della stipulazione”; che era pur vero che l’estratto conto ex art. 50 TUB fa prova del credito limitatamente alla sola fase monitoria, ma gli opponenti, che ne hanno contestato l’efficacia probatoria nella susseguente fase di opposizione, non avevano “in alcun modo circostanziato e specificato la loro contestazione”, sicchè deve ritenersi che il documento abbia mantenuto la propria efficacia probatoria originaria; che gli opponenti non potevano invocare a proprio beneficio la liberatoria dell’art. 1956 c.c., “in quanto soci ed amministratori” della società garantita e quindi in possesso di tutte le informazioni concernenti la condizione debitoria di questa, ed ” quanto quelli da essi sottoscritti erano contratti autonomi di garanzia”, in ragione del che nessuna eccezione relativa al rapporto principale poteva da essi essere opposta.

1.3. Il mezzo ora azionato adduce a sostegno tre motivi di ricorso, illustrati pure con memoria, al cui accoglimento resiste con controricorso la banca.

RAGIONI DELLA DECISIONE

2. Il primo motivo di ricorso – inteso a confutare la fondatezza ai sensi dell’art. 117 TUB e art. 1372 c.c. del capo della sentenza in punto di nullità dei contratto c.d. “monofirma” e di efficacia retroattiva della sua produzione in diritto – è fugato di ogni fondamento alla luce dei principi enunciati dalle SS.UU. con riferimento all’analogo tema che si poneva riguardo ai contratti ex art. 23 TUF (Cass., Sez. U, 23/01/2018, n. 1653; Cass., Sez. U, 18/01/2018, n. 1201; Cass., Sez. U, 18/01/2018, n. 1200; Cass., Sez. U, 16/01/2018, n. 898), di guisa che, come questa Sezione ha già avuto modo di rimarcare, anche “in tema di contratti bancari, la mancata sottoscrizione del documento contrattuale da parte della banca non determina la nullità per difetto della forma scritta prevista dal D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 117, comma 3, trattandosi di un requisito che va inteso non in senso strutturale, ma funzionale. Ne consegue che è sufficiente che il contratto sia redatto per iscritto, ne sia consegnata una copia al cliente e vi sia la sottoscrizione di quest’ultimo, potendo il consenso della banca desumersi alla stregua di comportamenti concludenti” (Cass., Sez. I, 6/06/2018, n. 14646).

3.1. Il secondo ed il terzo motivo di ricorso censurano rispettivamente, per violazione dell’art. 50 TUB e dell’art. 1956 c.c., oltre che, a questo ultimo riguardo, per omesso esame di un fatto decisivo, i capi della decisione impugnata in cui questa ha ravvisato l’ultrattività probatoria anche nei confronti dei fideiussori dell’estratto conto certificato conforme a mente della citata norma dl TUB ed ha escluso l’applicabilità della norma codicistica, negando che per effetto della protratta concessione di credito nei confronti della società debitrice, i Piombi potessero essere liberati dagli impegni negoziali assunti in favore di questa.

3.2. Entrambi i motivi devono ritenersi inammissibili in ragione del giudicato che copre l’affermazione compiuta dalla sentenza impugnata circa il fatto che il rapporto di garanzia intrattenuto dagli opponenti con la banca non dà vita ad una fideiussione, ma un contratto autonomo di garanzia.

Si legge, infatti, in motivazione, in replica alla liberatoria invocata dagli opponenti a mente dell’art. 1956 c.c., che “in ogni caso tale eccezione non poteva essere sollevata dagli appellati in quanto quelli da essi sottoscritti erano contratti autonomi di garanzia, come risulta dall’art. 7 delle fideiussioni omnibus prodotte dalla banca appellante (docc. 5, 6, 7 fascicolo del proc. mon.) nel quale è previsto che “il fideiussore è tenuto a pagare immediatamente alla banca a semplice richiesta scritta quanto dovuto per capitale, interessi, spese, tasse e ogni altro accessorio”, tenendo presente che l’inserimento in un contratto di Fideiussione di una clausola di pagamento a prima richiesta e senza eccezioni vale di per sè a qualificare il negozio come contratto autonomo di garanzia… in quanto incompatibile con il principio di accessorietà che caratterizza il contratto di fideiussione”.

