Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.29139 del 11/11/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22813-2018 proposto da:

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA *****, in persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

T.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA GREGORIO VII 466, presso lo studio dell’avvocato FLOCCO MARINA, che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di PERUGIA, depositato il 07/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 03/05/2019 dal Consigliere Relatore Dott.sa FALASCHI MILENA.

FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE

La Corte di appello di Perugia, con decreto n. 1327/2018, accoglieva la domanda di equa riparazione proposta da T.G., ex lege n. 89 del 2001, nei confronti del Ministero della Giustizia, per l’irragionevole durata di una procedura esecutiva immobiliare instaurata nei suoi confronti dinanzi al Tribunale di Civitavecchia. Esponeva la Corte che il giudizio presupposto, iniziato con atto di pignoramento notificato in data 22.01.2001 e conclusosi in data 18.11.2011, aveva avuto una durata eccessiva per un periodo pari a circa tredici anni e, conseguentemente, liquidava al T. un indennizzo pari a Euro 2.875,00.

Avverso il decreto della Corte di appello di Perugia, il Ministero della giustizia propone ricorso per cassazione, fondato su due motivi.

Il T. resiste con controricorso.

Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere dichiarato manifestamente fondato, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380-bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.

In prossimità dell’adunanza camerale entrambe le parti hanno curato il deposito di memorie illustrative.

Atteso che:

– va preliminarmente esaminata l’eccezione di tardività del ricorso proposto ormai decorso il termine breve di impugnazione, per avere il difensore notificato a mezzo posta telematica, in data 15.03.29018, sia presso l’Avvocatura distrettuale dello Stato sia presso il Ministero il decreto impugnato.

Essa va disattesa dovendo aversi riguardo ai principi espressi da questa Corte (Cass. 19 settembre 2017 n. 21597; Cass. 5 ottobre 2018 n. 24568) alla cui stregua “la notifica della sentenza effettuata alla controparte a mezzo PEC (L. n. 53 del 1994, ex art. 3-bis, nel testo, applicabile ratione temporis, modificato dal D.L. n. 179 del 2012, art. 16-quater, comma 1, lett. d), conv., con modif., dalla L. n. 228 del 2012) è idonea a far decorrere il termine breve d’impugnazione nei confronti del destinatario ove il notificante provi di aver allegato e prodotto la copia cartacea del messaggio di trasmissione a mezzo posta elettronica certificata, le ricevute di avvenuta consegna e accettazione e la relata di notificazione, sottoscritta digitalmente dal difensore, nonchè la copia conforme della sentenza che, trattandosi di atto da notificare non consistente in documento informatico, sia stata effettuata mediante estrazione di copia informatica dell’atto formato su supporto analogico e attestazione di conformità D.L. n. 179 del 2012, ex art. 16-undecies, del citato.” Nella specie la regolarità della notifica è stata, tuttavia, contestata dall’Avvocatura generale dello Stato quanto alla regolarità della stessa (cfr. al riguardo Cass. 28 novembre 2017 n. 28339, secondo cui, a fronte della documentazione depositata ex adverso attestante la notifica della sentenza impugnata a mezzo pec, rileva il comportamento del ricorrente che sollevi o meno contestazioni sulla regolarità della stessa).

Il T., invero, ha provveduto al deposito – in allegato al controricorso – di sola attestazione di conformità degli allegati, non già della conformità della stessa notifica pec del decreto impugnato.

Alla stregua dei principi enunciati, tenuto conto dell’indicazione (nel corpo della relata, ma anche nel corpo del testo attestato) del fatto che l’atto giudiziale era originariamente a firma digitale e della contestazione mossa dal ricorrente, deve ritenersi tempestiva la impugnazione effettuata nei termini di legge c.d. lunghi, decorrenti dal deposito del provvedimento impugnato;

– passando all’esame del merito del ricorso, con il primo motivo l’Amministrazione denuncia, ex art. 360 c.p.c., n. 4, la nullità del decreto per violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato. A detta del Ministero ricorrente, la Corte di merito avrebbe del tutto omesso di pronunciarsi sulla questione, ritualmente dedotta dal – Ministero nella memoria difensiva, secondo cui il T., rivestendo la posizione di debitore esecutato nel giudizio presupposto, non avrebbe diritto all’equo indennizzo.

Con il secondo motivo parte ricorrente lamenta, ex art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e la falsa applicazione della L. n. 89 del 2001, art. 2, per avere la Corte di merito riconosciuto l’esistenza del diritto all’indennizzo in capo al T. senza tenere conto del fatto che, in quanto debitore esecutato, proprio la lungaggine del giudizio presupposto gli ha consentito di beneficiare, medio tempore, del possesso dell’immobile pignorato.

La censure, che possono essere trattate congiuntamente vertendo entrambe sul riconoscimento del diritto all’equo indennizzo in capo al debitore esecutato, sono fondate.

Sul diritto del debitore esecutato ad ottenere, in linea di principio, l’equa riparazione prevista dalla L. n. 89 del 2001 per la durata irragionevole del processo di espropriazione a suo carico, la giurisprudenza di questa Corte inizialmente non è stata univoca.

