LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –
Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –
Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –
Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sul ricorso 20333-2017 proposto da:
N.G., NI.GL., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA E. TAZZOLI 2, presso lo studio dell’avvocato LAURA NISSOLINO, che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato GABRIELE AGRIZZI;
– ricorrenti –
contro
AZIENDA PER L ASSISTENZA SANITARIA N. ***** ALTO FRIULI COLLINARE MEDIO FRIULI in persona del Direttore Generale pro tempore Dott. B.P.P., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA A.
BERTOLONI, 44, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI DE VERGOTTINI, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato LAURA D’ORLANDO;
– controricorrenti –
e contro
V.G.;
– intimato –
avverso la sentenza n. 368/2017 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, depositata il 01/06/2017;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 02/07/2019 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PEPE Alessandro, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato GABRIELE AGRIZZI;
udito l’Avvocato VALERIA MORRA per delega.
FATTI DI CAUSA
1. Nel 2007 N.G. e Ni.Gl. convennero dinanzi al Tribunale di Udine l’azienda sanitaria “Alto Friuli” e V.G., esponendo che:
-) il 29 aprile 2005 N.G. si era rivolto all’ospedale di Gemona, a causa della comparsa in regione inguinale sinistra di una tumefazione di circa 8 cm di diametro;
-) tale tumefazione, come si accerterà in seguito, era dovuta ad un aneurisma dell’aorta femorale sinistra;
-) tale aneurisma venne trattato in modo incongruo dai sanitari dell’ospedale di *****; questi infatti avevano affrontato l’aneurisma protesizzando il tratto vascolare con una protesi artificiale, invece che con una protesi naturale autologa od eterologa; avevano provocato l’infezione del tratto interessato dalla protesizzazione; non avevano prontamente avviato il paziente ad un ospedale meglio attrezzato per la chirurgia vascolare, quale quello di Udine;
-) tutte queste omissioni avevano comportato la necessità di sottoporre il paziente a reiterati interventi chirurgici fino a che, il 27 maggio 2005, nell’ospedale di Udine il paziente dovette essere sottoposto all’amputazione dell’arto inferiore sinistro, amputazione poi estesa il 24 giugno successivo sino al terzo medio inferiore della coscia.
Chiesero perciò, sulla base di questi fatti, la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni rispettivamente patiti.
2. Il Tribunale di Udine, dopo aver disposto due perizie e dopo aver richiesto chiarimenti ai consulenti in tutti e due i casi, con sentenza 19 marzo 2013 n. 351 rigettò la domanda.
La Corte d’appello di Trieste, adita dai soccombenti, con sentenza 1 giugno 2017 n. 368 rigettò il gravame.
La Corte d’appello ritenne non colposa la scelta dei sanitari di impiantare una protesi artificiale invece che una naturale; ritenne che altre scelte terapeutiche non erano concretamente possibili; reputò che un immediato trasferimento del paziente in altro ospedale non gli avrebbe garantito migliori chances di guarigione.
La Corte d’appello, infine, ha ritenuto inammissibile, perchè nuova, la domanda con cui l’appellante si lamentava di non aver ricevuto da parte dei sanitari una completa ed adeguata informazione.
3. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione da N.G. e Ni.Gl. con ricorso fondato su dieci motivi ed illustrato da memoria.
Ha resistito con controricorso l’Azienda per l’assistenza sanitaria n. ***** “Alto Friuli-Collinare-Medio Friuli”. Anche l’azienda controricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo di ricorso.
1.1. Col primo motivo i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la violazione degli artt. 112,115 e 116 c.p.c.. L’illustrazione del motivo può essere così riassunte:
-) nel giudizio di primo grado erano state eseguite due consulenze tecniche d’ufficio; la prima aveva ritenuto che, in caso di cure più adeguate, il paziente avrebbe avuto “significative probabilità” di salvare l’arto; la seconda consulenza invece era stata di parere opposto;
-) il giudice di primo grado aveva condiviso la seconda consulenza;
-) gli appellanti avevano censurato tale valutazione, sostenendo che il Tribunale non aveva affatto preso in considerazione la prima delle due consulenze, nemmeno al fine di confutarla;
-) la Corte d’appello ha trascurato di esaminare tale motivo di gravame.