Ora il giudizio che si concreta in queste affermazioni non ha formato oggetto di alcuna contestazione da parte dei ricorrenti, dato che le difese che essi dispiegano nell’illustrazione di entrambi i motivi non eccedono l’ambito della ritenuta natura fideiussoria del rapporto.

La qualificazione di esso in termini di negozio autonomo di garanzia, non essendo stata fatta segno di impugnazione, è passata così in cosa giudicate e si è perciò cri:stallizzata in un giudicato interno preclusivo all’esame dei motivi che invece riflettono il diverso assunto della natura fideiussoria del rapporto.

Nè alla sua rilevabilità d’ufficio fa ombra il giudicato di primo grado, che, essendosi limitato a statuire la nullità del contratto per difetto di sottoscrizione della banca, ha ritenuto conseguentemente assorbiti tutti gli altri motivi di opposizione presupponenti la previa qualificazione del rapporto rispetto ai quali non ha perciò preso alcuna posizione vincolante.

3.3. Quanto detto è certo inoppugnabile per il secondo motivo di ricorso che sottopone a censura il capo della decisione che ha ritenuto probatoriamente efficace il saldaconto anche nel giudizio di opposizione ed anche nei confronti dei fideiussori, dato che gli argomenti che i ricorrenti spendono in soccorso ad essa non interloquiscono in alcun modo con la qualificazione del rapporto, ed anzi sembrano dare per scontato che quello in essere tra le parti sia un negozio di fideiussione.

Ma non lo è di meno neppure in relazione al terzo motivo di ricorso, ove pur si accenna alla qualificazione del rapporto a cui ha proceduto il giudice d’appello, ma non se ne coglie tutta la portata preclusiva, dato che la contestazione che nell’esposizione del motivo trova seguito è intesa a dimostrare non già l’erroneità di essa, ma che, pur ferma la qualificazione del rapporto come negozio autonomo di garanzia, esso, pur in questa veste non rifugga dall’applicazione delle norme pensate e previste per la fideiussione come appunto l’art. 1956 c.c.

3.4. Va da sè, allora, che se il rapporto in questione è, secondo la lettura operatane dal decidente, soggetto ad una legge sua propria diversa da quella che regola la fideiussione, non si potrà di certo dare applicazione alle norme che disciplinano il negozio fideiussorio e, segnatamente, non potrà applicarsi quella che abilita il fideiussore a liberarsi dall’impegno assunto se il creditore, in difetto di autorizzazione e al corrente della deteriore situazione patrimoniale del debitore, abbia fatto o abbia continuato a far credito al medesimo.

3.5. Ma neppure potrà, in relazione all’assetto che il rapporto di garanzia viene ad assumere in conseguenza della detta qualificazione – autorizzarsi il garante, richiesto del pagamento, ad opporre le eccezioni fondate sul rapporto principale, venendo meno, come pure la sentenza ricorda, nella fattispecie del contratto autonomo di garanzia ogni vincolo di accessorietà tra l’obbligazione del garante e quella del garantito, con l’ovvia conseguenza che se il primo è tenuto ad adempiere di regola – senza eccezioni l’obbligazione inadempiuta del secondo, nessuna eccezione potrà perciò essere opposta riguardo alla prova del credito.

E, dunque, non si potrà disputare se nella specie sia ravvisabile la violazione dell’art. 50 TUB, come chiede il secondo motivo; o quella dell’art. 1956 c.c. come domanda il terzo motivo.

4. Il ricorso va dunque respinto.

5. Le spese si uniformano al principio della soccombenza secondo il principio codificato nell’art. 385 c.p.c., comma 1, e si liquidano a carico della ricorrente come da susseguente dispositivo.

Ricorrono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

Respinge il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 6200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile, il 10 luglio 2019.

Depositato in Cancelleria il 31 ottobre 2019

©2024 misterlex.it - [email protected] - Privacy - P.I. 02029690472