LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Presidente –
Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –
Dott. TRIA Lucia – Consigliere –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –
Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 7146/2014 proposto da:
T.M.E., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEL POGGIO LAURENTINO 118, presso lo studio dell’avvocato PAOLA TRENTADUE, rappresentata e difesa dagli avvocati CARMINE PASCUCCI, ANTONIO PASCUCCI;
– ricorrente –
contro
COMUNE DI BASSANO DEL GRAPPA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CRESCENZIO 58, presso lo studio dell’avvocato BRUNO COSSU, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati MARIA LUISA MIAZZI, CARLO CESTER;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 343/2013 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 01/10/2013 R.G.N. 776/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/07/2019 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. VISONA’ Stefano, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato LAURA BONFIGLIOLI per delega verbale Avvocato CARMINE PASCUCCI;
udito l’Avvocato SAVINA BOMBOI per delega verbale Avvocato BRUNO COSSU.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. La Corte d’Appello di Venezia, con la sentenza n. 343/13, ha rigettato l’impugnazione proposta da T.M.E. nei confronti del Comune di Bassano del Grappa, avverso la sentenza resa tra le parti dal Tribunale di Bassano del Grappa.
2. La lavoratrice aveva adito il Tribunale premettendo di aver prestato servizio in qualità di Segretario comunale presso il suddetto Comune dall’8 novembre 1999 al 29 giugno 2004.
Esponeva quindi che:
con provvedimento sindacale dell’8 novembre 1999 le erano state attribuite in aggiunta alle funzioni di Segretario comunale quelle di direttore generale, con riconoscimento della relativa indennità che, in base al medesimo atto di conferimento, avrebbe dovuto essere annualmente adeguata;
all’atto del conferimento di detto incarico il CCNL Segretari comunali e provinciali aveva demandato la misura dell’indennità alla libera contrattazione delle parti, senza stabilire criteri di calcolo, o parametri di riferimento, o limiti di spesa, con ciò confermando la validità ed efficacia della pattuizione adeguatamente intervenuta fra e parti;
l’art. 41, comma 4, del CCNL di Comparto del 16 maggio 2001 prevedeva la possibilità di corrispondere una maggiorazione dei valori complessivi annui lordi della retribuzione di posizione in godimento dei Segretari comunali e provinciali, rinviando la determinazione delle relative condizioni, criteri e parametri di riferimento alla contrattazione collettiva integrativa nazionale, che era intervenuta solo il 22 dicembre 2003, e che, a proprio avviso, aveva portata retroattiva;
l’Amministrazione comunale, nel riconoscere una maggiorazione del 50% in favore dell’esponente, ne aveva però determinato la decorrenza dal 1 gennaio 2004, nonostante gli incarichi aggiuntivi, in considerazione dei quali la maggiorazione era stata riconosciuta, fossero stati svolti sin dal 1 gennaio 2000.
Chiedeva, pertanto, che fosse adeguata l’indennità di direzione generale per il periodo compreso dal 1 gennaio 2000 e la fine del rapporto, assumendo quale parametro di riferimento le determinazioni adottate nella stessa materia da Comuni del Veneto di dimensioni simili a quello di Bassano; domandava inoltre, per il periodo compreso tra il 1 gennaio 2000 ed il 31 dicembre 2003, il pagamento della maggiorazione della retribuzione di posizione.
3. Il Tribunale riconosceva alla lavoratrice il solo adeguamento Istat.
4. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre la lavoratrice prospettando quattro motivi di ricorso.
5. Resiste il Comune di Bassano del Grappa con controricorso.
6. Entrambe le parti hanno depositato memoria in prossimità dell’udienza pubblica.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Occorre precisare che la Corte d’Appello premette che nel decreto di conferimento dell’incarico di Direttore generale era stato prevista un’indennità mensile per 13 mensilità, al netto degli oneri previdenziali ed assistenziali a carico della lavoratrice, quale compenso aggiuntivo ai sensi dell’art. 23, comma 2, del Regolamento comunale dell’ordinamento degli uffici e dei servizi.
