Corte di Cassazione, sez. I Civile, Ordinanza n.28968 del 08/11/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. PARISE Clotilde – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23902/2018 proposto da:

R.A., elettivamente domiciliato presso la Cancelleria Civile della Suprema Corte di Cassazione rappresentato e difeso dall’avvocato GASPARIN DANIELA;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno;

– intimato –

avverso la sentenza n. 346/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 22/01/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 25/06/2019 dal Cons. Dott. FIDANZIA ANDREA

FATTI DI CAUSA

La Corte d’Appello di Milano, con sentenza depositata il 22 gennaio 2018, ha confermato il provvedimento di primo grado di rigetto della domanda di R.A., cittadino del *****, volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale o, in subordine, della protezione umanitaria.

E’ stato, in primo luogo, ritenuto che difettassero i presupposti per il riconoscimento in capo al ricorrente dello status di rifugiato, non essendo le due dichiarazioni state ritenute attendibili (costui aveva riferito innanzi alla Commissione territoriale di aver lasciato il proprio paese per la mancanza di lavoro e perchè non riusciva a mantenere la propria famiglia nonchè di aver contratto molti prestiti che non era in grado di restituire, aggiungendo, altresì, innanzi al Tribunale di aver ricevuto minacce dai suoi creditori).

Inoltre, con riferimento alla richiesta di protezione sussidiaria, la Corte d’Appello di Milano ha evidenziato l’insussistenza del pericolo del ricorrente di essere esposto a grave danno in caso di ritorno nel paese d’origine.

Infine, il ricorrente non è stato comunque ritenuto meritevole del permesso per motivi umanitari, non essendo stata allegata una specifica situazione di vulnerabilità personale.

Ha proposto ricorso per cassazione R.A. affidandolo a tre motivi. Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3, 4,5,6,7, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, artt. 2 e 3 CEDU.

Lamenta il ricorrente che la Corte d’Appello, nel valutare la credibilità del suo racconto, ha trascurato di osservare che la sua audizione è durata soltanto venti minuti. La Corte d’Appello lo ha erroneamente ritenuto non attendibile, non considerando che un’eventuale reticenza o eventuali esitazioni sono da ritenersi collegate a motivi culturali e di scarsa scolarità.

Il Collegio ha omesso l’esame di fatti decisivi dallo stesso allegati, quali la minaccia alla vita subita, l’emarginazione e la paura di far rientro nel proprio paese.

2. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 2, 3 e 14, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8 e 27, artt. 2, 3, 6 e 13 CEDU, art. 47Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, 46 dir. Europea n. 2013/32 nonchè la violazione dei parametri normativi relativi alla credibilità delle dichiarazioni ed alla definizione di danno grave.

Contesta il ricorrente la contraddittorietà delle proprie dichiarazioni, evidenziando nuovamente la breve durata del colloquio cui è stato sottoposto.

Rileva, inoltre, che i giudici di merito non hanno riportato in modo completo la situazione in Bangladesh soprattutto con riferimento alla violazione dei diritti umani.

3. Il primo ed il secondo motivo, da esaminare unitariamente, attinendo entrambi alla richiesta protezione internazionale, sono inammissibili.

Sono, in primo luogo, inammissibili le censure del ricorrente in ordine alla valutazione di non credibilità delle sue dichiarazioni formulate da entrambi i giudici di merito.

Sul punto, anche recentemente, questa Corte ha statuito che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito. (Sez. 1 -, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549).

Nel caso di specie, il ricorrente ha solo genericamente contestato il giudizio di non credibilità formulato dai giudici di merito, allegando soltanto di non aver potuto precisare adeguatamente il proprio racconto per la brevità del colloquio cui è stato sottoposto, senza quindi neppure allegare gravi anomalie motivazionali, le uniche attualmente denunciabili nei ristretti limiti consentiti dall’art. 360 c.p.c., n. 5.

Quanto alla richiesta di protezione sussidiaria, va preliminarmente osservato che questa Corte ha più volte statuito che, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria, a norma del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), la nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale, deve essere interpretata, in conformità con la giurisprudenza della Corte di giustizia UE (sentenza 30 gennaio 2014, in causa C-285/12), nel senso che il grado di violenza indiscriminata deve avere raggiunto un livello talmente elevato da far ritenere che un civile, se rinviato nel Paese o nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenza sul territorio, un rischio effettivo di subire detta minaccia (Cass. n. 13858 del 31/05/2018).

