LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DORONZO Adriana – Presidente –
Dott. LEONE Margherita Maria – Consigliere –
Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –
Dott. SPENA Francesca – Consigliere –
Dott. DE FELICE Alfonsina – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 6825-2018 proposto da:
B.G., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MARCO GALLINA;
– ricorrente –
contro
B & V DIVANI SRL, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE BRUNO BUOZZI 68, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO COSSA, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato GRAZIA CASTELI LICCIO;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 500/2017 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 14/12/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 05/06/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ALFONSINA DE FELICE.
RILEVATO
CHE:
la Corte d’appello di Brescia, a conferma della pronuncia del locale Tribunale, ha rigettato il ricorso di B.G., dipendente della Società B & V Divani S.r.l. inquadrato nella quinta qualifica, il quale aveva chiesto di accertare che le mansioni da lui svolte dal 2009, quale montatore d’arredi, appartenevano al superiore quarto livello e che, essendo stato trasferito – su sua richiesta – in magazzino dal 2013, a maggior ragione avrebbe avuto diritto alla superiore qualifica, atteso che, in base alla declaratoria contrattuale, tale era l’inquadramento previsto per detta mansione, che comprende compiti operativi, ma altresì di vendita e complementari;
il confronto fra le declaratorie contrattuali inerenti alla quarta e alla quinta qualifica, secondo la Corte d’appello ha, in particolare, evidenziato come nessuno dei due livelli esemplificasse espressamente le mansioni di operaio montatore di arredi, e che, dall’accertamento del contenuto specifico delle mansioni assegnate all’appellante, era risultato come non fossero richieste a quest’ultimo le particolari competenze tecniche di operaio specializzato oggetto del quarto livello contrattuale;
la stessa Corte territoriale ha, altresì, accertato che l’adibizione dell’appellante al magazzino si era esaurita nello svolgimento di compiti semplici di mero carico e scarico merci senza investire compiti di gestione e di organizzazione del servizio;
la cassazione della sentenza è domandata da B.G. sulla base di un unico motivo; la Società D & V Divani S.r.l. ha resistito con tempestivo controricorso;
è stata depositata proposta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.
CONSIDERATO CHE:
con l’unico motivo di ricorso, formulato ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, il ricorrente deduce “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., e/o errore processuale: mancata valutazione, da parte del giudice del merito della prova documentale offerta”; contesta alla Corte d’appello di aver ritenuto non provato lo svolgimento delle mansioni di magazziniere; di non aver valutato le buste paga rilasciate dall’azienda, da cui risultava la circostanza, mai contestata in giudizio dalla controparte, secondo cui dal mese di settembre 2013 il ricorrente era stato qualificato dal datore di lavoro quale “magazziniere”;
il motivo è inammissibile;
secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, per dedurre la violazione dell’art. 115 c.p.c., occorre denunziare che il Giudice, contraddicendo espressamente o implicitamente la regola posta da tale disposizione, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dai poteri officiosi riconosciutigli, non anche che il medesimo, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dall’art. 116 c.p.c. (Cass. n. 26769 del 2018);
il principio di diritto sopra richiamato va letto in correlazione con l’altro, secondo cui: “In tema di valutazione delle prove, il principio del libero convincimento, posto a fondamento degli artt. 115 e 116 c.p.c., opera interamente sul piano dell’apprezzamento di merito, insindacabile in sede di legittimità, sicchè la denuncia della violazione delle predette regole da parte del giudice del merito non configura un vizio di violazione o falsa applicazione di norme processuali, sussumibile nella fattispecie di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, bensì un errore di fatto, che deve essere censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come riformulato dal D.L. n. 83 de 2012, art. 54, conv. con modif. dalla L. n. 134 del 2012” (Cass. n. 23940 del 2017);
nel caso in esame, risulta evidente dalla stessa prospettazione della censura che il ricorrente non intenda contestare una violazione di norme sostanziali o processuali, ma lamenta mancata valutazione delle buste paga da cui sarebbe risultata la sua qualifica di magazziniere, secondo la deduzione tipica del vizio di motivazione;
così riqualificato il vizio denunciato, esso va dichiarato inammissibile per la presenza di una doppia conforme in ordine al mancato raggiungimento della prova dello svolgimento di mansioni superiori, diverse da quelle di inquadramento;
seguendo il costante orientamento di legittimità “Nell’ipotesi di “doppia conforme”, prevista dall’art. 348-ter c.p.c., comma 5, (applicabile, ai sensi del D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2, conv., con modif., dalla L. n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello introdotti con ricorso depositato o con citazione di cui sia stata richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), il ricorrente in cassazione – per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (nel testo riformulato dal D.L. n. 83 cit., art. 54, comma 3, ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012) – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse.”(Cass. n. 26774 del 2016; Cass. n. 19001 del 2016; Cass. n. 5528 del 2014);
il ricorrente ha, inoltre, omesso di trascrivere le buste paga – costituenti gli elementi di fatto su cui si fonda la censura e di operare il richiamo all’atto e alla fase del giudizio di merito in cui detti documenti sono stati sottoposti alla cognizione del giudice del merito, deduzioni queste necessarie dal momento che degli stessi non vi è traccia nella sentenza impugnata;
in definitiva, il ricorso va dichiarato inammissibile; le spese del presente giudizio, come liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;
in considerazione dell’esito del giudizio, si dà atto che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità in favore della Società B & V Divani S.r.l., che liquida in Euro 200 per esborsi, Euro 2000 per compensi professionali, oltre spese generali nella misura forfetaria del 15 per cento ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, all’Adunanza camerale, il 5 giugno 2019.
Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2019