1.1.Tale indennità doveva essere adeguata annualmente.
Inoltre, si dava atto che “l’importo dell’indennità di cui sopra è di natura provvisoria e verrà adeguata in più o in meno, anche con effetto retroattivo, ai compensi che saranno definiti dai contratti nazionali in materia, con possibilità da parte dell’Amministrazione comunque di procedere al recupero delle somme erogate in esubero rispetto al massimo”.
1.2. Il giudice di secondo grado, afferma, quindi, quanto all’adeguamento dell’indennità di direzione gererale, che la clausola di adeguamento, così come formulata, può attenere al tasso di inflazione, come il Tribunale aveva affermato.
1.3. La totale assenza di un accordo (sia collettivo che individuale) su quali fossero i “parametri” di maggiore quantificazione, escludeva il potere integrativo del Giudice non potendo l’equità sopperire ad una inesistenza.
Inoltre, non risultava contrattualmente un vero e proprio diritto soggettivo ad avere più di quanto già riconosciuto, nemmeno invocando la violazione di principi di correttezza e buona fede, in quanto essi non creano obbligazioni, bensì possono rilevare solo come norme di relazione solo ove sia accertata l’esistenza di un preciso obbligo aggiuntivo.
2. In relazione alla maggiorazione della retribuzione di posizione, la Corte d’Appello ha affermato che la stessa è stata correttamente attribuita, dopo l’accordo integrativo del 22 dicembre 2003, con decorrenza 1 gennaio 2004, stante il preciso disposto dell’art. 4 del medesimo accordo secondo il quale “gli effetti del presente accordo integrativo decorrono dalla data di stipulazione dello stesso”.
Benchè il CCNL 16 maggio 2001, all’art. 41, comma 4, avesse riconosciuto la possibilità di maggiorazione della retribuzione di posizione, solo con il contratto integrativo del 22 dicembre 2003 venivano stabilite, in via di attuazione, le condizioni oggettive e soggettive e i criteri e i parametri di determinazione di detta retribuzione.
L’art. 4 dell’accordo integrativo prevedeva che gli effetti dello stesso decorressero dalla data di stipulazione del medesimo.
3. Tanto premesso può passarsi ad esaminare i motivi di ricorso.
4. Con il primo motivo è censurata la statuizione di rigetto della domanda di adeguamento della indennità di direttore generale, deducendo la violazione e/o l’omessa applicazione di norme di diritto e dei contratti, in relazione a quanto disposto dal contratto individuale (incarico di direttore generale), e degli artt. 1362 e 1366 c.c..
Premette la ricorrente che la previsione dell’adeguamento, a salire o a scendere, concordata tra i contraenti, aveva due ragioni: garantire al dirigente un compenso, anche retroattivo, adeguato ai compiti svolti, in assenza di parametri vincolanti da parte della contrattazione collettiva; garantire all’amministrazione di non dover subire addebiti da danno erariale nell’ipotesi in cui il CCNL (approvato il 16 maggio 2001) avesse stabilito parametri riduttivi rispetto al compenso provvisorio.
Assume la ricorrente che l’accordo negoziale, come andava inteso il decreto di conferimento dell’incarico di direttore generale, andava interpretato tenendo conto della comune volontà delle parti (art. 1362 c.c.) che era quello di incrementare il compenso provvisorio, considerato da entrambe le parti inadeguato al ruolo e alle responsabilità professionali.
Inoltre, il contratto doveva essere interpretato secondo buona fede (art. 1366 c.c.), mentre il Comune di Bassano aveva tenuto un comportamento in malafede rispetto ad essa ricorrente, peraltro, dichiarando in corso di causa che il compenso provvisorio doveva intendersi definitivo.
4.1. Il secondo motivo di ricorso attiene al vizio di violazione per omessa e/o falsa applicazione dell’art. 432 c.p.c., con riferimneto all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
Assume la ricorrente che sussisteva l’obbligo del Comune di contrattare il nuovo compenso, nella reciproca autonomia contrattuale delle parti, e che essendosi a ciò l’Amministrazione sottratta, benche vi fosse capacità di spesa e disponibilità in bilancio, doveva trovare applicazione l’art. 432 c.p.c., che consente al Giudice di determinare in via equitativa la somma dovuta, quando sia certo il diritto.
