Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.28286 del 04/11/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRIA Lucia – Presidente –

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere –

Dott. DE GREGORIO Federico – rel. Consigliere –

Dott. PONTERIO Carla – Consigliere –

Dott. LEO Giuseppina – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 3397/2015 proposto da:

FLORGARDEN S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore, P.V., in proprio e quale legale rappresentante della FLORGARDEN S.R.L., domiciliati ope legis presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentati e difesi dall’Avvocato VITTORIO PERRIA;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO LAVORO POLITICHE SOCIALI DIREZIONE TERRITORIALE LAVORO SASSARI, in persona del legale rappresentante pro tempore domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 922/2013 del TRIBUNALE di SASSARI, depositata il 07/06/2013 R.G.N. 3977/2011;

avverso l’ordinanza n. 37/2014 della CORTE di APPELLO di CAGLIARI –

SEZIONE DISTACCATA di SASSARI, depositata il 9/06/2014 R.G.N. 37/2014.

LA CORTE, visti gli atti e sentito il Consigliere relatore.

RILEVA che la Corte d’Appello di Cagliari – sezione distaccata di Sassari – con ordinanza in data 6 – 9 giugno 2014 ai sensi degli artt. 348 bis e 348 ter c.p.c., dichiarava inammissibile l’appello proposto da FLORGARDEN s.r.l. e da P.V. avverso la sentenza n. 922 pubblicata il 7 giugno 2013, con la quale era stata respinta dal locale giudice del lavoro l’opposizione contro l’ordinanza – ingiunzione n. 510 dell’11 ottobre 2011, notificata il successivo giorno 17, proposta dagli stessi come da atto depositato il 15 novembre 2011, nei confronti della Direzione Provinciale del Lavoro di Sassari;

avverso detta sentenza, unitamente all’anzidetta declaratoria di inammissibilità, non notificata, hanno proposto ricorso per cassazione FLORGARDEN S.r.l. e la sig.ra P.V., come da atto in data 22 gennaio 2015, affidato a due motivi, cui ha resistito il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali – DIREZIONE TERRITORIALE del LAVORO di Sassari (già Direzione Provinciale del Lavoro) mediante controricorso del 10 marzo 2015 (notificato presso la cancelleria di questa Corte, domicilio eletto nel anzidetto ricorso, come indicato anche nella relativa procura speciale in calce allo stesso, laddove si dichiarava peraltro di voler ricevere le comunicazioni di rito all’indirizzo p.e.c. ivi indicato);

comunicati tempestivi avvisi di rito, il Pubblico Ministero in sede non ha presentato requisitoria con le sue conclusioni e le parti non hanno depositato memorie illustrative.

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo parte ricorrente ha denunciato la violazione degli artt. 24 e 111 Cost., in relazione al diritto di difesa e al giusto processo, nonchè al contraddittorio; violazione e/o falsa applicazione degli artt. 112,115,116 e 246 c.p.c., nonchè art. 2697 c.c.

– motivazione contraddittoria e/o gravemente insufficiente – violazione dei principi giurisprudenziali affermati da questa Corte;

al riguardo si è sostenuto che i giudici di appello, in buona sostanza, avrebbero considerato corretta la sentenza impugnata nella parte in cui aveva ritenuto fondato l’accertamento sulla sola ed esclusiva base del verbale ispettivo e delle sole dichiarazioni rese dagli informatori agli ispettori, “per giunta, neppure esplicitamente indicate nel verbale: tutti atti e documenti mai confermati in tribunale, nè dagli ispettori, nè da coloro che erano stati assunti a sommarie informazioni”. Ciò aveva comportato una gravissima lesione al proprio diritto di difesa, sia in primo che in secondo grado, poichè

giudicanti avevano fatto strame dei principi regolatori del processo e dei relativi oneri probatori, spettanti questi ultimi alla pubblica amministrazione. Peraltro, l’efficacia fidefaciente ex art. 2700 c.p.c., riguardava soltanto la provenienza del sottoscrittore e le dichiarazioni a lui rese dagli altri e i fatti attestati come avvenuti in sua presenza o da lui compiuti, efficacia probatoria privilegiata perciò non inerente ai verbali circa l’intrinseca veridicità delle dichiarazioni raccolte dal pubblico ufficiale durante la propria ispezione, le quali, secondo parte ricorrente, per poter rilevare a fini probatori dovevano essere confermate in giudizio dalle persone che le avevano rese, non essendo sufficienti le dichiarazioni invocate nel verbale redatto dal pubblico ufficiale. In sostanza, secondo parte ricorrente, riguardo alle ulteriori circostanze di fatto che il pubblico ufficiale segnali di avere accertato per averle apprese de relato o in seguito ad ispezioni documenti, la legge non attribuisce al verbale alcun valore probatorio precostituito, neppure di presunzione semplice.

