LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –
Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –
Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 23751/2018 proposto da:
I.H., elettivamente domiciliato in Roma, via Sardegna, 29, presso lo studio dell’avvocato Giuseppe Libutti e rappresentata e difesa dall’avvocato Oriana Ottanelli, in forza di procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
Commissione Territoriale per il Riconoscimento della Protezione Internazionale, Ministero dell’Interno, Procura Generale presso Corte di appello di Milano;
– intimati –
e contro
Ministero dell’Interno, in persona del Ministro pro tempore, domiciliato in Roma, Via dei Portoghesi 12, presso l’Avvocatura generale dello Stato che lo rappresenta e difende ex lege;
– intimato –
avverso la sentenza n. 596/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 05/02/2018;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 25/06/2019 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI.
FATTI DI CAUSA
1. Con ricorso D.Lgs. n. 25 del 2008, ex art. 35, I.H., cittadino *****, ha impugnato dinanzi al Tribunale di Milano il provvedimento con cui la Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale ha respinto la sua richiesta di protezione internazionale, nelle forme dello status di rifugiato, della protezione sussidiaria e della protezione umanitaria.
Il ricorrente, cittadino *****, nato a *****, di etnia chamba e religione musulmana, aveva narrato di aver scoperto la propria omosessualità a sedici anni ma di averla tenuta nascosta a causa della legislazione repressiva e dell’ambiente ostile familiare; di aver intrattenuto una relazione con un altro ragazzo e di essere stato sorpreso con lui in casa propria, da altri ragazzi; di esser riuscito ad allontanarsi, dopo essersi fatto consegnare del denaro dai dipendenti del padre; di essere stato minacciato dal padre, sia per l’omosessualità, sia per la sottrazione dei soldi; di essere fuggito prima in Togo e poi in Libia, ove era rimasto cinque anni, sino alla morte del proprio datore di lavoro, avvenuta nel 2014; di aver appreso dalla madre che il padre lo aveva denunciato alla polizia per omosessualità.
Con ordinanza del 5/2/2018 il Tribunale di Milano ha rigettato il ricorso, negando la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento di qualsiasi forma di protezione.
2. Avverso la predetta decisione ha proposto appello I.H., a cui ha resistito il Ministero dell’Interno.
Con sentenza del 5/2/2018 la Corte di appello di Milano ha rigettato l’appello a spese compensate.
3. Avverso la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione I.H. con atto notificato il 31/7/2018, con il supporto di cinque motivi.
L’intimata Amministrazione dell’Interno si è costituita con controricorso notificato il 7/8/2018, chiedendo il rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il primo e il secondo motivo di ricorso sono strettamente connessi e possono quindi essere esaminati congiuntamente.
1.1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 3, 4 e 5.
Il ricorrente osserva che la valutazione della credibilità del richiedente asilo non deve essere effettuata alla stregua della mera mancanza di riscontri oggettivi, mentre il racconto del sig. I. era stato circostanziato e aveva dato conto delle pesanti condizioni vissute dagli omosessuali in Ghana, a cui si dovevano aggiungere le criticità del sistema giudiziario e carcerario. Non era comprensibile quali altre informazioni il ricorrente avrebbe dovuto fornire circa la sua presa di coscienza dell’omosessualità, riportate in modo completo, seppur comprensibilmente sintetico, e con una normale ritrosia.
1.2. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a) e art. 5, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8,D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. e), art. 7, comma 2 e art. 8, comma 1.
La sola circostanza della repressione penale detentiva dell’omosessualità avrebbe giustificato il riconoscimento dello status di rifugiato, anche a prescindere dalle evidenti difficoltà in cui il ricorrente si troverebbe in patria in caso di rientro per difendersi dalle accuse mosse nei suoi confronti.
1.3. La Corte di appello ha riconosciuto, a pagina 5, che l’omosessualità del ricorrente e la nota persecuzione a cui gli omosessuali sono sottoposti in Ghana, avrebbe legittimato, in astratto la misura protettiva.