1.1. Il motivo è infondato.
La Corte d’appello, infatti, ha dato conto che gli appellanti nel proprio, atto di gravame “ribadivano (assai diffusamente) la colpa dei sanitari, rivalutando quanto argomentato dal primo c.t.u.”.
Tale motivo di gravame è stato rigettato dalla Corte d’appello con le motivazioni contenute a pagina 4, ultimo capoverso, della sentenza impugnata, ove si legge che “a seguito degli opportuni approfondimenti, nel confermare le precedenti valutazioni, a specifica richiesta della Corte gli specialisti incaricati hanno collegialmente chiarito” sia l’assenza di colpa in capo ai sanitari dell’ospedale di *****, sia in ogni caso che “le chances di salvataggio dell’atto non sarebbero state ragionevolmente superiori rispetto a quelle offerte al paziente dall’ospedale di *****”.
Il vizio di omessa pronuncia, pertanto, non sussiste; nè, come noto, il giudice di merito ha l’obbligo di prendere in esame e confutare tutte le argomentazioni difensive svolte dalle parti, ma può limitarsi ad indicare quali, tra le prove raccolte ed i contrapposti argomenti svolti dalle difese delle parti, ritenga sufficienti a dimostrare i fatti posti a fondamento della decisione (ex multis, Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 12123 del 17/05/2013; Sez. 1, Sentenza n. 8767 del 15/04/2011, Rv. 617976 – 01; Sez. L, Sentenza n. 5748 del 25/05/1995; Sez. 2, Sentenza n. 683 del 06/02/1982; e così via risalendo fino a Sez. 3, Sentenza n. 734 del 17/04/1962, Rv. 251161 – 01, nella quale già si stabilì con limpida prosa che il giudice non e tenuto a svolgere i motivi del suo convincimento con una confutazione analitica delle singole prove, ma è sufficiente che esprima “in forma sobria e sintetica i risultati del suo apprezzamento sul complesso degli elementi di prova acquisiti al processo”, la cui valutazione in concreto rientra nel suo potere di prudente apprezzamento delle prove, e non può essere sindacata in Cassazione, nemmeno sotto il profilo di travisamento del fatto, “quando la motivazione sia immune da vizi logici e giuridici e non sia travagliata da omesso esame di fatti decisivi”.
2. Il secondo motivo di ricorso.
2.1. Col secondo motivo i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 2,13,32 e 111 Cost.; degli artt. 1176,1218,1228,1337 e 2049 c.c.; nonchè della L. n. 833 del 1978, art. 33.
Nell’esposizione del motivo si sostiene che la Corte d’appello avrebbe “omesso ogni motivazione in ordine al consenso informato”.
Deducono che, mentre il primo consulente nominato dal Tribunale aveva rilevato che il paziente doveva essere informato dei rischi connessi alla sua patologia ed all’intervento cui venne sottoposto, il secondo consulente tacque sull’argomento, ed il giudice di secondo grado parimenti omise di affrontarlo.
L’illustrazione del motivo prosegue poi richiamando i principi giurisprudenziali concernenti il diritto del paziente all’informazione.
2.2. Il motivo è infondato.
La Corte d’appello, infatti, ha espressamente provveduto sul motivo d’appello concernente il danno da violazione del diritto del paziente all’informazione, reputandolo inammissibile “in quanto oggetto di domanda nuova”.
Tale ratio decidendi non viene neanche scalfita dal secondo motivo di ricorso. In particolare, i ricorrenti non indicano se, in quale atto e con che termini avessero proposto la domanda di risarcimento del danno da violazione del diritto all’informazione nel primo grado di giudizio.
3. Il terzo motivo di ricorso.
3.1. Col terzo motivo i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la violazione degli artt. 112,115 e 116 c.p.c..
