Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.28887 del 08/11/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CURZIO Pietro – Presidente –

Dott. LEONE Maria Margherita – rel. Consigliere –

Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –

Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13673-2018 proposto da:

P.A., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato COGO GIOVANNA;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE SPA *****, in persona del Procuratore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA MAZZINI 27, presso lo studio dell’avvocato TRIFIRO’SALVATORE, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 850/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 27/04/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 04/06/2019 dal Consigliere Relatore Dott. LEONE MARGHERITA MARIA.

RILEVATO

Che:

La corte di appello di Milano con la sentenza n. 850/2017, a seguito di rinvio della Corte di cassazione (n. 25819/2017), confermando la sentenza del tribunale di Milano, accertativa della illegittimità del termine apposto al contratto stipulato tra Poste italiane e P.A. e della esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, aveva rideterminato l’indennità di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, dovuta alla lavoratrice, in 2,5 mensilità della retribuzione globale di fatto oltre accessori dalla sentenza di primo grado.

La Corte territoriale, nella determinazione della indennità, aveva considerato la durata limitata del contratto a termine.

Avverso la sentenza la P. proponeva ricorso affidato a tre motivi cui resisteva con controricorso e successiva memoria, la società Poste.

E’ stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.

CONSIDERATO

1) – Con il primo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., e della L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, della L. n. 92 del 2012, art. 1 e della L. n. 604 del 1966, art. 8, in relazione all’art. 12 disp. gen. e art. 416 c.p.c. (in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.).

2) – Con il secondo motivo è denunciato l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti,in relazione alla L. n. 183 del 2010, art. 32 e L. n. 604 del 1966, art. 8, nonchè vizio di motivazione in quanto illogica, assente e apparente (art. 360 c.p.c., n. 5).

I motivi possono essere trattati congiuntamente in quanto attinenti alla medesima questione inerente la condanna al pagamento della indennità di cui all’art. 32 ed i criteri utilizzati per la determinazione del quantum.

Con il primo profilo di censura parte ricorrente deduce che la sentenza impugnata sarebbe errata per genericità ed indeterminatezza in quanto la Corte territoriale avrebbe ricompreso ” nelle 2,5 mensilità anche le retribuzioni pagate da Poste italiane per il periodo successivo alla data della pronuncia ”

La censura risulta inammissibile in quanto è fuori bersaglio rispetto al dictum della sentenza impugnata che chiaramente liquida la sola indennità risarcitoria di cui alla L. n. 183 del 2010, art. 32, comma 5, coerentemente con la domanda svolta dalla stessa ricorrente le cui conclusioni sono riportate nella decisione del giudice d’appello. La sentenza, ordinando la restituzione delle somme “eventualmente” percepite in eccedenza a seguito della esecuzione della sentenza di primo grado, non fa nessun riferimento alla natura delle stesse ed al loro riferimento al periodo successivo alla conversione del rapporto di lavoro. Pertanto il motivo di doglianza attuale introduce una questione non trattata specificamente dalla corte territoriale.

Con riferimento al secondo profilo del vizio denunciato, inerente la errata valutazione dei criteri utili a determinare l’indennità risarcitoria, deve rilevarsi che la corte territoriale ha utilizzato quale parametro unico la durata (contenuta) del contratto stipulato tra le parti. Parte ricorrente denuncia sotto il profilo dell’omesso esame, la mancata valutazione degli ulteriori criteri dettati dall L. n. 604 del 1966, art. 8, richiamati dall’art. 32. A riguardo questa Corte ha chiarito che “L’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo, censurabile ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie, sicchè il fatto storico non può identificarsi con il difettoso esame dei parametri della liquidazione dell’indennità L. 4 novembre 2010, n. 183, ex art. 32, comma 5, sui quali il giudice di merito conduce la valutazione ai fini della liquidazione della stessa.2498/2015; 13488/2015. Deve peraltro soggiungersi che i criteri indicati dal richiamato art. 8 (e quindi dall’art. 32, comma 5), non richiedono una concomitante valutazione da parte del giudice, trattandosi di indicatori previsti dal legislatore per svolgere una valutazione indennitaria che ben può trovare piena soddisfazione solo in taluno di tali indicatori che riescano a realizzare la giusta personalizzazione del ristoro nella singola fattispecie in esame (con riferimento alla personalizzazione del danno si veda Corte Cost. sentenza n. 194/2018). Pertanto la valutazione della corte territoriale, ancorata alla durata del contratto, risulta coerente alle previsioni delle disposizioni inerenti la quantificazione e rispettosa dei criteri ivi contenuti.

La censura è da rigettare.

Altresì inammissibili gli ulteriori profili del secondo motivo perchè un vizio di motivazione di per sè non è ammissibile a seguito della riforma dell’art. 360 c.p.c., n. 5, attesa la mancata allegazione e rappresentazione della decisività dei fatti omessi.

3) – Con il terzo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione deli artt. 91,92 e 336 c.p.c., nonchè vizio di motivazione per illiceità e contraddittorietà della stessa in ordine ad un fatto rilevante del giudizio (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

Parte ricorrente si duole della statuizione in punto di spese.

La corte territoriale ha condannato la società Poste solo al pagamento delle spese relative al giudizio di appello ed ha invece compensato le spese concernenti le restanti fasi in ragione dell'”esito del giudizio di legittimità”.

Il motivo è infondato in quanto si tratta di procedimento iniziato prima del 2005 per il quale “nel regime anteriore a quello introdotto dalla L. 28 dicembre 2005 n. 263, art. 2, comma 1, lett. a), il provvedimento di compensazione parziale o totale delle spese “per giusti motivi” deve trovare un adeguato supporto motivazionale, anche se, a tal fine, non è necessaria l’adozione di motivazioni specificamente riferite a detto provvedimento purchè, tuttavia, le ragioni giustificatrici dello stesso siano chiaramente e inequivocamente desumibili dal complesso della motivazione adottata a sostegno della statuizione di merito (o di rito). Ne consegue che deve ritenersi assolto l’obbligo del giudice anche allorchè le argomentazioni svolte per la statuizione di merito (o di rito) contengano in sè considerazioni giuridiche o di fatto idonee a giustificare la regolazione delle spese adottata, come – a titolo meramente esemplificativo – nel caso in cui si dà atto, nella motivazione del provvedimento, di oscillazioni giurisprudenziali sulla questione decisiva, ovvero di oggettive difficoltà di accertamenti in fatto, idonee a incidere sulla esatta conoscibilità a priori delle rispettive ragioni delle parti, o di una palese sproporzione tra l’interesse concreto realizzato dalla parte vittoriosa e il costo delle attività processuali richieste, ovvero, ancora, di un comportamento processuale ingiustificatamente restio a proposte conciliative plausibili in relazione alle concrete risultanze processuali” (Cass. SU n. 20598/2008).

Il ricorso deve essere rigettato.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in favore della controricorrente nella misura di cui al dispositivo Sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. n. 30 maggio, art. 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013) trovando tale disposizione applicazione ai procedimenti iniziati in data successiva al 30 gennaio 2013, quale quello in esame (Cass. n. 22035 del 17/10/2014; Cass. n. 10306 del 13 maggio 2014 e numerose successive conformi).

PQM

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in E. 3.000,00 per compensi ed E. 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 15h ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 4 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2019

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