LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 1
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Presidente –
Dott. MELONI Marina – Consigliere –
Dott. ACIERNO Maria – Consigliere –
Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere –
Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 5359-2018 proposto da:
BANCA SAN FRANCESCO – CREDITO COOPERATIVO – SOCIETA’ COOPERATIVA, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SABOTINO, 22, presso lo studio dell’avvocato MARCO TRONCI, rappresentata e difesa dall’avvocato GIANCARLO DI FEDE;
– ricorrente –
contro
CURATELA DEL FALLIMENTO ***** SRL;
– intimata –
avverso il decreto n. R.G. 58/2016 del TRIBUNALE di AGRIGENTO, depositato il 10/01/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 02/04/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ALDO ANGELO DOLMETTA.
FATTO E DIRITTO
1.- La Banca San Francesco – Credito cooperativo ha presentato domanda di insinuazione al passivo fallimentare della s.r.l. *****, assumendo di essere tra l’altro creditore per “anticipazioni finanziarie eseguite su fatture”. Su conforme proposta del curatore, il giudice delegato ha respinto questa domanda, ritenendo il credito “documentato scarsamente e tardivamente”.
La Banca ha proposto opposizione L. Fall., ex art. 98, avanti al Tribunale di Agrigento. Che la ha respinta con decreto depositato in data 10 gennaio 2018.
2.- Ha rilevato il giudice che il “fallimento del correntista determina ipso iure lo scioglimento del contratto di conto corrente bancario e la cristallizzazione, alla corrispondente data, dei rapporti di debito/credito tra le parti”.
E’ dunque corretta – così ha proseguito il decreto – l’esclusione del credito “corrispondente alle somme annotate a debito sul conto corrente ordinario, intestato alla società fallita, solo dopo la dichiarazione di fallimento, pronunciata con sentenza del 10 ottobre – 7 novembre 2014. Non risultano tra l’altro depositati gli estratti conto del conto anticipi”.
3.- Avverso questo provvedimento la Banca ha presentato ricorso, affidato a due motivi di cassazione.
Il Fallimento, già non costituito in sede di opposizione, non ha svolto attività difensive nel presente grado di giudizio.
Il ricorrente ha anche depositato memoria.
4.- Il primo motivo di ricorso è intestato “violazione e falsa applicazione degli artt. 2704,2709 c.c. ss., (art. 360 c.p.c., n. 3). Motivazione affetta da grave contraddittorietà (art. 360 c.p.c., n. 4). Omesso esame della documentazione in atti (art. 360 c.p.c., n. 5). Si chiede che il decreto impugnato venga censurato per avere escluso ogni rilievo, ai fini della certezza della data, delle scritture contabili e documentazione allegate dall’istituto di credito dettagliatamente in sede di opposizione, il tutto ai fini dell’accertamento dell’anteriorità della formazione dei documenti posti a fondamento della domanda rispetto alla procedura”.
“La ricorrente Banca San Francesco” – illustra il motivo – “ha dato piena prova, illogicamente disattesa dal Collegio, della certezza della data delle operazioni di anticipo eseguite e da cui scaturisce il credito di cui si chiede l’ammissione (timbri postali ed estratti conto integrali)”. “Si deve ritenere come parte ricorrente abbia ampiamente assolto ad ogni onere probatorio in capo alla stessa volto alla ricostruzione storica dei rapporti di dare-avere per i rapporti contrattuali in essere, avendo con gli estratti conto integrali comprovato i flussi monetari che hanno determinato a una certa data un saldo preciso e inconfutabile”. “In applicazione dell’art. 2709 c.c., la natura confessoria della mancata contestazione da parte del correntista degli estratti conto e la loro implicita approvazione non è priva di efficacia anche nei confronti del curatore”.