L’illustrazione del motivo contiene una censura così riassumibile:
-) i sanitari dell’ospedale di *****, dopo avere scelto di rimuovere l’aneurisma ed impiantare un vaso sanguigno autologo (cioè prelevato dallo stesso paziente), nel corso dell’intervento si avvidero dell’impossibilità di un trapianto autologo, a causa delle condizioni di ischemia e di infezione dell’area su cui intervenire;
-) di conseguenza, i sanitari ripiegarono sull’impianto di un vaso sanguigno artificiale;
-) i sanitari, come ritenuto dal primo dei consulenti nominati dal Tribunale, avrebbero però dovuto prefigurarsi sin da subito il rischio che il trapianto autologo non fosse possibile a causa delle condizioni cliniche del paziente, ed avrebbero pertanto sin da subito dovuto trasferirlo in un ospedale attrezzato per questo tipo di interventi;
-) tale profilo di colpa dei sanitari, ritenuto insussistente dal Tribunale, aveva formato oggetto di un motivo di appello ad hoc (il terzo), che la Corte d’appello di Trieste omise di prendere in esame.
3.2. Il motivo è infondato.
Come già detto, la Corte d’appello ha ritenuto che le scelte terapeutiche compiute dai sanitari dell’ospedale di ***** non furono colpose: sia perchè vi era urgenza di intervenire, sia perchè l’innesto di un vaso autologo era impossibile; sia perchè era parimenti impossibile disporre nell’immediatezza di protesi naturali crioconservate.
Dopo avere escluso la sussistenza della colpa, la Corte d’appello ha altresì aggiunto, ad abundantiam, che in ogni caso il trasferimento del paziente in un altro ospedale non gli avrebbe affatto garantito “chances di salvataggio ragionevolmente superiori rispetto a quelle offerte dall’ospedale di *****”.
Vale, dunque, anche in questo caso quanto già esposto con riferimento al primo motivo di ricorso: e doè che la Corte d’appello ha espressamente affrontato e deciso la questione della sussistenza della colpa dei sanitari; la circostanza, poi, che nella motivazione della sentenza non si siano prese in esame e confutate una per una tutte le argomentazioni difensive svolte dagli appellanti non costituisce violazione dell’art. 112 c.p.c..
4. Il quarto motivo di ricorso.
4.1. Col quarto motivo i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, l’omesso esame da parte della corte d’appello “delle circostanze di cui sopra, ossia dei rilievi in tema di accertamenti preoperatori”.
4.2. Il motivo, anche a prescindere da qualsiasi considerazione circa l’ammissibilità, ai sensi dell’art. 366 c.p.c., dei termini con cui è formulato, è comunque infondato.
In sostanza i ricorrenti lamentano che la Corte d’appello avrebbe dovuto ritenere in colpa i sanitari di *****, per non aver trasferito il paziente immediatamente all’ospedale di Udine.
Ma la corte d’appello ha espressamente affermato – con valutazione di fatto, come tale non censurabile in questa sede – che l’intervento cui il paziente venne sottoposto il 1 maggio aveva “carattere di urgenza e da programmarsi il prima possibile”, con ciò implicitamente escludendo che potesse ravvisarsi a carico dei sanitari una condotta colposa consistita nel non aver disposto il trasferimento del paziente. E tale ratio decidendi è assorbente rispetto alle deduzioni svolte nel terzo e nel quarto motivo di ricorso.
5. Il quinto motivo di ricorso.
5.1. Col quinto motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 1176,1218,1223,1337,2049 e 2700 c.c.; nonchè della L. n. 833 del 1978, art. 33 e dell’art. 111 Cost..
Sostiene che la Corte d’appello avrebbe “omesso qualsiasi motivazione” sulla questione da essi prospettata con il terzo motivo d’appello, ovvero la sussistenza di una colpa dei sanitari dell’ospedale di ***** per aver proceduto all’intervento senza i necessari accertamenti preoperatori, i quali se compiuti avrebbero dovuto indurre i sanitari a trasferire il paziente in altra struttura.
