LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BISOGNI Giacinto – Presidente –
Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –
Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –
Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –
Dott. SOLAINI Luca – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 5775/2016 proposto da:
Banca Monte Paschi Siena Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Viale Bruno Buozzi 105, presso lo studio dell’avvocato Morera Umberto, che lo rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
D.N.V., domiciliato in Roma, Piazza Cavour, presso la Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’Avvocato Carlo Petrella, giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 438/2015 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 27/01/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/04/2019 da SOLAINI LUCA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale CARDINO ALBERTO, che ha concluso per l’accoglimento dei primi due motivi del ricorso;
udito l’Avvocato Morera per il ricorrente, che ha chiesto l’accoglimento;
udito l’Avvocato Petrella per il controricorrente, che ha chiesto il rigetto.
RILEVATO
che:
D.N.V. citava in giudizio Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A. lamentando di essere stato indotto, nell’ottobre 2002 ad acquistare obbligazioni del gruppo Parmalat senza avere ricevuto dalla Banca informazioni sulla loro rischiosità, con conseguente perdita del capitale investito per Euro 41.000,00 circa.
Nella resistenza della Banca, ed in parziale accoglimento della domanda, il Tribunale, con sentenza non definitiva, riteneva sussistente la responsabilità pre-contrattuale della Banca convenuta. in particolare, riteneva che quest’ultima non avesse assolto all’obbligo impostole dall’art. 23, comma 6 del T.U.F., non avendo dato prova di aver improntato il proprio comportamento alla diligenza secondo il “massimo sforzo possibile per l’individuazione delle migliori opportunità d’investimento”, con conseguente condanna di Banca Monte dei Paschi di Siena al risarcimento del danno nei limiti dell’interesse negativo, da quantificarsi, con successivo giudizio sul quantum.
Banca Monte dei Paschi di Siena proponeva gravame che la Corte d’Appello di Napoli respingeva con sentenza n. 438/15 pubblicata il giorno 27.1.2015, lamentando l’erronea riconduzione della fattispecie nell’alveo della responsabilità precontrattuale, in quanto, essendo stato stipulato il contratto d’intermediazione, poteva al più predicarsi la responsabilità contrattuale, nella specie insussistente, perchè la banca aveva assolto ai propri obblighi informativi, nè sarebbe stato possibile prevedere ex ante il default dell’emittente. Infine, lamentava l’erroneo operato del tribunale che non aveva dato ingresso alla prova orale.
Il giudice distrettuale, confermava la sentenza di primo grado sull’assunto della “ontologica compatibilità della responsabilità precontrattuale con la previa conclusione del contratto quadro” e sull’inadempimento degli obblighi informativi anche successivamente all’acquisto delle obbligazioni oggetto di controversia; mentre, la prova testimoniale non ammessa non era idonea a provare – sulla base della verifica dei capitoli di prova – che la banca avesse fornito le necessarie e dovute informazioni.
Banca Monte dei Paschi di Siena SpA ricorre per cassazione contro la predetta sentenza della Corte partenopea affidando l’impugnazione a quattro motivi. Resiste con controricorso il sig. D.N.V..
Entrambe le parti hanno depositato la memoria, ex art. 378 c.p.c..
CONSIDERATO
che:
Il primo motivo denuncia il vizio di erroneità della sentenza impugnata per falsa applicazione dell’art. 1337 c.c. e art. 21 del T.U.F., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, nella parte in cui ha accertato in capo alla Banca una responsabilità precontrattuale per non avere informato il cliente sulla natura e sui rischi dell’investimento.
Il secondo motivo prospetta il vizio di erroneità della sentenza impugnata per falsa applicazione dell’art. 21 T.U.F., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere ritenuto sussistente in capo alla Banca un obbligo di informativa non solo nella fase precedente alla stipula dell’ordine di acquisto, ma anche nella fase successiva.
Il terzo motivo denuncia il vizio di violazione di legge, in particolare, dell’art. 246 c.p.c. e art. 24 Cost., in quanto, erroneamente, i giudici d’appello avevano ritenuto non capace a testimoniare il dipendente della Banca.
Il quarto motivo deduce il vizio di erroneità della sentenza impugnata per falsa applicazione dell’art. 23 TUF e art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto erroneamente, la Corte d’Appello ha ritenuto che fosse onere della banca dimostrare di aver fornito al cliente informazioni sullo stato di dissesto in cui versava il gruppo Parmalat e non invece che spettasse all’investitore dimostrare che la banca fosse a conoscenza di informazioni sull’emittente maggiori di quelle reperibili sul mercato e che a lui erano state fornite. Il primo motivo è infondato. La questione da risolvere attiene alla configurabilità di una responsabilità precontrattuale nelle more dell’esecuzione di un contratto.