Pertanto, dal momento che le dichiarazioni degli informatori e i loro nominativi non erano indicati nei verbali e in ogni caso neppure erano in alcun modo ascrivibili a circostanze direttamente apprese dei pubblici ufficiali nel corso dell’operazione di ispezione, bensì a fatti precedenti meramente riferiti da soggetti presenti in loco, sia il Tribunale che la Corte d’Appello avevano chiaramente errato nell’interpretare la giurisprudenza di legittimità dagli stessi richiamata, finendo per fare il contrario di quello che il precedente giurisprudenziale citato vietava, cioè attribuire fede privilegiata all’intrinseca veridicità delle dichiarazioni rese agli ispettori.

L’asserita attendibilità privilegiata delle dichiarazioni rese dai lavoratori in occasione dell’ispezione era stata l’unico elemento invocato dai giudici aditi a sostegno delle proprie decisioni, dal momento che non esistevano altri elementi di prova che potessero corroborarne l’attendibilità. Peraltro, l’esigenza di istruzione della controversia emergeva anche dai documenti prodotti da parte opponente, dai quali si evinceva che il sig. C. non era un dipendente della società, ma che egli collaborava con la moglie, la quale a sua volta svolgeva attività di lavoro autonomo per la stessa opponente FLORGARDEN. Ciò che integrava quantomeno indizi circa la diversa natura dei rapporti giuridici tra la società, il C. e la M., tanto più che l’illecito avrebbe dovuto essere attribuito a quest’ultima, la quale era la reale fruitrice delle prestazioni lavorative rese dal marito “in nero” (“con buona pace dell’asserita attendibilità dei due coniugi

“disinteressati””). Lo stesso Ministero si era offerto di provare la fondatezza dell’ordinanza ingiunzione opposta e del verbale ispettivo con le opportune allegazioni istruttorie, sicchè l’attendibilità delle dichiarazioni supinamente attestata dai giudici di merito andava debitamente compiutamente e valutata a seguito dell’assunzione delle prove testimoniali dedotte dalle parti o quantomeno in base ai documenti all’uopo prodotti. Nè occorreva una querela di falso, posto che il verbale, come già ricordato, non faceva piena prova circa le dichiarazioni ivi assunte, appunto fino a querela di falso.

Per altro verso, la Corte territoriale si era limitata a dichiarare che la ricchezza di precisazioni e la conformità delle risposte escludeva che i denuncianti fossero testi inattendibili o comunque interessati ai sensi dell’art. 246 c.p.c..

Tuttavia, il fatto che tra gli informatori figurassero anche gli stessi C. e M., chiaramente interessati alla condanna della società

opponente, nonchè altri lavoratori in causa con la stessa rendeva chiaramente manifesta l’estrema fragilità di quelle dichiarazioni, che invece la Corte d’Appello aveva ritenuto dotate di rilevante attendibilità e credibilità. A tal proposito parte ricorrente ha richiamato alcune pronunce di questa Corte, tra le quali la n. 10545 del 9 maggio 2007 e la n. 12739 del 29 maggio 2006.

Pertanto, era stato gravemente leso il diritto di difesa di essi opponenti, laddove era stato in particolare del tutto omesso di prendere in considerazione il principio fondamentale in forza del quale le prove devono essere assunte durante il processo nel contraddittorio tra le parti con le garanzie derivanti dalla direzione del procedimento davanti al giudice.

Quanto, poi, alla rilevata omissione di specifica censura in ordine alla mancata ammissione della prova orale richiesta in primo grado, parte ricorrente ha ribadito che gli oneri probatori circa la fondatezza dell’ordinanza ingiunzione gravavano sul Ministero, che in sede di note conclusionali aveva omesso la riproposizione delle richieste istruttorie formulate con la sua memoria difensiva, con conseguente rinuncia alle stesse.