In ogni caso, è il caso di puntualizzare che la nozione di “rifugiato”, di cui al 1D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. e), quale “cittadino straniero il quale, per il timore fondato di essere perseguitato per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza ad un determinato gruppo sociale o opinione politica, si trova fuori dal territorio del Paese di cui ha la cittadinanza e non può o, a causa di tale timore, non vuole avvalersi della protezione di tale Paese” ricomprende grazie al riferimento al “determinato gruppo sociale” anche i timori di persecuzione collegati all’orientamento sessuale.
Inoltre il D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 19, comma 1, vieta l’espulsione o il respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione anche per motivi di orientamento sessuale.
Questa Corte ha al proposito affermato che per persecuzione deve intendersi una forma di lotta radicale contro una minoranza, che può anche essere attuata sul piano giuridico e specificamente con la semplice previsione del comportamento che si intende contrastare come reato punibile con la reclusione; tale situazione si concretizza allorchè le persone di orientamento omosessuale sono costrette a violare la legge penale del Paese e a esporsi a gravi sanzioni per poter vivere liberamente la propria sessualità, sì che ben si può ritenere che ciò costituisca una grave ingerenza nella vita privata dei cittadini omosessuali che compromette grandemente la loro libertà personale.
Tale violazione si riflette, automaticamente, sulla condizione individuale delle persone omosessuali, ponendole in una situazione oggettiva di persecuzione tale da giustificare la concessione della protezione (Sez. 6, 20/09/2012, n. 15981).
Ai fini della concessione della protezione internazionale, la circostanza che l’omosessualità sia considerata un reato dall’ordinamento giuridico del Paese di provenienza è rilevante, costituendo una grave ingerenza nella vita privata dei cittadini omosessuali, che compromette grandemente la loro libertà personale e li pone in una situazione oggettiva di persecuzione, tale da giustificare la concessione della protezione richiesta (Sez. 6-1, n. 15981 del 20/09/2012, Rv. 624006-01).
Posto che la Corte di appello non ha revocato in dubbio che il Ghana reprima penalmente l’omosessualità, l’unico punto da chiarire atteneva alla veridicità delle dichiarazioni del sig. I. circa il suo orientamento sessuale.
1.4. In tema di riconoscimento dello status di rifugiato, i poteri istruttori officiosi prima della competente Commissione e poi del giudice, risultano rafforzati; in particolare, spetta al giudice cooperare nell’accertamento delle condizioni che consentono allo straniero di godere della protezione internazionale, acquisendo anche di ufficio le informazioni necessarie a conoscere l’ordinamento giuridico e la situazione politica del Paese di origine. In tale prospettiva la diligenza e la buona fede del richiedente si sostanziano in elementi di integrazione dell’insufficiente quadro probatorio, con un chiaro rivolgimento delle regole ordinarie sull’onere probatorio dettate dalla normativa codicistica vigente in Italia (Sez. un., 17/11/2008, n. 27310).
L’attenuazione dell’onere probatorio a carico del richiedente non esclude l’onere di compiere ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. a), essendo possibile solo in tal caso considerare veritieri i fatti narrati. La valutazione di non credibilità del racconto, costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito il quale deve valutare se le dichiarazioni del richiedente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c), ma pur sempre a fronte di dichiarazioni sufficientemente specifiche e circostanziate (Sez. 6-1, n. 27503 del 30/10/2018, Rv. 651361-01).
Da ultimo, questa Corte (Sez. 1, 12/6/2019, n. 15794) ha ribadito che una volta allegati, i fatti posti a sostegno della domanda di protezione internazionale vanno provati dal richiedente, sia pure entro speciali limiti, e con peculiari agevolazioni; in linea di principio, cioè, il giudizio volto al riconoscimento della protezione internazionale, come si desume dalla già citata previsione che sollecita il richiedente a depositare la documentazione necessaria, non si sottrae, salvo quanto si dirà, all’applicazione delle regole generali dettate in ordine al riparto dell’onere probatorio dall’art. 2697 c.c., comma 1: con la conseguenza che, se la sussistenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale non sono provati, la domanda è da rigettare.