5.2. Il motivo è manifestamente infondato.
La motivazione della sentenza impugnata esiste ed è chiara (pagina 4, ultimo capoverso, e 5, primo capoverso, della sentenza impugnata): i sanitari di ***** non furono in colpa perchè il paziente andava operato immediatamente, e in ogni caso qualsiasi condotta, anche colposa, dei sanitari dell’ospedale di *****, fu priva di rilievo causale rispetto al danno patito dal paziente.
Il vizio di omessa motivazione, pertanto, non sussiste; lo stabilire poi, se nel merito la valutazione della Corte d’appello fu corretta o scorretta non è questione sindacabile in questa sede.
6. Il sesto motivo di ricorso.
6.1. Col sesto motivo i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, la violazione degli artt. 112,115 e 116 c.p.c.. Nella illustrazione del motivo si formula una tesi così riassumibile:
-) il giudice di primo grado, dinanzi a due consulenze d’ufficio antitetiche, preferì quella svolta per seconda, la quale escluse la responsabilità dei sanitari;
-) in calce a tale consulenza erano richiamati, a sostegno delle conclusioni dei consulenti, vari contributi tratti dalla letteratura scientifica;
-) tali contributi, tuttavia, lungi dai sostenere le conclusioni dei consulenti, erano in aperta contraddizione con queste;
-) tale contrasto tra le conclusioni dei consulenti e la letteratura da essi richiamata a sostegno di esse aveva formato oggetto di un esplicito motivo di appello (il quarto), sul quale la Corte d’appello omise di pronunciarsi.
6.2. Il motivo è infondato.
Anche in questo caso, infatti, la difesa dei ricorrenti confonde il vizio di omessa pronuncia con l’omesso esame di uno o più argomenti difensivi svolti dalle parti.
L’omessa pronuncia, che rende nulla la sentenza, sussiste quando il giudice di merito trascuri completamente di prendere in esame una domanda, e non quando il giudice rigetti quella domanda trascurando di prendere in esame uno degli argomenti addotti dall’attore a sostegno di essa.
Nel caso di specie la Corte d’appello ha preso in esame complessivamente (come era sua facoltà) tutti i motivi di gravame concernenti il problema della sussistenza d’una condotta colposa da parte dei sanitari, e li ha rigettati condividendo “i chiarimenti collegialmente forniti dagli specialisti incaricati”. Così statuendo, la Corte d’appello ha chiaramente manifestato il proprio giudizio di condivisione dell’operato dei consulenti, il quale a sua volta costituisce un implicito rigetto del motivo col quale si censurava l’operato di quelli.
Anche in questo caso, pertanto, il vizio di omessa pronuncia non vi fu, e lo stabilire poi se la Corte d’appello abbia visto giusto nel condividere le conclusioni del secondo consulente è questione sottratta al perimetro del giudizio di legittimità.
7. Il settimo motivo di ricorso.
7.1. Col settimo motivo i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, il vizio di omesso esame d’un fatto decisivo.
Sostengono che la Corte d’appello avrebbe erroneamente ritenuto “urgente” l’intervento cui venne sottoposto il paziente, senza considerare che i sanitari dell’ospedale di ***** da un lato attesero due giorni (dal 29 aprile al 1 maggio) prima di sottoporre il paziente all’intervento; e dall’altro lato che comunque le condizioni cliniche del paziente, per come descritte nella cartella clinica, non imponevano affatto un intervento urgente.
Aggiungono i ricorrenti che, in ogni caso, nei due giorni trascorsi tra il ricovero e l’intervento i sanitari dell’ospedale di ***** avrebbero avuto ogni agio di acquisire da strutture sanitarie non distanti (in particolare, dalla banca dei tessuti crio-preservati dell’ospedale di *****) protesi naturali da utilizzare per l’intervento, in luogo di quella artificiale concretamente utilizzata, più esposta delle prime al rischio di infezioni.
7.2. Il motivo è inammissibile.
Esso infatti, lungi dal prospettare l’omesso esame di un singolo fatto concreto, circoscritto e decisivo, investe una valutazione squisitamente di merito, ovvero quella con cui il giudice di secondo grado ha ritenuto non sussistente una condotta colposa da parte dei sanitari.
