LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DORONZO Adriana – Presidente –
Dott. ESPOSITO Lucia – Consigliere –
Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –
Dott. SPENA Francesca – Consigliere –
Dott. CAVALLARO Luigi – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 4090-2018 proposto da:
P.V., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA PIETRO BORSIERI 3, presso lo studio dell’avvocato TIZIANA DONNINI, rappresentato e difeso dall’avvocato VITO MARTIRE;
– ricorrente –
contro
INAIL – ISTITUTO NAZIONALE PER L’ASSICURAZIONE CONTRO GLI INFORTUNI SUL LAVORO 01165400589, in persona del Direttore Generale pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA IV NOVEMBRE 144, presso la sede dell’AVVOCATURA dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati LUCIANA ROMEO LUCIA PUGLISI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1440/2017 della CORTE D’APPELLO di BARI, depositata il 01/08/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 18/06/2019 dal Consigliere Relatore Dott. FRANCESCA SPENA.
RILEVATO
Che:
con sentenza in data 25 maggio- 1 agosto 2017 numero 1440 la Corte d’ Appello di Bari riformava la sentenza del Tribunale di Trani e, per l’effetto, rigettava la domanda proposta da P.V. nei confronti dell’INAIL per il conseguimento della rendita a seguito dell’infortunio sul lavoro occorsogli in data 15- 16 marzo 2010;
che a fondamento della decisione la Corte territoriale osservava che il c.t.u. nominato nel secondo grado, con ragionamento motivato ed immune da vizi logici, aveva rilevato che la cefalea lamentata dal PIIZZI già alcuni giorni prima del 15 marzo 2010, come da lui stesso dedotto, era da correlarsi con la presenza di una MAV (Malformazione Artero-Venosa) e di un aneurisma cerebrale ed al loro sanguinamento, responsabili di una emorragia subaracnoidea occorsa presumibilmente prima del 15 marzo 2010. Nella genesi di tale emorragia non era verosimile un ruolo causale degli eventi lavorativi.
La Corte riteneva, altresì, l’assenza della causa violenta, ai sensi del D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, art. 2, essendosi svolta nella giornata del 15.3.2010 una semplice discussione nell’ambito di una riunione di lavoro.
che avverso la sentenza ha proposto ricorso P.V., articolato in tre motivi, cui ha opposto difese l’INAIL con controricorso;
che la proposta del relatore è stata comunicata alle parti-unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale- ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c.
che la parte ricorrente ha depositato memoria.
CONSIDERATO
Che:
la parte ricorrente ha dedotto:
– con il primo motivo- ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione dell’art. 434 c.p.c. – in relazione al mancato accoglimento dell’eccezione di mancanza di specificità dei motivi di appello.
Ha esposto che l’atto di appello dell’INAIL si caratterizzava per la genericità delle censure alla CTU espletata nel giudizio di primo grado, senza entrare nel merito dell’iter logico seguito nella sentenza impugnata. Le contestazioni mosse alla CTU del primo grado apparivano petizioni di principio ancorate ad arresti giurisprudenziali e spunti dottrinali superati. Era dunque disatteso il principio enunciato dalle Sezioni unite di questa Corte nell’arresto numero 27199/2017;
-con il secondo motivo- ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione dell’art. 329 c.p.c., per mancato rilievo del giudicato interno formatosi a seguito della mancata impugnazione della autonoma ratio decidendi della sentenza del Tribunale fondata sugli esiti della prova per testi.
