Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Ordinanza n.28940 del 08/11/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TORRICE Amelia – Presidente –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10394/2014 proposto da:

AZIENDA OSPEDALIERO UNIVERSITARIA OSPEDALI RIUNITI *****, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SCIRE’ 15, presso lo studio dell’avvocato LUIGI CASALE, rappresentata e difesa dall’avvocato LORENZO GNOCCHINI;

– ricorrente –

contro

D.A.P., P.M.T., G.G., tutti elettivamente domiciliati in ROMA, VIA NIZZA 45, presso lo studio dell’avvocato LUCIANO MARIANI, rappresentati e difesi dall’avvocato PAOLO CAMPANATI;

D.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COSTANTINO MORIN n. 1, presso lo studio dell’avvocato WALTER FELICIANI, rappresentato e difeso dall’avvocato MARIO PINELLI;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 785/2013 della CORTE D’APPELLO di ANCONA, depositata il 15/10/2013 R.G.N. 760/12 + altre.

RITENUTO

1. Che con la sentenza n. 785 del 2013, la Corte d’Appello di Ancona, in accoglimento delle impugnazioni proposte da G.G., P.M.T., D.A.P. e D.A., nei confronti dell’Azienda Ospedaliera Ospedali Riuniti *****, avverso le sentenze emesse tra le parti dal Tribunale di Ancona, ha dichiarato l’illegittimità delle sanzioni disciplinari conservative (sospensione dal servizio e dalla retribuzione) irrogate ai lavoratori, e per l’effetto ha condannato l’Azienda a rimborsare a ciascuno degli stessi le retribuzioni trattenute a titolo di sanzione pecuniaria, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dal giorno della ritenuta al saldo.

2. Le sanzioni erano state irrogate all’esito dei procedimenti disciplinari per l’addebito, contestato a ciascun dipendente, di avere eseguito prestazioni infermieristiche non autorizzate a favore della struttura sociosanitaria *****.

3. La Corte d’Appello ha affermato la carenza di proporzionalità tra gli addebiti disciplinari e le sanzioni irrogate.

L’esistenza di una risalente convenzione tra la struttura socio-sanitaria ***** e l’Azienda ospedaliera era tale da diluire sensibilmente la portata delle lamentele della datrice di lavoro circa il pregiudizio insito nella prestazione di attività concorrenziale a favore di terzi.

Inoltre, la considerazione del danno e del disservizio arrecato alla Azienda non figurava nei singoli provvedimenti di irrogazione della sanzione disciplinare, e comunque non sussisteva il danno economico perchè la prestazione era stata resa fuori dall’orario di lavoro. Era da escludere che gli infermieri avessero avuto un rendimento meno produttivo o avessero arrecato disservizio, come risultava dalla prova per testi.

Inoltre, i lavoratori erano immuni da precedenti disciplinari.

Pertanto, risultava eccessiva ed afflittiva la sospensione di 45 giornate di lavoro ( D. e D.), 60 giornate di lavoro ( G.) e 75 giornate di lavoro ( P.) con perdita della retribuzione, se raffrontata con la meno grave sanzione della sospensione per 10 giorni prevista dal codice disciplinare (art. 13, lettera e, Codice disciplinare, CCNL Comparto sanità) per la ipotesi – obiettivamente non meno grave – dello “svolgimento di attività che ritardino il recupero psico fisico durante lo stato di malattia e di infortunio”; ovvero se raffrontata con la meno grave sanzione della sospensione per 10 giornate prevista anch’essa dall’art. 13, lett. m, per la “violazione di doveri di comportamento non ricompresi specificatamente nelle lettere precedenti da cui sia, comunque, derivato grave danno all’azienda o all’ente, agli utenti o terzi”.

4. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre l’Azienda, prospettando due motivi di ricorso.

5. Resiste con controricorso D.A..

6. Resistono con controricorso G.G., P.M.T., D.A.P..

CONSIDERATO

1. Che con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione della L. n. 662 del 1996, art. 1, commi 60 e 61, D.Lgs. n. 165 del 2001, artt. 55 e 55-bis, art. 2119 c.c., art. 13 Codice disciplinare – CCNL Comparto sanità del 19 aprile 2004, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. Violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, sotto il profilo della omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.

Assume la ricorrente che le considerazioni poste dalla Corte d’Appello a fondamento della affermata mancanza di proporzionalità della sanzione disciplinare sono errate.

Il danno, del cui verificarsi non occorre formale contestazione, nella specie, era in re ipsa, non avendo peraltro i lavoratori versato i compensi percepiti al datore di lavoro (D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53).

Le giornate lavorative cui si riferiva la contestazione disciplinare erano state effettuate durante il periodo di riposo settimanale e/o compensativo, periodi già retribuiti al dipendente (art. 9 del CCNI del 20 settembre 2001).