A sostegno della soluzione affermativa, Cass. n. 6459/12 ha osservato che nel processo di esecuzione il dritto del cittadino al giusto processo (come delineato dalla nuova formulazione dell’art. 111 Cost.) deve essere soddisfatto attraverso il contraddittorio tra le parti in ogni fase processuale in cui si discuta e si debba decidere circa diritti sostanziali o posizioni comunque giuridicamente protette, tenendo conto del correlato e concreto interesse delle parti stesse ad agire, a contraddire o ad opporsi per realizzare in pieno il proprio diritto di difesa sancito dall’art. 24 Cost.; pertanto, anche il debitore esecutato, in quanto parte, è legittimato a richiedere l’indennizzo L. 24 marzo 2001 n. 89, ex art. 2, per l’irragionevole protrarsi del processo esecutivo (la soluzione affermativa sembra presupposta anche da Cass. n. 5265/03; mentre Cass. nn. 19435/05, 15611/02, 14885/02 e 13768/02 nell’affermare l’applicazione della L. n. 89 del 2001 anche alle procedure esecutive si riferiscono a domande d’equa riparazione proposte da soggetti creditori, e non da debitori esecutati).

Per la negativa, Cass. nn. 26267/13 e 17153/13 hanno rilevato che non ha diritto all’equa riparazione per irragionevole durata del procedimento esecutivo il debitore esecutato che, essendo comproprietario dell’immobile pignorato, non abbia alcun interesse al rapido svolgimento della procedura e, anzi, si sia avvantaggiato del suo protrarsi, avendo mantenuto, medio tempore, il compossesso giuridico del bene.

Una soluzione intermedia è stata prospettata da Cass. n. 23630/13, in un’ipotesi, però, del tutto particolare di valorizzazione dell’atteggiamento tenuto in concreto dal debitore per favorire o meno l’esito espropriativo della procedura.

A partire da Cass. n. 8540/15 si è osservato che il debitore esecutato, sebbene sia parte (non già nel senso del diritto processuale interno, ma ai soli fini in questione) del processo esecutivo, non è necessariamente percosso dagli effetti negativi di un’esecuzione forzata di durata irragionevole, atteso che dall’esito finale di tale processo egli ritrae essenzialmente un (giusto) danno. Pertanto, quella presunzione di danno non patrimoniale derivante dalla pendenza del processo, affermata in linea generale a partire dai noti arresti nn. 1338, 1339 e 1340/04 delle Sezioni Unite di questa Corte, ma negata dagli stessi precedenti con riguardo a situazioni specifiche, in particolare, quella del conduttore convenuto in giudizio per il rilascio dell’immobile locato, non può operare di regola quanto alla posizione del debitore esecutato. Questi, nell’ambito del procedimento di equa riparazione ex lege n. 89 del 2001, ha l’onere di allegare non un generico ma uno specifico suo interesse ad un’espropriazione celere, e di dimostrarne l’effettiva esistenza, nel rispetto degli usuali oneri probatori gravanti sulla parte attrice.

Quindi, Cass. n. 14382/15 ha poi osservato che il diritto ad un processo giusto, paritario e diretto da un giudice terzo e imparziale (art. 111 Cost., commi 1 e 2 e art. 6 CEDU), non è coinvolto nella soluzione delle questioni inerenti alla durata irragionevole del processo stesso. La quale ultima è fonte del diritto ad un’equa riparazione per il paterna d’animo che ogni pendenza processuale provoca ex se, vi siano state o non violazioni di altre garanzie. Pertanto, dalla copertura costituzionale e convenzionale di queste ultime non è possibile nè dedurre nè inferire il diritto ad un’equa riparazione, allorchè il processo abbia ecceduto il termine di durata ragionevole.

Infine, Cass. n. 89/16 ha osservato che il debitore esecutato rimasto inattivo non ha diritto ad alcun indennizzo per l’irragionevole durata del processo esecutivo che è preordinato all’esclusivo interesse del creditore, sicchè egli – a differenza del contumace nell’ambito di un processo dichiarativo – è soggetto al potere coattivo del creditore, recuperando solo nelle eventuali fasi di opposizione ex artt. 615 e 617 c.p.c., la cui funzione è diretta a stabilire un separato ambito di cognizione, la pienezza della posizione di parte, con possibilità di svolgere contraddittorio e difesa tecnica.

Ritiene, pertanto, la Corte di dare continuità a quest’ultimo indirizzo negativo, confermato da Cass. n. 2711/19, non avendo la parte privata allegato nella fattispecie alcuno specifico interesse a che l’esito espropriativo della procedura a suo carico si realizzasse in tempi rapidi.

In conclusione, il ricorso va accolto con cassazione del decreto impugnato e rinvio a diversa Sezione della Corte di appello di Perugia, che provvederà nuovamente all’esame della vicenda alla luce dei principi sopra illustrati, oltre a regolare le spese relative al presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso;

cassa la decisione impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimità, a diversa Sezione della Corte di appello di Perugia.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della VI-2 Sezione Civile, il 3 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 11 novembre 2019

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