Ed infatti lo stabilire se un medico abbia tenuto una condotta prudente; se si sia attenuto alle linee guida; se ricorressero o non ricorressero situazioni di urgenza; se potesse o non potesse ricorrere all’ausilio di altre strutture sanitarie per acquisire tempestivamente materiale biologico, sono altrettanti accertamenti di fatto, riservati al giudice di merito e non sindacabili in sede di legittimità.
8. L’ottavo motivo di ricorso.
8.1. Con l’ottavo motivo i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’art. 111 Cost.; artt. 1176,1218,1228,1337 e 2049 c.c..
Nell’esposizione del motivo formulano una tesi così riassumibile:
-) qualsiasi struttura sanitaria, oltre ad eseguire le prestazioni dovute, deve anche dotarsi di una organizzazione capace di fronteggiare eventuali emergenze;
-) costituisce, pertanto, una condotta colposa quella dell’ospedale che non si doti di una efficiente organizzazione;
-) l’ospedale di *****, prima di eseguire l’intervento, non si era preoccupato di dotarsi di idonee protesi crioconservate, sicchè quando nel corso dell’intervento sorse la necessità di esse, l’ospedale ne era privo;
-) la Corte d’appello pertanto, escludendo la colpa dell’ospedale in presenza di una simile condotta, ha violato l’art. 1176 c.c., comma 2, e art. 1218 c.c..
8.2. Il motivo è inammissibile per una duplice ragione.
La prima ragione è che lo stabilire se la condotta di una struttura sanitaria sia stata conforme o difforme alle leges artis che ne disciplinano l’attività è una valutazione squisitamente di fatto, riservata al giudice di merito.
La seconda ragione è il difetto di decisività.
Infatti, come già rilevato, la Corte d’appello ha rigettato le domande attoree non solo per avere escluso che la condotta dei sanitari fosse stata negligente; ma anche per avere escluso la sussistenza di un valido nesso di causa tra tale condotta e la perdita dell’arto sofferta dal paziente.
Pertanto, quand’anche si volesse ritenere in tesi fondata la censura concernente la valutazione della colpa, l’altra ratio decidendi sarebbe comunque di per sè idonea a sorreggere la pronuncia di rigetto, e non potrebbe farsi luogo all’accoglimento del ricorso.
9. Il nono motivo di ricorso.
9.1. Col nono motivo i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 1176,1218,1337,2049 e 2236 c.c..
Il motivo, sebbene formalmente unitario, contiene plurime censure giustapposte, quando non tra loro frammiste.
L’illustrazione del motivo esordisce affermando che la Corte d’appello non avrebbe esaminato il motivo d’appello (il nono) col quale gli appellanti invocavano l’inapplicabilità al caso di specie dell’art. 2236 c.c..
Dopo avere affermato ciò, l’illustrazione del motivo prosegue affermando – non senza contraddittorietà – che “il giudicante di seconde cure ha ritenuto applicabile l’esimente di cui all’art. 2236 c.c.”.
Quindi i ricorrenti tornano a sostenere che i sanitari dell’ospedale di ***** erano incorsi in plurime condotte colpose, consistite nell’avere trascurato di informare correttamente il paziente; nell’avere scelto una tecnica operatoria inadeguata; nell’avere colposamente ritardato il trasferimento del paziente in un ospedale più attrezzato;
nell’avere utilizzato materiale protesico non adatto; nell’avere lasciato in situ un frammento della protesi originariamente utilizzata, il quale favorì il processo infettivo.
Dopo aver esposto queste valutazioni i ricorrenti concludono il motivo in esame osservando che “nessuna possibilità di applicazione dell’art. 2236 c.c. si può neppure astrattamente considerare per il (Ndr: testo originale non comprensibile) del signor N.G.”.
9.2. Il motivo è inammissibile.
In primo luogo è inammissibile per la sua confusione: esso infatti mescola censure, questioni e valutazioni diverse, che impediscono a questa Corte di stabilire quale sia stata la esatta doglianza che i ricorrenti intesero formulare.