Ha esposto che l’INAIL aveva fondato il gravame unicamente su censure di natura medica mentre il Tribunale aveva motivato l’accoglimento della domanda in primo luogo sulla base dell’istruttoria espletata, affermando che dalla stessa risultava che l’infortunio si era verificato durante lo svolgimento dell’attività lavorativa e che le lesioni erano dipese dallo stress lavorativo cui ricorrente era stato esposto nel corso della giornata lavorativa del 15 marzo 2010. La successiva parte motiva, relativa alle risultanze della c.t.u., costituiva una ragione ulteriore rispetto a tale iter argomentativo, come risultava dalla sentenza, che testualmente osservava che “anche” il consulente d’ufficio aveva confermato che l’estremo stress lavorativo aveva determinato un rialzo pressorio che aveva prodotto la rottura della malformazione artero-venosa di cui PIIZZI era portatore. Tale ratio decidendi, autonomamente decisiva, era divenuta definitiva;
– con il terzo motivo- ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3 – violazione e falsa applicazione degli artt. 156,157,195 c.p.c., per la mancata contestazione nel corso del giudizio di primo grado della relazione trasmessa dal ctu. Con il motivo si assume che l’INAIL non avrebbe potuto censurare con l’atto di appello le valutazioni del CTU, non avendo esercitato la facoltà di proporre osservazioni nello specifico termine ex art. 195 c.p.c.;
che ritiene il Collegio si debba respingere il ricorso;
che, invero:
– il primo motivo è inammissibile per difetto di specificità, in quanto la parte ricorrente assume la genericità dell’atto di appello senza riportare in questa sede il suo contenuto; il motivo è piuttosto fondato sui principi di diritto di cui all’art. 434 c.p.c., che la parte sostiene essere stati disattesi dalla Corte territoriale. Invero anche il potere di questa Corte di accesso agli atti per la verifica del fatto processuale è condizionato al previo assolvimento di specificazione delle, ragioni di impugnazione a cura della parte ricorrente a norma dell’art. 366 c.p.c., n. 6, onere nella fattispecie non assolto, essendo carente tanto la trascrizione dei motivi di appello dell’INAIL che, quanto meno, la loro sintetica enunciazione e la contestuale localizzazione (per tutte: Cassazione civile sez. trib., 29/09/2017, n. 22880 e giurisprudenza ivi citata);
– il secondo motivo è infondato. La lettura della sentenza di primo grado sulla cui base la parte ricorrente assume la formazione del giudicato interno non è condivisibile; infatti non è corretto l’assunto secondo cui l’accoglimento della domanda da parte del Tribunale fosse fondato anche e solo sugli esiti della prova per testi. Si legge nella sentenza, nell’incipit della motivazione, che la fondatezza della domanda era stata confermata “dall’istruttoria” e, dunque, dal complesso delle attività di istruzione probatoria, tre le quali rientra la nomina e le indagini del consulente tecnico (sezione III, capo II, titolo I del libro secondo c.p.c.). Nel capoverso successivo il Tribunale indica tra i fatti provati ed utili all’accoglimento della domanda la circostanza che “detta causa (lo stress lavorativo: ndr) è stata efficiente e determinante secondo i criteri medico legali”, con un evidente rinvio agli esiti della consulenza tecnica svolta in quel grado.
Le circostanze confermate dai testi escussi, indicate nel prosieguo della motivazione, riguardano: lo stress lavorativo, la insalubrità degli ambienti di lavoro, le modalità di svolgimento della riunione nel corso della quale si verificò l’emorragia cerebrale del Piizzi. Determinante ai fini dell’accoglimento della domanda era l’ulteriore accertamento, fondato sulle conclusioni del ctu, che i fatti, come accertati attraverso i testi, erano stati determinanti ” del rialzo pressorio che ha determinato la rottura della malformazione artero venosa di cui il Piiizi soffriva”(così nella motivazione della sentenza di primo grado). Il termine “anche”, che nella sentenza del Tribunale introduce l’accertamento medico legale, ha nel contesto dell’iter argomentativo un significato di congiunzione, complementarietà e non meramente rafforzativo ed avverbiale, come assume la parte ricorrente. Correttamente la Corte territoriale ha dunque proceduto al riesame del merito, non essendosi verificata alcuna preclusione da giudicato interno.
– il terzo motivo è infondato. La facoltà delle parti di presentare osservazioni alla bozza della consulenza tecnica, come disciplinata dall’art. 195 c.p.c., attiene all’esercizio delle facoltà difensive nell’ambito del grado di giudizio in cui la consulenza tecnica viene disposta. Questa Corte, anzi, non ha mancato di rilevare (Cassazione civile, sez. III, 21/08/2018, n. 20829 e giurisprudenza ivi citata) che anche all’interno del giudizio di primo grado in cui la consulenza è stata disposta i rilievi delle parti- ove non integrino eccezioni di nullità relative al suo procedimento, soggette al termine di preclusione di cui all’art. 157 c.p.c.- costituiscono argomentazioni difensive, sebbene non di carattere tecnico giuridico, per cui possono essere svolti, nel rito ordinario, anche nella comparsa conclusionale (sempre che non introducano in giudizio nuovi fatti costitutivi, modificativi od estintivi, nuove domande o eccezioni o nuove prove).
Dal mancato deposito delle osservazioni alla relazione del consulente d’ufficio non può a fortiori farsi discendere alcuna preclusione al pieno esercizio della facoltà di proporre impugnazione, che non troverebbe alcun fondamento di diritto positivo.
che, pertanto, essendo condivisibile la proposta del relatore, il ricorso deve essere respinto con ordinanza in camera di consiglio ex art. 375 c.p.c.;
che le spese di causa, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;
che, trattandosi di giudizio instaurato successivamente al 30 gennaio 2013 sussistono le condizioni per dare atto- ai sensi della L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17 (che ha aggiunto il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater) – della sussistenza dell’obbligo di versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la impugnazione integralmente rigettata.
PQM
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in Euro 200 per spese ed Euro 2.500 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, nella adunanza camerale, il 18 giugno 2019.
Depositato in Cancelleria il 12 novembre 2019
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