Tutto ciò considerato, era evidente la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè dei principi fondamentali del giusto processo espressi dalla Costituzione;

con il secondo motivo parte ricorrente ha dedotto violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2094 c.c., nonchè degli artt. 115 e 116 c.c.

(? c.p.c. ?), in relazione alla L. 23 aprile 2002, n. 73, art. 3, comma 3 e successive modifiche ed integrazioni. Infatti, il giudice di primo grado aveva omesso ogni concreta motivazione circa la sussistenza dei requisiti caratteristici della subordinazione del rapporto di lavoro al fine dell’applicazione delle sanzioni contestate. In particolare, l’asserita continuità del rapporto con l’inserimento nell’organizzazione aziendale, l’osservanza di un orario fisso predeterminato da rispettare, la retribuzione fissa predeterminata con difetto di ogni rischio di impresa nonchè l’asserita sottoposizione alle direttive di Ca.Fr. e Vi. concretizzavano affermazioni rimaste prive di qualunque riscontro probatorio, tra cui anche le dichiarazioni acquisite dagli ispettori;

tanto premesso, va in primo luogo ricordato come il giudice adito

-rilevato in via preliminare che nell’ambito del procedimento di opposizione avverso l’ordinanza ingiunzione parte attrice in senso sostanziale deve ritenersi quella opposta cui per l’effetto è devoluto l’onere probatorio ex art. 2697 c.c., secondo la citata giurisprudenza, mentre compete all’opponente, che assume formalmente la veste di parte convenuta, la prova dei fatti impeditivi ed estintivi – avesse osservato che nel caso di specie a sostegno dei fatti contestati con l’ordinanza impugnata l’amministrazione resistente aveva prodotto, tra le altre, le dichiarazioni rese in sede ispettiva da A.R. e da F.V.. Costoro avevano confermato che C.G. e M.S.

avevano lavorato alle dipendenze della società FLOGARDEN fin dal 2007, mentre parte ricorrente aveva contestato che il C. avesse prestato la sua attività di lavoro in nero presso Garden Center FLORGARDEN s.r.l., opponente, dal 24 aprile 2007 al 4 settembre 2008 come commesso addetto alla vendita, laddove in effetti costui non aveva mai prestato attività

di lavoro alle dipendenze della società prima del settembre dell’anno 2008. Il primo giudicante aveva evidenziato come A.R. avesse dichiarato ai verbalizzanti, in data 28 marzo 2011, che C.G. e M.S. prestavano la loro attività professionale di maestri fiorai per la Florgarden sin dal 2007, a tempo pieno e per l’intero orario di apertura al pubblico, allo stesso modo di altri colleghi, dal lunedì al sabato e a turno pure la domenica, essendo stati addetti alla vendita e al confezionamento dei fiori, nonchè alla cassa e alla predisposizione di preventivi per i matrimoni. Inoltre, nel 2009, anno in cui i dipendenti, tra i quali pure il C. e la M., con contratto full time erano stati costretti a passare al part-time, di fatto avevano continuato a lavorare con lo stesso orario a tempo pieno in precedenza osservato. Tali fatti erano stati confermati anche con le dichiarazioni rese il 29 marzo 2011 da F.V.. Lo stesso C.G. il 18 gennaio 2011 aveva dichiarato di aver lavorato presso il Garden Center di Florgarden sito in ***** dal 27 aprile 2007 al 30 settembre 2009, precisando che dall’aprile 2007 sino al 4 ottobre 2008 aveva lavorato per l’anzidetta società in nero, mentre dall’ottobre 2008 era stato assunto con contratto a tempo pieno, laddove poi dal mese di aprile 2009 la società aveva modificato il contratto da tempo pieno a tempo parziale, ma che egli di fatto aveva continuato a lavorare a tempo pieno e a percepire la retribuzione corrispostagli in precedenza, con la parte eccedente il part-time in contanti e fuoribusta, unitamente alla sua compagna M.. Parimenti, M.S. in data 18 gennaio 2011 aveva dichiarato di aver lavorato presso il Garden Center denominato Florgarden s.r.l. ai primi di marzo dell’anno 2007 sino al 30 settembre 2009, precisando che da marzo 2007 al dicembre 2008 aveva operato per la suddetta società come lavoratrice autonoma con partita i.v.a., mentre a dicembre 2008 era stata assunta come dipendente a tempo pieno e indeterminato, lavorando tutti i giorni dal lunedì alla domenica secondo gli orari indicati e con un giorno di riposo settimanale non necessariamente ricadente nella domenica. Da aprile 2009 la società aveva poi modificato il contratto da tempo pieno a tempo parziale, ma che di fatto aveva continuato a lavorare con gli stessi orari full time percependo la medesima retribuzione, ma con la parte eccedente il part-time fuoribusta in contanti. Secondo il giudice di primo grado, pertanto, le dichiarazioni spontanee rese dai lavoratori agli ispettori nel corso degli accertamenti, come da allegati in atti, avevano dato pieno riscontro la tesi sostenuta la parte opposta circa la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato tra il C.G. e la Florgarden Srl. Nella valutazione complessiva degli acquisiti elementi non poteva prescindersi dalle anzidette dichiarazioni, anche se poi i lavoratori non erano stati escussi come testi in udienza. Richiamava la giurisprudenza (Cass. sezioni unite n. 12545 del 1992), secondo cui l’efficacia probatoria delle dichiarazioni acquisite nel corso dell’accertamento ispettivo faceva fede fino a querela di falso per le attività che il pubblico ufficiale dichiarava di aver compiuto o che erano state compiute in sua presenza, ovvero delle dichiarazioni al medesimo rese in sede di accertamento. Tale efficacia probatoria privilegiata, tuttavia, non assisteva l’intrinseca veridicità delle dichiarazioni raccolte dal pubblico ufficiale, le quali però erano da considerare in assoluto dotate di un grado di attendibilità