E’ infatti è ben possibile che il richiedente, dopo aver assolto l’ineludibile onere di allegare le circostanze poste a sostegno della domanda di protezione internazionale, sia talora in condizione altresì di comprovarne il fondamento; ma è ampiamente intuitivo che egli, proprio a cagione delle persecuzioni o danni gravi subiti nel Paese di provenienza, o anche solo paventati, possa non essere in grado di offrire la prova di dette circostanze: e tale è il contesto in cui la norma in esame tempera il principio dispositivo, disciplinando, tra l’altro, il dovere di cosiddetta cooperazione istruttoria.
Il comma 5 del menzionato art. 3, stabilisce che, qualora taluni elementi posti a sostegno della domanda di protezione internazionale non siano suffragati da prove, prove che dunque la norma ribadisce di porre di regola a carico dell’interessato, essi sono considerati veritieri ove possa ritenersi che il richiedente, oltre ad essersi attivato tempestivamente alla proposizione della domanda, abbia compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziarla e, così, abbia offerto tutti gli elementi pertinenti in suo possesso ed abbia fornito una idonea motivazione dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi; abbia fornito dichiarazioni coerenti e plausibili e non in contraddizione con le informazioni generali e specifiche pertinenti al suo caso, di cui si dispone, e risulti altresì, in generale credibile.
1.5. Nella fattispecie, tuttavia in ordine alla genuinità del racconto del richiedente e, decisivamente, in ordine alla sua dichiarata omosessualità, la Corte di appello, pur avendo richiamato le regole in tema di attenuazione dell’onere probatorio, non le ha rispettate, addebitando al ricorrente la mancanza di riscontri alle sue dichiarazioni, che inoltre ha definito “poco credibili, generiche, sfornite di qualsiasi prova”, ovvero “stereotipate e generiche” e affermando di condividere le osservazioni del giudice di primo grado circa l’attendibilità del racconto, non illustrate o sintetizzate nel provvedimento impugnato, nè desumibili dal tenore dei motivi di appello, essi pure sottaciuti.
Non è dato comprendere da simili asserzioni, meramente di stile, adattabili ad ogni procedimento, per quali ragioni la Corte milanese non abbia ritenuto credibile l’affermazione del ricorrente circa la sua omosessualità, tema rilevante e decisivo per il riconoscimento della protezione internazionale, con il conseguente difetto assoluto di motivazione, meramente apparente e non riscattata dalla considerazione, del tutto generica, della mancanza di dettagli credibili in ordine alla presa di coscienza della omosessualità.
2. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione od falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a) e art. 5, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. e), art. 14, lett. c) e art. 17.
Le notizie generali riguardanti il Ghana ottenibili d’ufficio descrivevano, diversamente da quanto affermato dalla Corte di appello una situazione estremamente critica e conflittuale sfociante in conflitto armato attuale del Paese, come risultava dalle COI, dal sito dell’Ansa, dal rapporto di Amnesty International del 2017.
Con il quarto motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 4, il ricorrente denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., con riferimento alla richiesta di protezione sussidiaria avanzata dal ricorrente ai sensi dell’art. 14, lett. b), non considerata dal Giudice.
Con il quinto motivo di ricorso, proposto ex art. 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione od falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 3, lett. a) e art. 5, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 32, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e art. 19, in ordine alla mancata concessione della protezione umanitaria, tenuto conto della buona integrazione nella comunità ghanese omosessuale in Italia e della situazione di vulnerabilità in caso dir entro in patria, per l’ambiente ostile e l’atteggiamento della famiglia.
I predetti motivi restano tutti assorbiti per effetto dell’accoglimento del primo, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata e il rinvio anche per le spese del giudizio di legittimità, ad altra sezione della Corte di appello di Milano.
P.Q.M.
La Corte:
accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, ad altra sezione della Corte di appello di Milano.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 25 giugno 2019.
Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2019