LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –
Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –
Dott. SCARANO Luigi A. – rel. Consigliere –
Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –
Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 21790-2017 proposto da:
OPERA PIA TELESINO ARDIZZONE ISTITUZIONE PUBBLICA ASSISTENZA BENEFICENZA in persona del suo commissario straordinario, domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato MAURO SCIRE’;
– ricorrente –
contro
COMUNE PALERMO, in persona del Sindaco, legale rappresentante pro tempore, domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato SALVATORE MODICA;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 823/2017 della CORTE D’APPELLO di PALERMO, depositata il 08/05/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 04/04/2019 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza dell’8/5/2017 la Corte d’Appello di Palermo, in accoglimento del gravame interposto dal Comune di Palermo e in conseguente riforma della pronunzia Trib. Palermo 3/2/2010, ha rigettato la domanda nei confronti del medesimo in origine monitoriamente azionata dall’Opera Pia Telesina Ardizzone I.P.A.B. di pagamento di somma a titolo di “rette per il ricovero in convenzione di anziani”, trattandosi di “credito fondato su un titolo convenzionale ormai scaduto al momento delle prestazioni assistenziali dedotte in giudizio”.
Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito l’Opera Pia Telesina Ardizzone I.P.A.B. propone ora ricorso per cassazione, affidato a 3 motivi. Resiste con controricorso il Comune di Palermo.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il 1 motivo la ricorrente denunzia “omesso esame” di fatto decisivo per il giudizio, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Si duole che “il termine di scadenza della Convenzione, sul quale la Corte d’Appello di Palermo fonda erroneamente il proprio convincimento, è stato, invece, formalmente prorogato con Delib. Giunta Municipale, seguite dalle DD del dirigente del competente settore tecnico, come correttamente rilevato e motivato dal Giudice del primo grado”.
Con il 2 motivo denunzia “violazione e falsa applicazione” degli artt. 2 e 32 Cost., L.R. n. 22 del 1986, L. n. 328 del 2000, del D.P.R.S. n. 158 del 1996, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Si duole non essersi dalla corte di merito considerata la “delicatezza degli interessi alla cui salvaguardia è preordinata” la disciplina normativa di settore, “non derogabile dalle amministrazioni comunali investite dell’obbligo di garantire l’erogazione e la continuità del servizio sulla base del complessivo impianto ordinamentale in materia”.
Lamenta che “la previsione di cui al D.P.R.S. n. 158 del 1996… mirante a garantire la continuità del servizio ed attuativa della L.R. n. 22 del 1986, può, nella fattispecie, ritenersi implicitamente richiamata anche dal regolamento negoziale”.
Con il 3 motivo denunzia “violazione e falsa applicazione” degli artt. 2,32 e 97 Cost., L. n. 267 del 2000, art. 191, L. n. 267 del 2000, art. 162 in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Si duole non essersi dalla corte di merito considerata la “ratio del legislatore Regionale, che ha statuito l’obbligatorietà della prosecuzione del servizio fino alla formale revoca dello stesso e del conseguente diritto alla relativa retribuzione”.
I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono in parte inammissibili e in parte infondati.
Va anzitutto osservato che essi risultano formulati in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, atteso che la ricorrente fa riferimento ad atti e documenti del giudizio di merito (in particolare, al “ricorso monitorio depositato in data 14 dicembre 2005”, al “decreto ingiuntivo n. 4383 del 2005", all'”opposizione proposta dal Comune di Palermo”, a “formali provvedimenti di prosecuzione del servizio (all. 5 memo. Art. 184 c.p.c. – fasc. opposizione)”, alle “delibere della Giunta Comunale”, alla sentenza del giudice di 1 cure, all'”atto di appello notificato in data 7/2/2011", all'”allegato 5 al fascicolo del giudizio di opposizione (missive n. 10047 del 14/11/05, n. 10609 del 28/11/05; n. 10950 del 7/12/05, n. 1324 del 8/2/06, 155077 del 6/3/07)”, alle “delibere 450 del 11/10/05, 586 del 22/12/05”, alla “ulteriore documentazione” prodotta “all’udienza del 2/11/11”, al “piano di programmazione”, alla “Delib. 22 novembre 1994, n. 376 del Comune di Palermo”, alla “circolare n. 14 del 10/7/2008", all'”art. 9 della Convenzione intercorsa fra le parti”) limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente (per la parte strettamente d’interesse in questa sede) riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti (v., in particolare, parte della “circolare n. 14 del 10/7/2008”, parte “dell’art. 9 della convenzione intercorse tra le parti”), senza fornire puntuali indicazioni necessarie ai fini della relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte Suprema di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v., da ultimo, Cass., 16/3/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, e se essi siano stati rispettivamente acquisiti o prodotti (anche) in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., 23/3/2010, n. 6937; Cass., 12/6/2008, n. 15808; Cass., 25/5/2007, n. 12239, e, da ultimo, Cass., 6/11/2012, n. 19157), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr., da ultimo, Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 7701).