privilegiata, perchè rese senza preavviso e perciò più genuine e sincere, in quanto non inquinate dalla volontà di favorire il proprio datore di lavoro. Detta attendibilità privilegiata, inoltre, era da considerare ulteriormente rafforzata in presenza di dichiarazioni contenenti una serie di precisazioni e puntualizzazioni in ordine ai tempi e alle modalità con le quali l’attività lavorativa risultava in concreto svolta, le quali non potevano che confortare tale valutazione.

Pertanto, secondo il Tribunale, erano perfettamente ravvisabili nei rapporti di lavoro concernenti C.G. e M.S. gli elementi presuntivi della subordinazione: continuità del rapporto e inserimento nell’organizzazione aziendale, orario di lavoro fisso e predeterminato da rispettare con l’obbligo di chiedere l’autorizzazione per eventuali assenze, retribuzione fissa predeterminata evidenziante la mancanza di un rischio d’impresa, la sottoposizione alle direttive di Ca.Fr. e Vi.. Quindi, l’opponente doveva ritenersi tenuta a provvedere, nel corso dei rapporti di lavoro oggetto di contestazione, agli obblighi di cui al D.L. n. 12 del 2002, art. 3, comma 3, convertito in L. n. 73 dello stesso anno, come modificato dal D.L. n. 223 del 2006, art. 36 bis, comma 7, convertito con modifiche in L. n. 248 del 2006, D.L. n. 510 del 1996, art. 9 bis, comma 2, convertito con modificazioni nella L. n. 608 del 1996, come modificato dalla L. n. 296 del 2006, art. 1, nonchè al D.Lgs. n. 181 del 2000, art. 4 bis, comma 2, come sostituito dal D.Lgs. n. 297 del 2002, art. 6, comma 1. Pertanto, la sanzione pecuniaria comminata era da considerarsi legittima;

la Corte d’Appello, quindi, nel confermare l’anzidetta pronuncia mediante declaratoria di inammissibilità dell’interposto gravame, ha osservato che l’impugnazione non aveva ragionevole probabilità di essere accolta, visto che con un unico articolato motivo parte appellante si era doluta dell’efficacia probatoria attribuita dal tribunale alle dichiarazioni rese agli ispettori, i cui verbali erano stati prodotti in giudizio, trattandosi di dichiarazioni scritte provenienti da terzi, raccolte da pubblici ufficiali e come tali assistiti dall’efficacia di cui all’art. 2700 c.p.c., quanto alla circostanza della loro effettuazione, richiamando inoltre Cass. lav. 17 agosto 2004 n. 16055, nonchè 6 settembre 2012n. 14965, secondo la quale il rapporto ispettivo dei funzionari dell’ente previdenziale, pur non facendo piena prova fino a querela di falso, è

attendibile fino a prova contraria, quando esprime gli elementi da cui trae origine, in particolare mediante allegazione delle dichiarazioni rese da terzi, restando comunque liberamente valutabile dal giudice in concorso con altri elementi probatori. Nello stesso senso, si era pronunciata Cass. 8 gennaio 2014 n. 166.