Nel caso di specie, la Corte di merito ha evidenziato l’insussistenza di una situazione di violenza indiscriminata in Bangladesh (rilevando sì la presenza di gravi problemi di ordine pubblico, di forti limitazioni alle libertà fondamentali ed attacchi terroristici, ma non derivanti da un conflitto armato ad alta intensità), ed il relativo accertamento costituisce apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità (Cass. 12/12/2018 n. 32064).

Ne consegue che le censure del ricorrente, sul punto, si configurano come di merito, e, come tali, inammissibili in sede di legittimità, essendo finalizzate esclusivamente a sollecitare una rivalutazione del materiale probatorio già esaminato dai giudici di merito.

4. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5 e art. 19, comma 6, D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3,4,7,1416 e 17, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 8,10 e 32, art. 10 Cost..

Contesta il ricorrente di non essersi inserito nel nostro paese, potendo vantare una rete di sostegno ed aiuto con possibilità di lavoro ed alloggio grazie anche ad un proprio connazionale.

Va preliminarmente osservato che sebbene con l’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018, sia stato soppresso l’istituto della protezione umanitaria, questa Sezione, con sentenza n. 4890/2019, ha elaborato il seguente principio di diritto: “La normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina del permesso di soggiorno per motivi umanitari dettata dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e dalle altre disposizioni consequenziali, sostituendola con la previsione di casi speciali di permessi di soggiorno, non trova applicazione in relazione alle domande di riconoscimento di un permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5/10/2018) della nuova legge, le quali saranno pertanto scrutinate sulla base della normativa esistente al momento della loro presentazione…”.

Se è pur vero che tale indirizzo è stato messo in dubbio dall’ordinanza interlocutoria di questa Corte n. 11749/19, che ha, peraltro, rimesso alle Sezioni Civili non solo la valutazione della retroattività o meno del D.L. n. 113 del 2008, ma anche lo scrutinio sui principi elaborati da questa Corte con la sentenza n. 4455/2018, tuttavia, nel caso di specie, non è necessario sospendere il presente giudizio ed attendere la decisione del Supremo Collegio, atteso che la domanda del ricorrente non possiede i requisiti per un suo accoglimento neppure con i parametri elaborati nella citata sentenza n. 4455/2018.

In primo luogo, non è sufficiente per il ricorrente aver dedotto una violazione sistematica dei diritti fondamentali nel Paese d’origine. Sul punto, questa Corte ha già affermato che, anche ove sia dedotta dal richiedente una effettiva e significativa compromissione dei diritti fondamentali inviolabili nel paese d’origine, pur dovendosi partire, nella valutazione di vulnerabilità, dalla situazione oggettiva di tale paese, questa deve essere necessariamente correlata alla condizione personale che ha determinato la ragione della partenza. Infatti, ove si prescindesse dalla vicenda personale del richiedente, si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti, e ciò in contrasto con il parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (in questi termini Cass. n. 4455 del 23/02/2018).

Nel caso di specie, il ricorrente non ha dedotto assolutamente nulla in ordine alle proprie condizioni personali in rapporto alla violazione dei diritti fondamentali nel periodo precedente la sua partenza dal Bangladesh, avendo concentrato ogni sforzo di allegazione sulla vicenda – ritenuta non credibile dai giudici di merito – legata all’abbandono del suo paese per le asserite minacce dei creditori.

Peraltro, non vi è dubbio che la ritenuta inattendibilità e non credibilità delle dichiarazioni del ricorrente abbia assunto un notevole rilievo ai fini della valutazione della situazione di vulnerabilità e della mancata concessione della protezione umanitaria.

Infine, le censure del ricorrente in ordine al suo livello di integrazione raggiunto in Italia sono del tutto irrilevanti, avendo questa Corte già affermato che il livello di integrazione raggiunto dall’odierno ricorrente nel paese d’accoglienza è un elemento che può essere sì considerato in una valutazione comparativa al fine di verificare la sussistenza della situazione di vulnerabilità, ma non può, tuttavia, da solo esaurirne il contenuto (vedi sempre Cass. n. 4455 del 23/02/2018).

Il rigetto del ricorso non comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di lite, non essendosi il Ministero intimato costituito in giudizio.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, il 25 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 8 novembre 2019

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