A tale stregua non deduce le formulate censure in modo da renderle chiare ed intellegibili in base alla lettura del ricorso, non ponendo questa Corte nella condizione di adempiere al proprio compito istituzionale di verificare il relativo fondamento (v. Cass., 18/4/2006, n. 8932; Cass., 20/1/2006, n. 1108; Cass., 8/11/2005, n. 21659; Cass., 2/81/2005, n. 16132; Cass., 25/2/2004, n. 3803; Cass., 28/10/2002, n. 15177; Cass., 12/5/1998 n. 4777) sulla base delle deduzioni contenute nel medesimo, alle cui lacune non è possibile sopperire con indagini integrative (v. Cass., 24/3/2003, n. 3158; Cass., 25/8/2003, n. 12444; Cass., 1/2/1995, n. 1161).
Non sono infatti sufficienti affermazioni – come nel caso – apodittiche, non seguite da alcuna dimostrazione (v. Cass., 21/8/1997, n. 7851).
E’ al riguardo appena il caso di osservare che i requisiti di formazione del ricorso per cassazione ex art. 366 c.p.c. vanno indefettibilmente osservati, a pena di inammissibilità del medesimo.
Essi rilevano ai fini della giuridica esistenza e conseguente ammissibilità del ricorso, assumendo pregiudiziale e prodromica rilevanza ai fini del vaglio della relativa fondatezza nel merito, che in loro difetto rimane invero al giudice imprescindibilmente precluso (cfr. Cass., 6/7/2015, n. 13827; Cass., 18/3/2015, n. 5424; Cass., 12/11/2014, n. 24135; Cass., 18/10/2014, n. 21519; Cass., 30/9/2014, n. 20594; Cass., 5 19/6/2014, n. 13984; Cass., 20/1/2014, n. 987; Cass., 28/5/2013, n. 13190; Cass., 20/3/2013, n. 6990; Cass., 20/7/2012, n. 12664; Cass., 23/7/2009, n. 17253; Cass., 19/4/2006, n. 9076; Cass., 23/1/2006, n. 1221).
A tale stregua, l’accertamento in fatto e la decisione dalla corte di merito adottata e nell’impugnata decisione rimangono invero dall’odierna ricorrente non idoneamente censurati.
Va per altro verso sottolineato (avuto in particolare riguardo al 1 motivo) come, al di là della formale intestazione dei motivi, la ricorrente deduca in realtà doglianze (anche) di vizio di motivazione al di là dei limiti consentiti dalla vigente formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (v. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053), nel caso ratione temporis applicabile, sostanziantesi nel mero omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, dovendo riguardare un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica, e non anche come nella specie l'”erroneità” e la “contraddittorietà” della motivazione (v. pag. 7 del ricorso) ovvero l’omesso e a fortiori l’erronea valutazione di determinate emergenze probatorie (cfr. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053, e, conformemente, Cass., 29/9/2016, n. 19312).
Quanto al merito va osservato che come questa Corte abbia già avuto modo di affermare in tema di servizi socio-assistenziali nella Regione siciliana, che il ricovero di persone affette da disabilità psichica presso strutture private è ai sensi della L.R. n. 22 del 1986, art. 20 subordinato alla stipulazione di apposita Convenzione da parte del Comune, nonchè (ai sensi del D.Lgs. n. 267 del 2000, art. 153, comma 5, artt. 183,191 e 193) all’attestazione della relativa copertura finanziaria, la cui sussistenza condiziona anche il pagamento dei corrispettivi delle prestazioni erogate che, pur trovando fondamento nella tutela di un diritto costituzionalmente protetto, non ne giustificano l’attuazione incondizionata, imponendosi un bilanciamento con altri interessi di pari rango, ravvisabili nelle effettive risorse organizzative e finanziarie di cui l’ente dispone, che si traducono poi nell’osservanza delle disposizioni sui contratti della P.A. (v. Cass., 13/12/2018, n. 32310; Cass., 0/6/2010, n. 14006).
Si è al riguardo in particolare precisato che l’attuazione dell’obbligo per i Comuni di erogare prestazioni in favore dei soggetti bisognosi non è, infatti, incondizionato ma presuppone il bilanciamento con altri interessi costituzionalmente protetti (ed in tal senso va letta la norma laddove dispone che il Comune debba essere “previamente informato”), ravvisabili nelle effettive risorse organizzative e finanziarie di cui l’Ente dispone, che si traducono, poi, nell’osservanza delle disposizioni sui contratti della pubblica Amministrazione (v. Cass., 2/12/2016, n. 24655).
Orbene, dei suindicati principi la corte di merito ha nell’impugnata sentenza fatto invero piena e corretta applicazione.