4.2. I suddetti motivi devono essere trattati congiuntamente, in ragione della loro connessione.
Gli stessi non sono fondati.
La ratio decidendi della sentenza di appello relativa al mancato riconoscimento della maggiorazione della suddetta indennità va ravvisata nella affermazione riportata sopra, al punto 1.3.
La Corte d’Appello ha attribuito natura negoziale alle previsioni economiche contenute nel decreto di conferimento dell’incarico di direttore generale.
Ha affermato l’intenzione delle parti di adeguare l’indennità, ma correttamente ha rilevato che mancava un accordo sui criteri (diversi dal rinvio alla contrattazione), e il rinvio ai compensi come stabiliti dalla contrattazione collettiva non consentiva una determinazione da parte del giudice, atteso che l’adeguamento non poteva essere fatto in via equitativa non potendosi attribuire provvidenze economiche non previste dalla contrattazione collettiva.
Dunque la Corte d’Appello ha fatto corretta applicazione del principio (Cass., n. 6675 del 2018) secondo cui in tema di interpretazione del contratto, l’elemento letterale, sebbene centrale nella ricerca della reale volontà delle parti, deve essere riguardato alla stregua di ulteriori criteri ermeneutici e, segnatamente, dell’interpretazione funzionale, che attribuisce rilievo alla causa concreta del contratto ed allo scopo pratico perseguito dalle parti, nella specie stabilire un’incremento dell’indennità che tenesse conto delle previsioni della contrattazione collettiva, oltre che dell’interpretazione secondo buona fede, che si specifica nel significato di lealtà e si concreta nel non suscitare falsi affidamenti e nel non contestare ragionevoli affidamenti ingenerati nella controparte, che nella specie non sono ravvisabili atteso il chiaro rinvio del decreto di conferimento alla contrattazione collettiva, come rilevato dalla Corte d’Appello.
Inoltre, nella specie, poichè l’indennità avrebbe dovuto essere adeguata ai compensi che sarebbero stati definiti dai contratti nazionali in materia, il diritto si sarebbe attualizzato in ragione dell’adozione delle disposizioni contrattuali in materia, non ravvisandosi dunque una obiettiva impossibilità di operare l’adeguamento – che è condizione per l’applicabilità dell’art. 432 c.p.c. (cfr., Cass. n. 22115 del 2009) – quanto il mancato realizzarsi di una condizione di efficacia della disposizione negoziale che lo prevedeva.
3. Con il terzo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti e accordi collettivi nazionali di lavoro con riguardo alla ritenuta irretroattività della norma recata dall’art. 4, commi 2 e 3, del CCNL del 22 dicembre 2003, per gli incarichi conferiti prima della sottoscrizione del contratto decentrato.
Premette la ricorrente che l’art. 41, comma 4, del CCNL 16 maggio 2001, ha stabilito che gli enti, nell’ambito delle risorse disponibili e nel rispetto della capacità di spesa, possono corrispondere una maggiorazione della retribuzione di posizione, le cui condizioni e i parametri di riferimento sono individuati in sede di contrattazione collettiva integrativa di livello nazionale.
Assume, quindi, che con il contratto integrativo di livello nazionale del 22 dicembre 2003 sono stati approvati i criteri per maggiorare la retribuzione di posizione, e che tale maggiorazione le è stata riconosciuta dal 1 gennaio 2004.
Tale disposizione contrattuale, invece, andava applicata sin dall’inizio dell’incarico aggiuntivo, risalente al 1 ottobre 2000, e in subordine quanto meno dal 16 maggio 2001, allorchè veniva approvato il CCNL.
La portata retroattiva della norma del contratto integrativo si deduceva dalla previsone che “Le amministrazioni danno esecuzione agli atti già assunti ed utilizzano anche risorse eventualemente individuate”.
