Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.29297 del 12/11/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. CIGNA Mario – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 2587-2018 proposto da:

I.C., D.R., D.G., DA.GI., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA SICILIA N. 50, presso lo studio dell’avvocato ACTIS ANTONIO, rappresentati e difesi dall’avvocato CERULLI GIORGIO;

– ricorrenti –

contro

G.M., G.A., nonchè la Società GRIECO SRL, in persona dell’Amministratore Unico, elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato VIOLA ANTONIO;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 13053/2016 del TRIBUNALE di NAPOLI, depositata il 02/12/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 14/03/2019 dal Consigliere Relatore Dott. POSITANO GABRIELE.

RILEVATO

Che:

la società “Grieco Srl” e G.A. e G.M. evocavano in giudizio, davanti al Tribunale di Napoli, I.C., I.G., Im.Gi. e D.R. sostenendo di essere creditori della cessata società “Cristallarte di I.R. e C. SNC” sulla base di un assegno bancario emesso in favore della “Grieco Srl” e di altri assegni emessi in favore di G.A. e G.M., lamentando che la socia della società debitrice, I.C. aveva donato ai figli D.G. e D.R. la proprietà, pari ad un terzo, del proprio immobile sito in Napoli e che tali atti pregiudicavano le ragioni dei creditori, ai sensi dell’art. 2901 c.c. Il credito traeva origine da rapporti commerciali di vendita di merce e da un prestito elargito in favore della società debitrice. La I., in particolare, era debitrice, sia quale socia responsabile illimitatamente, sia a causa della estinzione della società con conseguente responsabilità gravante sugli ex soci;

si costituivano i convenuti chiedendo il rigetto della domanda rilevando che quando la donazione era stata posta in essere, la I. non era debitrice delle controparti, perchè lo era solo la società. Pertanto, avendo parte attrice agito assumendo l’anteriorità del credito, che tale non era, la pretesa era infondata. Infine, si trattava di una persona anziana, destinataria di pretese di cui nulla sapeva, poichè non era stata socia amministratrice;

il Tribunale di Napoli con sentenza del 2 dicembre 2016 accoglieva la domanda revocatoria, dichiarando inefficace nei confronti degli attori l’atto di donazione con condanna dei convenuti al pagamento delle spese processuali;

con atto del 26 maggio 2016, I.C. e I.G., Im.Gi. e D.R. proponevano appello avverso la sentenza del Tribunale di Napoli reiterando le istanze istruttorie già formulate in primo grado. Si costituivano gli appellati chiedendo il rigetto della impugnazione;

con ordinanza del 30 novembre 2017 la Corte d’Appello di Napoli dichiarava inammissibile il gravame ai sensi dell’art. 348-bis c.p.c. con condanna degli appellanti al pagamento delle spese di lite;

avverso la decisione di primo grado propongono ricorso per cassazione I.C. e I.G., D.G. e D.R., affidandosi a un unico motivo, illustrato da memorie. Resistono con controricorso G.M. e G.A. e la società “Grieco Srl”.

CONSIDERATO

Che:

con l’unico motivo si deduce la violazione dell’art. 183 c.p.c., comma 6, sotto il profilo del giudizio d’irrilevanza che avrebbe di fatto reso impossibile per i convenuti, attuali ricorrenti, l’esercizio del diritto di difesa attraverso la prova dei fatti. I ricorrenti intendevano confutare la concludenza dell’argomento presuntivo addotto da parte attrice, con riferimento alla consapevolezza del danno, dimostrando le condizioni personali e le altre circostanze di fatto inerenti l’amministrazione della società. Le prove testimoniali avrebbero consentito di superare la presunzione di conoscenza ancorata alla semplice circostanza della qualità di socio della I.. Tale richiesta istruttoria è stata rigettata perchè ritenuta irrilevante, erroneamente qualificando il concetto di rilevanza in termini di prova “non convincente”. Al contrario, il giudice avrebbe dovuto stabilire se ricorresse o -l’utilità della prova, soprattutto nella fattispecie in esame, in cui uno degli elementi costitutivi potrebbe essere provato per presunzioni. In particolare, in presenza di una domanda fondata su argomenti di carattere presuntivo il diritto all’ammissione della prova contraria assume particolare attitudine in quanto finalizzata a dimostrare la non concludenza della prova addotta da parte attrice;

il motivo di ricorso è inammissibile, in quanto sia dal tenore dei motivi di appello riprodotti nel ricorso, sia dal rilievo espresso in tal senso dell’ordinanza ex art. 348-bis c.p.c., emerge che i ricorrenti non hanno appellato la sentenza di primo grado quanto alla valutazione di irrilevanza delle prove. Tale valutazione, peraltro, appare corretta e la doglianza non può essere dedotta per la prima volta in Cassazione.

Opera il principio secondo cui, nel caso in cui l’appello sia stato dichiarato inammissibile ex art. 348-ter c.p.c., il ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado può essere proposto entro i limiti delle questioni già sollevate con l’atto di appello e di quelle riproposte ex art. 346 c.p.c., senza che possa assumere rilievo la diversa formulazione dei motivi, che trova giustificazione nella natura del ricorso per cassazione, quale mezzo di impugnazione a critica vincolata, proponibile esclusivamente per i vizi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, non comportando la dichiarazione di inammissibilità dell’appello sostanziali modificazioni nel giudizio di legittimità, fatta eccezione per la necessità che l’impugnazione sia rivolta direttamente contro la sentenza di primo grado e per l’esclusione della deducibilità del vizio di motivazione (Cass. Sez. 1 n. 23320 del 27/09/2018);

l’operatività come limite ai motivi di ricorso della norma dell’art. 329 c.p.c. con riferimento ai capi della decisione di primo grado non appellati è stata affermata dalle ordinanze nn. 8940, 8941, 8942 e 8943 del 2014 e successivamente ribadita;

il contenuto della memoria non apporta alcun elemento di novità sul punto;

a prescindere da ciò, la censura relativa alla mancata ammissione della prova testimoniale va formulata ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ed è inibita dall’art. 348-ter c.p.c. (Cass. n. 66 del 2015);

inoltre, la censura, strutturata come violazione dell’art. 183 c.p.c., è incentrata sul concetto di “rilevanza” della prova, in termini di utilità in concreto (quale idoneità ad invalidare l’efficacia delle altre risultanze processuali: Cass. n. 5377 del 2011). La deduzione avrebbe richiesto necessariamente una specifica allegazione della rilevanza di ogni capitolo di prova, rispetto agli elementi ritenuti decisivi in via presuntiva dal Tribunale. Al contrario, tali capitoli sono solo elencati nella parte del ricorso relativa all’esposizione sommaria dei fatti di causa (art. 366 c.p.c., n. 3);

ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza. Infine, va dato atto – mancando ogni discrezionalità al riguardo (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13 comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese in favore dei controricorrenti, liquidandole in Euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile-3, il 14 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2019

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