Secondo l’orientamento di questa Corte “La violazione dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede nello svolgimento delle trattative assume rilievo non solo in caso di rottura ingiustificata delle trattative e, quindi, di mancata conclusione del contratto o di conclusione di un contratto invalido ed inefficace, ma anche nel caso in cui il contratto concluso sia valido ma risulti pregiudizievole per la parte vittima del comportamento scorretto altrui. Pertanto, la circostanza che il contratto sia stato validamente concluso non è di per sè decisiva per escludere la responsabilità dell’altra parte, qualora a questa sia imputabile, sulla base di un accertamento di fatto, l’omissione di informazioni rilevanti, nel corso delle trattative, le quali avrebbero altrimenti, e con un giudizio probabilistico, indotto ad una diversa conformazione del contenuto del contratto” (Cfr., da ultimo, Cass., I, 5762 del 23.3.2016, ma vedi anche Cass. n. 24795/08).
Nel caso di specie, correttamente la Corte territoriale ha ritenuto che la violazione dell’obbligo informativo da parte dell’intermediario finanziario potesse generare una responsabilità di natura precontrattuale anche dopo la stipula del cd. contratto quadro.
Il secondo motivo è infondato, infatti, a mente dell’art. 21, comma 1, lett. b) nella prestazione dei servizi e delle attività di investimento e accessori i soggetti abilitati “(….) devono: b) acquisire, le informazioni necessarie dai clienti e operare in modo che essi siano sempre adeguatamente informati”, infatti, la ratio della disciplina di cui all’art. 21 T.U.F. e del Regolamento Consob 11522/1998 è quella di bilanciare la fisiologica situazione di asimmetria informativa tra le parti, garantendo un’informazione continuativa sulle operazioni poste in essere in esecuzione del contratto quadro.
Il terzo motivo è inammissibile, in quanto se è pur vero che, in tema d’intermediazione finanziaria, la prova dell’assolvimento degli obblighi informativi incombenti sull’intermediario può essere data anche mediante deposizione testimoniale del funzionario della banca, non essendo richiesta la prova scritta (Cass. n. 19750/17) e non essendo il dipendente incapace a testimoniare (Cass. ord. n. 10112/18), tuttavia, nel caso di specie, la banca ricorrente non ha impugnato l’effettiva ratio decidendi in virtù della quale i giudici d’appello hanno ritenuto inammissibile la prova testimoniale articolata dalla banca, non per incapacità a testimoniare (art. 246 c.p.c.), ma perchè ininfluente ai fini di decisione della causa, in quanto i capitoli di prova non erano articolati nel senso di dimostrare che la banca avesse fornito “le necessarie e dovute informazioni”.
Il quarto motivo è infondato.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte “In materia di intermediazione finanziaria, gli obblighi d’informazione che gravano sull’intermediario, dal cui inadempimento consegue in via presuntiva l’accertamento del nesso di causalità del danno subito dall’investitore, impongono la comunicazione di tutte le notizie conoscibili in base alla necessaria diligenza professionale e l’indicazione, in modo puntuale, di tutte le specifiche ragioni idonee a rendere un’operazione inadeguata rispetto al profilo di rischio dell’investitore, ivi comprese quelle attinenti al rischio di “default” dell’emittente con conseguente mancato rimborso del capitale investito, in quanto tali informazioni costituiscono reali fattori per decidere, in modo effettivamente consapevole, se investire o meno” (Cass. n. 12544/17, 8619/17).
Nel caso di specie, la Corte d’Appello ha accertato che la banca ricorrente non aveva fornito tutte le informazioni di cui poteva ragionevolmente essere in possesso circa la situazione debitoria dell’emittente, tenuto anche conto del particolare onere di diligenza ex art. 1176 c.c., comma 2 richiesto all’intermediario finanziario.
Il ricorso va pertanto respinto con condanna della ricorrente al pagamento delle spese di lite liquidate come in dispositivo.
PQM
La Corte, rigetta il ricorso. Condanna la Banca Monte dei Paschi di Siena S.p.A., in persona del legale rappresentante p.t. a pagare a D.N.V. le spese di lite del presente giudizio che liquida nell’importo di Euro 5.600,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, e oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% e agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 4 aprile 2019.
Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2019
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