Corte di Cassazione, sez. Lavoro, Sentenza n.29292 del 12/11/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10765/2014 proposto da:

CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA E ASSISTENZA A FAVORE DEI DOTTORI COMMERCIALISTI, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BARBERINI 47, presso lo studio dell’avvocato ANGELO PANDOLFO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

A.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEL TRITONE 102, presso lo studio dell’avvocato VITO NANNA, rappresentato e difeso dagli avvocati UMBERTO RAIMONDO, NICOLA RAIMONDO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 390/2014 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 17/02/2014, R.G.N. 1716/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/09/2019 dal Consigliere Dott. NICOLA DE MARINIS;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato SILVIA LUCANTONI per delega verbale avvocato ANGELO PANDOLFO.

FATTI DI CAUSA

Con sentenza del 17 febbraio 2014, la Corte d’Appello di Bari confermava la decisione resa dal Tribunale di Bari ed accoglieva la domanda proposta da A.M. nei confronti della Cassa Nazionale di Previdenza e Assistenza a favore dei Dottori Commercialisti avente intesa a conseguire la declaratoria di non debenza del contributo di solidarietà imposto dalla Cassa, con riferimento al periodo 2009/2013, ai sensi dell’art. 22 e dell’allegato F2 al medesimo articolo del regolamento di disciplina del regime previdenziale approvato con decreto interministeriale del 14.7.2004 e la condanna della medesima alla restituzione di quanto versato a tale titolo dall’1.1.2009.

La decisione della Corte territoriale discende dall’aver questa ritenuto illegittimo il contributo predetto sulla base del principio accolto da questa Corte per cui “una volta maturato il diritto alla pensione di anzianità, l’ente previdenziale debitore non può con atto unilaterale, regolamentare o negoziale, ridurne l’importo, tanto meno adducendo generiche ragioni finanziarie, poichè ciò lederebbe l’affidamento del pensionato, tutelato dal capoverso dell’art. 3 Cost., nella consistenza economica del proprio diritto soggettivo”.

Per la cassazione di tale decisione ricorre la Cassa, affidando l’impugnazione a sette motivi, cui resiste, con controricorso, il Dott. A..

Entrambe le parti hanno poi presentato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, la Cassa ricorrente mira ad evidenziare l’ammissibilità del ricorso, rilevando come la fattispecie oggetto della controversia sia diversa da quella insorta tra le stesse parti su cui già si era pronunziata la Corte territoriale ed alla quale fanno riferimento i richiamati precedenti di questa Corte, riguardando la presente controversia il contributo di solidarietà imposto dalla Cassa per il periodo 2009/2013 sotto la vigenza della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, come novellato dalla L. n. 296 del 2007, art. 1, comma 763, laddove quelle pronunzie attenevano al contributo di solidarietà relativo al periodo 2004/2008 previsto allorchè la L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, era in vigore nella sua originaria formulazione.

Con il secondo motivo, denunciando il vizio di omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione, la Cassa ricorrente imputa alla Corte territoriale di non aver considerato ai fini del decidere il disposto dell’art. 3 nuovo testo, che, nell’ammettere l’adozione da parte delle Casse privatizzate di tutti i provvedimenti necessari all’equilibrio di bilancio, legittimerebbe la prevista trattenuta.

Con il terzo motivo, rubricato con riferimento alla violazione e falsa applicazione del novellato della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, la Corte ricorrente deduce la non conformità a diritto dell’interpretazione accolta dalla Corte territoriale che non tiene conto della nuova formulazione della norma, legittimante, a suo dire, contrariamente al testo precedente, il provvedimento ablativo disposto dalla Cassa.

Il vizio di violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 509 del 1994, art. 2, commi 1 e 2, è prospettato nel quarto motivo per non aver la Corte territoriale dato rilievo agli ambiti di autonomia riconosciuti dalla predetta disposizione alle Casse privatizzate ai fini della valutazione della legittimità del provvedimento in questione.

I residui motivi sono volti ad affermare la non conformità a Costituzione, con riguardo, in particolare, all’art. 38, comma 2, (quinto motivo), all’art. 2 (sesto motivo) ed all’art. 3 (settimo motivo), sostenendo che l’intervento della Cassa, volto a garantire l’equilibrio finanziario della gestione, costituisce, anche alla luce della più recente evoluzione legislativa, il mezzo individuato dal legislatore per assicurare l’attuazione dei principi in quella sede sanciti, concernenti la garanzia per i lavoratori di mezzi adeguati a fronteggiare gli eventi idonei a pregiudicarne la capacità lavorativa e il mantenimento dell’occupazione, la solidarietà intracategoriale ed intergenerazionale, la parità di trattamento.

Tutti i suesposti motivi, che, in quanto strettamente connessi, possono esser qui trattati congiuntamente, devono ritenersi infondati alla luce dell’orientamento di recente accolto da questa Corte su ricorso della stessa Cassa con riguardo alla fattispecie qui dalla stessa individuata (cfr. Cass. 10.12.2018, n. 31875), orientamento in base al quale esula dai poteri riconosciuti dalla normativa vigente la possibilità delle Casse di emanare un contributo di solidarietà in quanto esso, al di là del suo nome, non può essere ricondotto ad un “criterio di determinazione del trattamento pensionistico”, ma costituisce un prelievo che può essere introdotto solo dal legislatore, e sul quale non può incidere in senso modificativo la sentenza con cui la Corte costituzionale ha sancito la legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 486, della Legge Finanziaria del 2014, sostanziandosi la pronunzia nell’affermata congruità del prelievo disposto da tale previsione legislativa (e non da una norma di natura regolamentare o negoziale) rispetto alle condizioni enunciate dalla stessa Corte costituzionale per la legittimità dell’intervento, ovvero l’operare all’interno del complessivo sistema della previdenza, l’essere imposto dalla crisi contingente e grave del predetto sistema, l’incidere sulle pensioni più elevate, il porsi come prelievo sostenibile, il rispettare il principio di proporzionalità, l’essere comunque utilizzato come misura “una tantum”.

Il ricorso va dunque rigettato.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, con distrazione in favore dei difensori del controricorrente dichiaratisi antistatari.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 4.500,00 per compensi, oltre spese generali al 15% ed altri accessori di legge, da distrarsi a favore degli avvocati Umberto e Nicola Raimondo.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 18 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2019

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