Corte di Cassazione, sez. V Civile, Ordinanza n.29191 del 12/11/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. CONDELLO Pasqualina Anna Piera – Consigliere –

Dott. BERNAZZANI Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6258-2014 proposto da:

B.F., elettivamente ROMA VIA DELLA CONCILIAZIONE 44, presso lo studio dell’avvocato MICHELE MARTONE, che lo rappresenta difende unitamente all’avvocato MARCO BALDASSARRI;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, DIREZIONE PROVINCIALE DI PISTOIA, in persona del Direttore aro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso L’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– resistente con atto di costituzione –

avverso la sentenza n. 119/2013 della COMM. TRIB. REG. di FIRENZE, depositata il 17/07/2013;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 27/06/2019 dal Consigliere, Dott. PAOLO BERNAZZANI.

RILEVATO

Che:

B.F. propone ricorso, affidato ad un unico motivo, nei confronti dell’Agenzia delle entrate per la cassazione della sentenza n. 119/29/2013, pronunciata il 27.6.2013 e depositata il 17.7.2013, con cui la CTR della Toscana ha dichiarato inammissibile l’appello proposto dal contribuente averso la decisione di prime cure, che aveva rigettato il ricorso del B. avverso l’avviso di accertamento relativo all’anno 2003 ai fini Irpef, Iva ed Irap, fondato sull’applicazione degli studi di settore all’attività dallo stesso svolta.

La CTR, in particolare, ha posto a fondamento della propria pronuncia il rilievo che il ricorrente, in violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, non aveva depositato presso l’ufficio di segreteria del giudice a quo copia del ricorso in appello.

L’Agenzia ha depositato atto al mero fine di partecipare all’eventuale udienza di discussione, nonchè successiva memoria.

CONSIDERATO

che:

1. Con l’unico motivo di ricorso, il contribuente deduce il vizio di violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 53, comma 2, u.p., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, formulando, in via subordinata, eccezione di legittimità costituzionale della suddetta disposizione, alla stregua degli artt. 3 e 24 Cost.;

Sostiene, a tal fine, che un’interpretazione costituzionalmente orientata della norma citata dovrebbe far ravvisare nell’adempimento in esame una condizione non di ammissibilità dell’impugnazione ma di procedibilità della stessa, “con la conseguenza che deve ritenersi tempestivo il deposito effettuato fino all’udienza di discussione dell’appello e che l’appellante – avvertito dal Collegio della mancata esecuzione della formalità – può chiedere che gli venga assegnato un termine per provvedere a tale adempimento”.

2. Il motivo è inammissibile ai sensi dell’art. 360 – bis c.p.c..

Incontestato il presupposto fattuale costituito dal mancato deposito, da parte dell’odierno ricorrente, di copia del ricorso in appello presso la segreteria della CTP, va rilevato che il consolidato orientamento di questa Corte (da ultimo, Sez. 5, n. 24289 del 04/10/2018, Rv. 650701 – 01), ha fissato il principio secondo cui “in tema di contenzioso tributario, qualora il ricorso in appello non sia notificato a mezzo di ufficiale giudiziario, il deposito in copia presso la segreteria della commissione che ha emesso la sentenza impugnata, in quanto prescritto dal D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 53, comma 2, seconda parte, espressamente a pena d’inammissibilità dell’appello, deve aver luogo entro il termine perentorio di trenta giorni, indicato dalla prima parte della medesima disposizione, attraverso il richiamo all’art. 22, comma 1, per il deposito del ricorso presso la segreteria della commissione “ad quem”, trattandosi di attività finalizzata al perfezionamento del gravame e tale inammissibilità è rilevabile d’ufficio” (cfr., altresì, ex multis, Cass. n. 12861/14; n. 15432/15; n. 3442/16).

In tale prospettiva, la ratio della disposizione è stata identificata da questa Corte e dalla stessa Corte costituzionale nella finalità di rendere nota alla CTP l’impugnazione della sentenza ed impedire, così, il rilascio della copia esecutiva di una sentenza di primo grado impugnata.

In particolare, la Corte costituzionale, con le pronunce n. 321 del 2009, n. 43 del 2010 e n. 141 del 2011 ha fissato i seguenti principi:

a) la disposizione ha l’apprezzabile scopo di informare tempestivamente la segreteria del giudice di primo grado dell’appello notificato senza il tramite dell’ufficiale giudiziario e, quindi, di impedire l’erronea attestazione del passaggio in giudicato della sentenza della Commissione tributaria provinciale (sentenza n. 321 del 2009);