In ogni caso, quand’anche si volesse benevolmente scindere l’illustrazione del motivo nelle varie giustapposte proposizioni che lo compongono, esso non avrebbe miglior sorte, in quanto:
-) nella parte in cui lamenta l’omessa pronuncia sul non motivo d’appello, il motivo è manifestamente infondato: la Corte d’appello, infatti, ritenendo insussistente nel caso di specie “elementi gravemente colposi su cui si potrebbe fondare una responsabilità ex art. 2236 c.c.” ha per ciò solo implicitamente ritenuto che l’intervento richiesto ai sanitari dell’ospedale di ***** fosse di speciale difficoltà, e quindi si è pronunciata sul punto;
-) nella parte in cui lamenta che erroneamente il giudice di merito avrebbe ritenuto di speciale difficoltà l’intervento cui venne sottoposto il paziente dell’ospedale di *****, il motivo è inammissibile perchè investe un accertamento di fatto, riservato al giudice di merito;
-) nella parte in cui torna ad elencare una serie di condotte colpose tenute dai sanitari, che secondo i ricorrenti la Corte d’appello avrebbe trascurato di prendere in esame, il motivo è parimenti inammissibile, in quanto per un verso investe accertamenti squisitamente di fatto, come correttamente rilevato dal Procuratore Generale nelle sue conclusioni; e per altro verso è privo di decisività, a fronte della già rilevata duplice ratio decidendi posta dalla corte d’appello a mandamento della propria decisione (e cioè non solo la mancanza di colpa dei sanitari, ma anche la mancanza di nesso causale).
10. Il decimo motivo ai ricorso.
10.1. Col decimo motivo i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 1176,1218 e 1227 c.c..
Nella illustrazione del motivo si afferma che la Corte d’appello avrebbe violato l’art. 1227 c.c., nella parte in cui ha ritenuto che le condizioni del paziente (secondo il giudice di merito tossicodipendente, e solito iniettarsi lo stupefacente nell’arteria femorale) fossero state la “causa assorbente” del danno finale.
Osservano i ricorrenti che il paziente non era portatore di alcuna pregressa patologia; che unica causa dell’amputazione dell’arto fu l’imperizia dei sanitari dell’ospedale di *****; che in ogni caso ed a tutto concedere, quando il danno finale sia provocato tanto dal fatto dell’uomo, quanto da concause naturali (incluse tra queste le pregresse condizioni di salute del paziente) l’autore del fatto illecito o dell’inadempimento deve rispondere per intero del danno.
10.2. Il motivo è inammissibile per estraneità alla ratio decidendi.
La Corte d’appello infatti non ha attribuito alla vittima un concorso di colpa ex art. 1227 c.c. (del resto impensabile, dal momento che essere malati non è una colpa); nè tanto meno ha ritenuto che le pregresse condizioni di salute del paziente siano state una concausa dell’evento di danno. La sentenza impugnata, al contrario, ha ritenuto che tali condizioni siano state la causa esclusiva del danno, “creando i presupposti delle gravi complicanze (nella specie non prevedibili se non sul piano meramente congetturale ed astratto), non scongiurabili con la normale diligenza” da parte dei sanitari.
La Corte d’appello dunque non ha violato il principio di irrilevanza del concorso del fatto naturale col fatto dell’uomo, dal momento che ha attribuito al fatto naturale il rilievo di causa esclusiva.
11. Le spese.
11.1. La circostanza che la sentenza d’appello si fondi su una motivazione estremamente sintetica, potendo teoricamente avere contribuito ad ingenerare nei ricorrenti il dubbio che essa potesse essere censurabile in sede di legittimità, costituisce un grave motivo, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., per compensare interamente tra le parti le spese del giudizio di legittimità.
11.2. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico dei ricorrenti di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).
P.Q.M.
la Corte di cassazione:
(-) rigetta il ricorso;
(-) compensa integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità;
(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di N.G. e Ni.Gl., in solido, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Terza Sezione civile della Corte di cassazione, il 2 luglio 2019.
Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2019
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