Dunque, il percorso motivazionale osservato dal primo giudicante era conforme ai principi di diritto espressi dalla giurisprudenza di legittimità nella parte in cui aveva utilizzato a fini probatori dichiarazioni rilasciate dalle persone informate sui fatti di causa agli ispettori di lavoro in sede di accertamento, rilevando che – per quanto i relativi verbali non potessero considerarsi assistiti da fede privilegiata in ordine alla loro intrinseca veridicità – dette dichiarazioni erano comunque dotate di una rilevante attendibilità, perchè rese nell’immediatezza dell’ispezione. La loro credibilità non andava, infatti, confusa con la fede privilegiata sino a querela di falso dei fatti che il pubblico ufficiale attesta essere avvenuti in sua presenza, valore questo che il tribunale non aveva attribuito affatto alle dichiarazioni degli informatori, citandosi sul punto Cass. 19 aprile 2010 n. 9251, parimenti 6 giugno 2008n. 15073.

Quanto, poi, all’attendibilità dei soggetti assunti a verbale dagli ispettori, la ricchezza di precisazioni e la conformità delle risposte escludeva che i denuncianti C. – M. fossero inattendibili o comunque interessati ai sensi dell’art. 246 c.p.c., citandosi sul punto Cass. 8 febbraio 2011 n. 3051, circa l’esclusa incapacità a testimoniare che l’art. 246 codice di rito ricollega non solo alla posizione di parte formale e sostanziale del giudizio, ma anche alla titolarità di situazione giuridica dipendente da quella dedotta in giudizio da altro soggetto, nell’ambito del giudizio tra ente previdenziale e parte datoriale. Infine, la Corte territoriale ha osservato che gli appellanti non avevano proposto alcuna specifica censura in ordine alla mancata ammissione della prova orale dagli stessi dedotta in primo grado, nè avevano interesse a dolersi della mancata ammissione della prova testimoniale richiesta da controparte;

tanto premesso, il ricorso è inammissibile per tardività, a parte poi taluni difetti di autosufficienza e di specificità ex art. 366 c.p.c., nonchè carenza di doglianze censurabili in questa sede di legittimità ex art. 360 c.p.c.;

invero, parte ricorrente ha omesso di far presente se, come e quando le sia stata comunicata l’anzidetta ordinanza n. 37 in data sei –

nove giugno 2014 della Corte d’Appello, pronunciata ai sensi degli artt. 348 bis e ter c.p.c., essendosi limitata a dedurre l’omessa notificazione del provvedimento, avendo però chiesto la notifica del ricorso per cassazione in data 22 gennaio 2015, cioè ben oltre il termine di giorni sessanta, pur computando la sospensione feriale (secondo il testo della L. n. 742 del 1969, art. 1, qui ratione temporis applicabile) dal primo agosto al 15 settembre dell’anno 2014 (infatti, sommando 21 giorni di giugno, 31 di luglio e 8 di settembre, questi ultimi dal 16 incluso, il 60 giorno andava a scadere martedì 23 settembre 2014, ultimo giorno feriale utile);

tale rilevante omessa allegazione rende pertanto il ricorso inammissibile (cfr. Cass. III civ. n. 20852 del 21/08/2018), poichè la parte che intenda esercitare il diritto di ricorrere in cassazione ex art. 348 ter c.p.c., comma 3, deve rispettare il termine di sessanta giorni, di cui all’art. 325 c.p.c., comma 2, che decorre dalla comunicazione dell’ordinanza, ovvero dalla sua notificazione, nel caso in cui la controparte vi abbia provveduto prima della detta comunicazione o se la cancelleria abbia del tutto omesso tale adempimento, mentre il termine lungo di cui all’art. 327 c.p.c., opera esclusivamente quando risulti non solo omessa la comunicazione, ma anche la notificazione. Ne consegue che il ricorrente, per dimostrare la tempestività del ricorso ex art. 348 ter c.p.c., proposto oltre i sessanta giorni dalla pubblicazione dell’ordinanza, ha l’onere di allegare sia l’assenza di comunicazione (potendo quest’ultima avvenire lo stesso giorno della pubblicazione), sia la mancata notificazione, affermando, pertanto, di fruire del c.d. termine lungo (in senso conforme, tra le altre, Cass. VI civ. – 3, ordinanza n. 2594 del 9/2/2016);