Nella nozione di atti doveva ricomprendersi anche il conferimento di incarichi già avvenuti e non ancora remunerati, proprio per difetto dei criteri necessari a determinare il compenso.
3.1. Il motivo è inammissibile.
Come la giurisprudenza di legittimità ha gà avuto modo di affermare (Cass., n. 6748 del 2010, n. 27062 del 2013, n. 3681 del 2014), è inammissibile la denuncia, con ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, come modificato dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, della violazione o falsa applicazione del contratto collettivo integrativo, posto che detta disposizione si riferisce ai soli contratti collettivi nazionali di lavoro, mentre i contratti integrativi, attivati dalle amministrazioni sulle singole materie e nei limiti stabiliti dai contratti collettivi nazionali, tra i soggetti e con le procedure negoziali che questi ultimi prevedono, se pure parametrati al territorio nazionale in ragione dell’amministrazione interessata, hanno una dimensione di carattere decentrato rispetto al comparto, e per essi non è previsto, a differenza dei contratti collettivi nazionali, il particolare regime di pubblicità di cui al D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 47, comma 8.
Ne consegue che l’interpretazione di tali contratti è censurabile, in sede di legittimità, soltanto per violazione dei criteri legali di ermeneutica contrattuale ovvero per vizi di motivazione.
Va inoltre ricordato che occorre la specifica produzione e indicazione del contratto integrativo, atteso che lo stesso non è pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, ai sensi del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 47, comma 8 (cfr., Cass., n. 7981 del 2018).
Nella specie, la ricorrente non denuncia la violazione delle regole ermenutiche di interpretazione, e non ha allegato o riprodotto il contratto integrativo della cui applicazione si duole, limitandosi a riportare (nota 3 a pag. 18 del ricorso) solo l’art. 4.
4. Con il quarto motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione di norme di diritto e dei contratti collettivi nazionali di lavoro con riguardo, in particolare, alla mancata applicazione dell’art. 36 Cost., all’art. 2126 c.c., e all’art. 2099 c.c..
Essa ricorrente, in ragione della corresponsione della maggiorazione di posizione solo dal 1 gennaio 2004, aveva chiesto il riconoscimento del medesimo compenso per l’intero periodo in cui aveva svolto gli incarichi.
La Corte d’Appello aveva escluso la retrodatazione dell’attribuzione della maggiorazione, ma aveva anche omesso ogni valutazione sul diritto della ricorrente ad usufruire di una remunerazione di prestazioni lavorative aggiuntive, imposte dal datore di lavoro ed eseguite a suo favore, considerato che l’odierna ricorrente, aveva invocato l’applicazione dell’art. 36 Cost., sotto il profilo del difetto di proporzionalità della remunerazione alla quantità e qualità della prestazione lavorativa.
Attesi gli incarichi aggiuntivi, il giudice di merito avrebbe dovuto applicare l’art. 2099 c.c., stabilendo, in difetto di accordo, il compenso, facendo riferimento al contratto integrativo quale parametro delle condizioni di mercato.
4.1. Il motivo è inammissibile.
L’odierno motivo di ricorso introduce la questione dell’attribuzione, per il periodo anteriore alla vigenza del contratto integrativo, di un compenso ex art. 36 Cost., artt. 2099 e 2126 c.c., parametrato sul contratto integrativo.
Di tale domanda non vi è menzione nella sentenza di appello, che ha rigettato la domanda di applicazione retroattiva del contratto intregrativo.
In tema di ricorso per cassazione, qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilità della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtù del principio di autosufficienza, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente ciò sia avvenuto, giacchè i motivi di ricorso devono investire questioni già comprese nel “thema decidendum” del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimità, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito nè rilevabili di ufficio. (Cass., n. 20694 del 2018).
Tale onere non è stato adempiuto dalla ricorrente con conseguente inammissibilitàè della censura, in ragione della novità della stessa.
5. Il ricorso deve essere rigettato.
6. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.
7. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro 5.500,00, per compensi professionali, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali in misura del 15% e accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 4 luglio 2019.
Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2019
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