Inoltre, l’utilizzazione del predetto periodo di riposo, per recarsi a svolgere altro lavoro senza autorizzazione, espone l’Amministrazione al rischio di pregiudizievole disattenzione, verso i pazienti, nello svolgimento dell’attività lavorativa infermieristica, con pericolo di danno, cui fa riferimento l’art. 13 del Codice disciplinare, in relazione alla proporzionalità e gradualità delle sanzioni.

Anche la prosecuzione per inerzia dell’attività esterna prima consentita, non permetteva di ritenere legittimo l’esercizio del doppio lavoro in mancanza dell’autorizzazione, che spettava al dipendente chiedere.

Nè poteva confrontarsi la prestazione resa dal dipendente pubblico comandato, distaccato dall’Azienda sanitaria presso il privato, con il servizio prestato uti singulis, che invece dà luogo ad un doppio lavoro svolto in mancanza di autorizzazione.

La ricorrente censura, altresì, il confronto operato dalla Corte d’Appello con altre sanzioni previste dal Codice disciplinare. In ragione del carattere primario del dovere di esclusività che grava sul pubblico dipendente, la sanzione avrebbe dovuto essere quella del recesso per giusta causa, con conseguente adeguatezza e legittimità della sanzione conservativa.

Sussisteva, altresì, danno all’immagine per l’Azienda.

2. Con il secondo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, sotto il profilo della omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.

Erroneamente, la Corte d’Appello, che in altra pronuncia relativa ad analoga fattispecie aveva ritenuto legittima la sanzione, non avrebbe considerato, quale circostanza aggravante, l’entità del doppio lavoro prestato (reiterata attività di lavoro per lunghi periodi) dai dipendenti senza autorizzazione.

3. I suddetti motivi devono essere trattati congiuntamente in ragione della loro connessione. Gli stessi sono fondati.

L’accertamento dei fatti ed il successivo giudizio in ordine alla gravità e proporzionalità della sanzione disciplinare adottata sono demandati all’apprezzamento del giudice di merito, che – anche qualora riscontri l’astratta corrispondenza dell’infrazione contestata alla fattispecie tipizzata è tenuto a valutare la legittimità e congruità della sanzione inflitta, tenendo conto di ogni aspetto concreto della vicenda (Cass., n. 26010 del 2018).

Nella specie, la Corte d’Appello non ha fatto corretta applicazione di tale principio, escludendo la proporzionalità delle sanzioni alla luce di un erroneo e parziale esame delle circostanze concrete.

4. Occorre premettere che l’art. 53 del T.U.I.P., al comma 1, stabilisce che resta ferma per tutti i dipendenti pubblici la disciplina delle incompatibilità dettate dal D.P.R. n. 3 del 1957, artt. 60 e segg. e al comma 7 sancisce che i dipendenti pubblici non possono svolgere incarichi retribuiti che non siano stati conferiti o previamente autorizzati dall’amministrazione di appartenenza.

Il citato art. 60, a sua volta, sancisce il regime delle incompatibilità e prevede che “l’impiegato non può esercitare il commercio, l’industria, nè alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati (…)”.

L’art. 55 cit. nel disciplinare sanzioni e responsabilità disciplinare del dipendente pubblico, a sua volta, demanda alla contrattazione collettiva la tipologia delle infrazioni e delle relative sanzioni, salvo, tra l’altro, quanto previsto dall’art. 53, comma 1, cit..

L’art. 13 del Codice disciplinare (CCNL Comparto sanità 19 aprile 2004) tipizza alcuni illeciti disciplinari, tra i quali quelli richiamati nella sentenza di appello, ma stabilisce, comunque, che le mancanze non espressamente richiamate sono in ogni caso sanzionate secondo i criteri generali di gradualità e proporzionalità della sanzione, in relazione alla gravità della mancanza.

5. Tanto premesso, va ribadito, come già affermato da questa Corte, che il rapporto di lavoro alle dipendenze di pubbliche amministrazioni è caratterizzato dall’obbligo di esclusività, che trova il suo fondamento costituzionale nell’art. 98 Cost., con il quale il legislatore costituente, nel prevedere che “i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione”, ha voluto rafforzare il principio di imparzialità di cui all’art. 97 Cost., sottraendo il dipendente pubblico dai condizionamenti che potrebbero derivare dall’esercizio di altre attività.

Su detto obbligo non ha inciso, e non poteva farlo, la contrattualizzazione del rapporto di impiego, e la materia, sottratta all’intervento delle parti collettive, è rimasta disciplinata innanzitutto del D.P.R. n. 3 del 1957, artt. 60 e segg., in forza del richiamo contenuto nel D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 53, comma 10 (Cass., n. 28797 del 2017).