Nell’accogliere il gravame del Comune allora appellante ed odierno controricorrente (premettendo che là dove espressamente prevede il “periodo di validità della convenzione (dal 9 dicembre 2004 al 15 febbraio 2005)” e “un termine massimo di efficacia” la Convenzione nella specie “stipulata tra le parti” è improntata ai principi affermati nella legislazione statale e regionale e recepiti nella giurisprudenza di legittimità secondo cui “l’effettuazione di qualsiasi spesa è consentita alle Amministrazioni territoriali esclusivamente ove sussistano sia la deliberazione autorizzativa, nelle forme previste dalla legge e divenuta esecutiva, nonchè l’impegno contabile registrato dal ragioniere, o dal segretario, sul competente capitolo di bilancio di previsione”, in difetto dell'”attestazione della relativa copertura finanziaria da parte del responsabile finanziario” l’atto essendo “nullo di diritto”, stante l’esigenza del più rigoroso “rispetto dei principi di legalità e correttezza da parte di coloro che operano nelle gestioni locali” ed atteso che l’esigenza “di inquadrare le varie scelte amministrative in merito alla gestione finanziaria esclusivamente nella prospettiva del piano di spesa contenuto nel bilancio di previsione, e non oltre i limiti da esso fissati, è divenuto via via un principio di carattere generale, che per la sua evidente correlazione con l’interesse pubblico all’equilibrio economico e finanziario, e quindi al buon andamento, di dette amministrazioni, in un quadro di certezza e di trasparenza, ha trovato fondamento nello stesso art. 97 Cost.”: v. Cass., 28/12/2010, n. 26202), tale giudice è in particolare pervenuto a correttamente escludere che tale Convenzione possa ritenersi integrata dal D.P.R.S. n. 158 del 1996, art. 9 “che è invece orientato nel senso della prosecuzione del servizio fino alla comunicazione della cessazione o al rinnovo della Convenzione”.
Ancora, ha ritenuto “corretto e condivisibile il rilievo del Comune appellante secondo cui quanto previsto nel D.P.R.S. n. 158 del 1996 contrasterebbe con le disposizioni (poste a presidio del buon andamento della Pubblica Amministrazione) che prevedono come obbligatoriamente propedeutica rispetto a qualsiasi spesa l’esistenza di uno specifico preventivo impegno contabile, registrato dal ragioniere o dal segretario sul competente capitolo di bilancio di previsione”, ed “estraneo, rispetto alle obbligazioni di natura contrattuale in considerazione, l’impegno degli enti locali a reperire per tempo le risorse necessarie per garantire la continuità del servizio”, precisando che l'”inserimento, nella convenzione di cui si discute, di una pattuizione che sostanzialmente comporterebbe l’esonero delle Pubbliche Amministrazioni dall’obbligo di informare il proprio regime di spesa alle previsioni ed alle disponibilità di bilancio, pertanto, si risolverebbe nell’introduzione di una condizione contrattuale nulla, perchè contrastante con le già richiamate disposizioni che impongono proprio il rispetto del canone dell’equilibrio economico e finanziario, peraltro ormai assoggettato ai rigidi parametri di stabilità dipendenti dalla programmazione nazionale e dal rispetto dei cogenti obblighi internazionali assunti dall’Italia nel quadro Europeo”.
Al riguardo, va ulteriormente sottolineato, questa Corte ha già avuto modo di osservare che il suindicato principio del necessario bilanciamento degli interessi protetti dai servizi socio-assistenziali nella regione siciliana con altri interessi costituzionalmente protetti, “tenuto conto dei limiti oggettivi che il legislatore incontra in relazione alle risorse organizzative e finanziarie di cui dispone”, prescinde invero dalla natura degli assistiti, l’obbligo del Comune di disporre il ricovero di soggetti presso strutture private essendo sempre subordinato all’attestazione della relativa copertura finanziaria, D.Lgs. n. 267 del 2000, ex artt. 183 e 191 recante l’attuale T.U. delle leggi sull’ordinamento degli enti locali (cfr., con riferimento ai disabili psichici, Cass., 13/12/2018, n. 32310), applicabile anche ai Comuni della Regione Sicilia (cfr. Cass., Sez. Un., 19/12/2014, n. 26657, e, conformemente, Cass., 20/3/2018, n. 6970).
Nel correttamente pervenire a riformare “la decisione del giudice di prime cure che ha confermato il decreto ingiuntivo avente ad oggetto un credito fondato su un titolo convenzionale ormai scaduto al momento della prestazioni assistenziali dedotte in giudizio”, la corte di merito ha per altro verso dato atto della tardività della proposizione della domanda di “arricchimento senza causa del Comune di Palermo”, in quanto dall’odierna ricorrente proposta “solo nella comparsa di costituzione, depositata nel giudizio di secondo grado”.
Emerge evidente, a tale stregua, come l’odierna ricorrente in realtà inammissibilmente prospetti invero una rivalutazione del merito della vicenda comportante accertamenti di fatto invero preclusi a questa Corte di legittimità, nonchè una rivalutazione delle emergenze probatorie, laddove solamente al giudice di merito spetta individuare le fonti del proprio convincimento e a tale fine valutare le prove, controllarne la attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova, non potendo in sede di legittimità riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, atteso il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte Suprema di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi.
Per tale via in realtà sollecita, cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi all’attenzione dei giudici della Corte Suprema di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443).
Le ragioni della decisione costituiscono giusti motivi per disporsi la compensazione tra le parti delle spese del giudizio di cassazione.
PQM
La Corte rigetta il ricorso. Compensa tra le parti le spese del giudizio di cassazione.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, come modif. dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 4 aprile 2019.
Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2019
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