b) tale finalità non potrebbe essere soddisfatta dalla mera previsione dell’obbligo, posto a carico della segreteria del giudice di appello dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 3, di richiedere alla segreteria presso il giudice di primo grado la trasmissione del fascicolo processuale con la copia autentica della sentenza impugnata “subito dopo il deposito del ricorso in appello”, perchè tale richiesta viene formulata dalla segreteria del giudice di appello solo “dopo” la costituzione in giudizio dell’appellante e, pertanto, non consente alla segreteria del giudice di primo grado di avere tempestiva notizia della proposizione dell’appello, considerando anche il tempo necessario a che essa pervenga alla segreteria della CTP; di conseguenza, tale richiesta non è idonea ad evitare il rischio di una erronea attestazione del passaggio in giudicato della sentenza di primo grado, limitandosi essa a consentire al giudice di secondo grado di ottenere la disponibilità del fascicolo in tempo utile per la trattazione della causa in appello;

c) l’applicabilità della disposizione censurata ai soli casi in cui l’appello non venga notificato tramite ufficiale giudiziario si giustifica per il fatto che, nei casi in cui la notificazione sia, invece, effettuata mediante ufficiale giudiziario, è quest’ultimo a fornire tempestiva notizia della proposizione dell’appello alla segreteria del giudice di primo grado, ai sensi dell’art. 123 disp. att. c.p.c. (applicabile al processo tributario in virtù del generale richiamo alle norme del codice di procedura civile, effettuato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 1, comma 2), secondo cui “l’ufficiale giudiziario “che ha notificato un atto d’impugnazione deve darne immediatamente avviso scritto al cancelliere del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata”;

d) il rischio del rilascio di erronee attestazioni di passaggio in giudicato delle sentenze delle CTP non è affatto escluso o ridotto dalla possibilità di revocare successivamente l’erronea attestazione del passaggio in giudicato della sentenza;

e) l’inammissibilità dell’appello per mancata o tardiva costituzione in giudizio dell’appellante (ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 2, primo periodo e art. 22, commi 1, 2 e 3) può sempre essere dimostrata dall’interessato quando richieda l’attestazione del passaggio in giudicato della sentenza di primo grado per la quale sia stato effettuato il deposito di cui alla disposizione censurata;

f) qualora l’appellante abbia scelto di notificare il ricorso in appello non avvalendosi dell’ufficiale giudiziario, l’unico deterrente per determinare la parte a fornire tempestivamente alla segreteria del giudice di primo grado la documentata notizia della proposizione dell’appello stesso è rappresentato dalla sanzione della inammissibilità prevista dalla norma;

g) l’adempimento del deposito non comporta, per la parte, particolari difficoltà e, dunque, non rende estremamente difficile l’esercizio del suo diritto di difesa (cfr. Cass. n. 15432/15).

In siffatto quadro ricostruttivo, la piena legittimità costituzionale della norma evocata è stata, da ultimo, ribadita dalla Corte costituzionale nella pronuncia n. 121 del 2016.

Occorre, pertanto, concludere che nella specie, in presenza del mancato assolvimento di tale onere da parte dell’odierno ricorrente, la CTR si è correttamente adeguata ai principi illustrati.

3. Nella medesima prospettiva, manifestamente infondate sono le censure di legittimità costituzionale evocate con riferimento al parametro degli artt. 3 e 24 Cost., alla luce delle citate pronunce della Consulta, che, sulla base delle considerazioni sopra illustrate, hanno escluso l’irragionevolezza della disposizione sotto il profilo della disparità di trattamento e del rispetto del diritto di difesa.

Basti qui ricordare quanto affermato da C. Cost. n. 43 del 2010, secondo cui “premesso che la disposizione “de qua” ha l’apprezzabile scopo di informare tempestivamente la segreteria del giudice di primo grado dell’appello notificato senza il tramite dell’ufficiale giudiziario e, quindi, di impedire l’erronea attestazione del passaggio in giudicato della sentenza della Commissione tributaria provinciale, deve escludersi l’asseritamente ingiustificata diversità di trattamento tra processo civile e processo tributario, sia perchè il legislatore, nella specie, non ha superato il limite della non arbitrarietà e ragionevolezza posto alla sua ampia discrezionalità nel conformare istituti e discipline processuali, sia perchè la peculiare facoltà di notificare direttamente l’appello tributario, che non ha corrispondenza nel processo civile ordinario, giustifica la specificità della disciplina impugnata. Del pari, non sussiste la dedotta disparità di trattamento, all’interno del processo tributario, tra le notificazioni dell’appello effettuate con o senza il tramite dell’ufficiale giudiziario, trovando la diversità di disciplina adeguata giustificazione nell’indicata esigenza di fornire all’ufficio della segreteria del giudice di primo grado, nel caso di notificazione “diretta” dell’appello, le stesse informazioni che l’ufficiale giudiziario è obbligato a fornire a tale ufficio, in applicazione dell’art. 123 disp. att. c.p.c., nel caso di notificazione effettuata per suo tramite. E’, altresì, infondata la censura di irragionevolezza per mancata previsione di un termine perentorio per l’adempimento dell’onere imposto all’appellante, poichè tale termine è sicuramente ricavabile, in via interpretativa, dal complesso delle norme in materia di impugnazioni nel processo tributario e non può che identificarsi con quello stabilito per la costituzione in giudizio dell’appellante. Infine, quanto alla dedotta violazione dell’art. 24 Cost., l’accertata ragionevole funzione della norma censurata esclude che la sua applicazione ponga oneri o modalità tali da rendere estremamente difficile l’esercizio del diritto di difesa o lo svolgimento di attività processuale”.