Dunque, lo svolgimento da parte del pubblico dipendente di attività lavorativa per un soggetto privato,come nella specie, integra una condotta disciplinarmente rilevante, come affermato dalla stessa Corte d’Appello.

In particolare, il principio ha trovato applicazione con riguardo alla dirigenza medica, laddove si è affermato che (Cass., n. 3467 del 2019) che nei confronti dei dirigenti medici opera il regime delle incompatibilità, cumulo di impieghi ed incarichi di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, quale precipitato dell’obbligo di esclusività sancito per i dipendenti pubblici dall’art. 98 Cost..

6. Erroneamente, tuttavia, la Corte d’Appello ha parametrato, quanto alla sanzione, la fattispecie in esame a quelle previste dall’art. 13, lett. e e m, del Codice disciplinare, atteso che in materia disciplinare, il procedimento di sussunzione della fattispecie concreta in quella astratta, tipizzata dalle parti collettive, postula l’integrale coincidenza tra le due, con conseguente impossibilità di procedere a una tale operazione logica, quando la condotta del lavoratore sia caratterizzata da elementi aggiuntivi, estranei e aggravanti (Cass., n. 8582 del 2019), come nella specie, ove l’illecito disciplinare è tipizzato dal legislatore, e si distingue sia (art. 13, lett. e) da un ritardo nel recupero psico-fisico durante malattia o infortunio, sia dalla violazione di un dovere di comportamento nel rendere la prestazione oggetto del rapporto di lavoro pubblico contrattualizzato (art. 13, lett. m).

7. Il rilievo disciplinare non è escluso, nè attenuato come afferma la Corte d’Appello, dal pregresso svolgimento di incarichi analoghi (cfr., Cass., n. 4701 del 2019).

Dopo aver svolto, in ragione di una risalente convenzione tra l’Azienda sanitaria, e la struttura privata “*****” prestazioni presso quest’ultima, in una sorta di comando/assegnazione, l’attività era proseguita anche dopo il venire meno della convenzione e in modo significativo per numerose giornate ( D. 36 giorni nel 2007 e 41 giorni nel 2008; G. 111 giorni nel 2008 e 47 giorni nel 2009; P. 121 giorni nel 2008 e 66 giorni nel 2009; D. 82 giorni nel 2008 e 133 giorni 20072008, si v. ricorso pag. 3), in mancanza di autorizzazione.

In relazione a detta attività non può ritenersi che la mancata richiesta di autorizzazione all’ente di appartenenza possa trovare giustificazione nella circostanza dell’affidamento da parte dei lavoratori – in virtù del pregresso incarico – nella legittimità del loro operato.

L’incarico svolto richiedeva una apposita autorizzazione dell’ente di appartenenza, che era onere degli interessati acquisire.

Nè può rilevare l’assenza di diffida, in quanto la stessa costituisce l’avvio del procedimento per la declaratoria di decadenza del lavoratore dal rapporto di impiego pubblico, mentre nella specie l’Amministrazione ha inteso avvalersi del procedimento disciplinare.

8. Quanto al danno, va rilevato che viene in rilievo la violazione del dovere di esclusività, che di per sè integra l’illecito disciplinare, restando estranea alla fattispecie, e dunque alla contestazione, la causazione di danno all’amministrazione.

La considerazione del danno arrecato può rilevare quanto al giudizio di proporzionalità, ma in proposito, deve osservarsi che la mancanza di danno patrimoniale non esclude la sanzionabilità della condotta, così come l’assenza di precedenti sanzioni disciplinari.

Nella specie, la mancanza di danno non può desumersi dal solo fatto di essere la prestazione lavorativa non autorizzata svolta fuori dall’orario di lavoro e senza arrecare disservizi – circostanze che attengono all’adempimento di alcune dell’obbligazione contrattuali oggetto del rapporto di lavoro pubblico, ma non riducono il rilievo della violazione disciplinare posta in essere, che veniva svolta al di fuori dell’orario lavorativo dovendosi, invece, tenere conto della consistenza della stessa in sè, e rispetto alla sospensione irrogata ( D. e D. 45 giorni di sospensione, G. 60 giorni di sospensione, P. 75 giorni), nonchè al carattere concorrenziale della condotta disciplinare e alle possibili ricadute sull’attività di servizio prestata (personale infermieristico che presta servizio presso le sale operatorie, si v. pag. 21).

9. Pertanto il ricorso deve esser accolto.

10. La Corte cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese del presente giudizio alla Corte d’Appello di Ancona in diversa composizione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese del presente giudizio alla Corte d’appello di Ancona in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Adunanza camerale, il 19 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2019

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