“Il Tribunale ha errato altresì” – ha proseguito il motivo – “nel ritenere che la somma” rappresentativa del credito escluso “non potesse essere ammessa al fallimento perchè annotata a debito sul conto corrente ordinario dopo la data di dichiarazione di fallimento; tale annotazione non poteva che avvenire solo successivamente con la chiusura dei rapporti contrattuali in essere a seguito dell’avvenuto fallimento della s.r.l. *****, ma chiaramente si è data prova inconfutabile che detto importo scaturisce da finanziamenti anticipi su fatture contrattualmente regolati e avvenuti con data certa in epoca anteriore al fallimento. Tale affermazione si pone in linea con il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui, ai fini della certezza della computabilità riguardo ai terzi, la data risultante dal timbro postale può ritenersi come data certa”.
5.- Il motivo non merita di essere accolto.
Lo stesso non si confronta con la ratio decidendi del decreto impugnato. Che ha fondato l’esclusione del credito invocato sulla constatazione che le somme, di cui al preteso credito, risultano appostate sul conto corrente della società dopo la dichiarazione del suo fallimento.
Il Tribunale, in altri termini, ha ritenuto non provato non tanto il tempo delle scritture da cui sarebbe “scaturito” il credito, su cui insiste il ricorrente, quanto piuttosto quello relativo all’annotazione delle somme sul conto corrente (sulla inidoneità, in proposito, di ipotetiche annotazioni sul conto anticipi, eventualmente pure anteriori alla dichiarazione di fallimento, v., in particolare, la pronuncia di Cass., 21 agosto 2013, n. 19325, che tra l’altro viene a mettere in evidenza come la “natura di mera evidenza contabile provvisoria” della relativa contabilizzazione escluda “qualsivoglia assimilazione tra addebiti del conto anticipi e del conto ordinario, il secondo costituendo un atto ulteriore produttivo di effetti ben diversi da quelli nascenti dal primo”).
Su tale aspetto, il ricorrente dichiara che l’annotazione “non poteva che avvenire solo successivamente con la chiusura dei rapporti contrattuali”; tuttavia, non indica una qualunque ragione che si ponga a supporto oggettivo di quanto così allegato.
Va aggiunto – posto che il motivo assume anche vizio di omesso esame di fatto decisivo in relazione alla “documentazione in atti” – che il ricorso non viene a specificare gli atti e i modi con cui avrebbe introdotto nel giudizio gli estratti afferenti al conto anticipi.
6.- Il secondo motivo di ricorso è intestato “violazione e falsa applicazione del diritto alla prova (art. 61 c.p.c.), per non avere il tribunale deciso sulla richiesta di CTU contabile. Violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., nonchè difetto e/o omessa motivazione sul mancato accoglimento della istanza istruttoria (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4), censurando il decreto impugnato per avere disatteso l’istanza di nomina di CTU. Violazione degli artt. 24 e 111 Cost., commi 6 e 7, (art. 360 c.p.c., n. 3)”.
Afferma in proposito il ricorrente che, di fronte a una richiesta di CTU, il giudice “deve specificare perchè ha ritenuto che la CTU non fosse necessaria e sulla base di quali elementi probatori si è formato il proprio convincimento. Nel decreto di cui si chiede la censura non si fa alcuna menzione della predetta richiesta istruttoria”.
7.- Il motivo non merita di essere accolto.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la motivazione dell’eventuale diniego di CTU – prova sottratta alla disponibilità delle parti e per sè “affidata al prudente apprezzamento del giudice di merito” – “può anche essere implicitamente desumibile dal contesto generale delle argomentazioni svolte e dalla valutazione del quadro probatorio unitariamente considerato” (Cass., 5 luglio 2007, n. 15219).
Nella specie, il Tribunale ha considerato decisiva la circostanza dell’annotazione a debito in epoca successiva alla dichiarazione di fallimento. Nè il ricorrente indica la ragione della richiesta di CTU in relazione al fatto storico delle dette annotazioni.
8.- In conclusione, il ricorso va respinto.
PQM
La Corte respinge il ricorso.
Dà atto, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, secondo quanto stabilito dalla norma dell’art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta Sezione civile, il 2 aprile 2019.
Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2019
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