4. A completamento di quanto osservato, deve aggiungersi che “in tema di contenzioso tributario, la disposizione di cui al D.Lgs. n. 175 del 2014, art. 36, che ha abrogato il secondo periodo del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 2, non si applica qualora la spedizione dell’appello sia avvenuta in epoca anteriore all’entrata in vigore della normativa sopravvenuta, non contrastando tale previsione con i principi della CEDU secondo i quali il legislatore può legittimamente applicare alle norme di procedura il principio “tempus regit actum”. (Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva dichiarato inammissibile l’appello in quanto la parte aveva omesso di depositare l’atto di appello spedito a mezzo raccomandata presso la segreteria del giudice che aveva emesso la sentenza di primo grado in data antecedente l’entrata in vigore della norma). (Sez. 6 – 5, n. 22627 del 27/09/2017, Rv. 646242 – 02; analogamente, v. Sez. 6 – 5, n. 2276 del 30/01/2017, Rv. 643148 – 01, secondo cui “il D.Lgs. n. 175 del 2014, art. 36, che, nel modificare il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 2, ha eliminato l’obbligo di deposito, a pena di inammissibilità, di copia dell’appello non notificato a mezzo ufficiale giudiziario presso l’ufficio di segreteria della commissione tributaria che ha pronunciato la sentenza impugnata, non si applica ove la notificazione si sia perfezionata prima dell’entrata in vigore della novella e resti, pertanto, in assenza di disciplina transitoria o di esplicite disposizioni di segno contrario, regolata dalla norma sotto il cui imperio è stata posta in essere”).

Tale principio è destinato chiaramente ad applicarsi al caso in esame, in cui la proposizione dell’appello è avvenuta prima della descritta modifica normativa.

5. Il ricorso, in conclusione, deve essere dichiarato inammissibile. Segue la condanna al rimborso delle spese sostenute dall’Agenzia delle entrate, che vanno liquidate in Euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.

Invero, deve ritenersi che, in tema di rito camerale di legittimità di cui alla L. n. 197 del 2016, art. 1 – bis, che ha convertito, con modificazioni, il D.L. n. 168 del 2016, applicabile, ai sensi dello stesso articolo, comma 2, anche ai ricorsi depositati prima dell’entrata in vigore della legge di conversione per i quali non sia stata ancora fissata l’udienza o l’adunanza in camera di consiglio, qualora la parte nella specie l’Agenzia delle entrate – abbia precedentemente depositato mero atto finalizzato a consentirle la partecipazione all’udienza di discussione ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1, senza notificare alcun controricorso, la stessa, perduta la facoltà di partecipare alla discussione orale in pubblica udienza o di essere sentita in camera di consiglio per effetto delle norme sopravvenute (evenienza che non poteva essere prevista al momento in cui l’intimata ha scelto di non notificare controricorso ma di optare per la suddetta diversa linea difensiva) può esercitare la propria difesa presentando memoria scritta ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 2 e, in caso di soccombenza della controparte, ha diritto alla rifusione delle spese e dei compensi per l’attività difensiva così svolta. (v. Sez. 6 – 3, n. 7701 del 24/03/2017, Rv. 643685 – 01; cfr., nello stesso senso, Sez. 2, n. 12803 del 14/05/2019, Rv. 653817 – 01, secondo cui “in tema di rito camerale di legittimità ex art. 380 – bis 1 c.p.c., relativamente ai ricorsi già depositati alla data del 30 ottobre 2016 e per i quali venga successivamente fissata adunanza camerale, la parte intimata che non abbia provveduto a notificare e a depositare il controricorso nei termini di cui all’art. 370 c.p.c. ma che, in base alla pregressa normativa, avrebbe ancora la possibilità di partecipare alla discussione orale, per sopperire al venir meno di siffatta facoltà può presentare memoria, munita di procura speciale, nei medesimi termini entro i quali può farlo il controricorrente, trovando in tali casi applicazione l’art. 1 del Protocollo di intesa sulla trattazione dei ricorsi presso le Sezioni civili della Corte di cassazione, intervenuto in data 15 dicembre 2016 tra il Consiglio Nazionale Forense, l’Avvocatura generale dello Stato e la Corte di cassazione”; v. anche Sez. L -, n. 4906 del 27/02/2017, Rv. 643423 – 01).

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, il Collegio dà, altresì, atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio in favore dell’Agenzia delle entrate, che liquida in Euro 5.600,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.

Così deciso in Roma, il 27 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2019

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