l’anzidetta rilevata tardività è assorbente rispetto anche alle menzionate ulteriori lacune, che rendono anch’esse inammissibili il ricorso, laddove peraltro la succitata seconda censura appare anche nuova rispetto alle doglianze fatte valere (cfr. pagg. da 7 a 11 del ricorso per cassazione) a suo tempo con l’interposto gravame (peraltro infondate alla stregua di quanto, correttamente e motivatamente, apprezzato e statuito dai giudici di merito in precedenza aditi. Cfr. a tal riguardo, in part., Cass. lav. n. 16055 del 17/08/2004:

ai fini di accertare l’intervenuta violazione, da parte del datore di lavoro, degli obblighi di comunicazione agli uffici di collocamento degli eventi relativi alla costituzione e alla cessazione dei rapporti di lavoro, possono essere utilizzate con valore indiziario le dichiarazioni scritte provenienti da terzi, specie se raccolte da pubblici ufficiali e come tali assistite dall’efficacia di cui all’art. 2700 c.c., quanto alla circostanza della loro effettuazione, come pure valore quanto meno indiziario hanno le risultanze dei verbali ispettivi redatti dagli ispettori del lavoro o dai funzionari degli enti previdenziali.

V. altresì Cass. sez. un. civ. n. 916 del 3/2/1996, secondo cui i verbali redatti dagli ispettori del lavoro, o comunque dai funzionari degli enti previdenziali, fanno fede fino a querela di falso, ai sensi dell’art. 2700 c.c., solo relativamente alla loro provenienza dal sottoscrittore, alle dichiarazioni a lui rese ed agli altri fatti che egli attesti come avvenuti in sua presenza o da lui compiuti, mentre, per quanto riguarda le altre circostanze di fatto che egli segnali di avere accertato nel corso dell’inchiesta per averle apprese da terzi o in seguito ad altre indagini, i verbali, per la loro natura di atto pubblico, hanno un’attendibilità che può essere infirmata solo da una specifica prova contraria. Conforme Cass. n. 7095 del 1994. Cfr., inoltre, Cass. lav. n. 14965 del 6/9/2012, secondo cui, in particolare, il rapporto ispettivo dei funzionari dell’ente previdenziale, pur non facendo piena prova fino a querela di falso, è attendibile fino a prova contraria, quando esprime gli elementi da cui trae origine, restando, comunque, liberamente valutabile dal giudice in concorso con gli altri elementi probatori. In senso analogo Cass. lav. n. 9251 del 19/04/2010. Parimenti, Cass. n. 15073 del 6/6/2008, conforme Cass. lav. n. 3525 del 22/02/2005. V. altresì Cass. lav. n. 4651 del 26/02/2009, secondo cui nell’ambito del giudizio di opposizione ad ordinanza ingiunzione emessa dall’ispettorato provinciale del lavoro nei confronti di un datore di lavoro, il lavoratore non è incapace di testimoniare, ex art. 246 c.p.c., quando l’oggettiva natura della violazione commessa ovvero la posizione giuridica del lavoratore non gli consentano il conseguimento di specifici diritti connessi all’oggetto della causa, sicchè, pur attenendo la controversia ad elementi del suo rapporto di lavoro, una sua pur potenziale pretesa sia inipotizzabile);

pertanto, il ricorso va disatteso, con conseguente condanna della parte rimasta soccombente al rimborso delle relative spese;

atteso l’esito negativo dell’impugnazione, sussistono i presupposti processuali di cui del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

la Corte dichiara INAMMISSIBILE il ricorso. Condanna le ricorrenti al pagamento delle spese, che liquida a favore di parte controricorrente nella misura di complessivi Euro 3500,00 (tremilacinquecento/00), oltre spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 6 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2019

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