LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere –
Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –
Dott. SCARPA Antonio – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 29596-2018 proposto da:
B.C.D.B.G., P.E., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA COLA DI RIENZO 285, presso lo studio dell’avvocato G.M., rappresentati e difesi dall’avvocato M.A.;
– ricorrenti –
contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA 8018440587;
– intimati –
avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositato il 07/03/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20/06/2019 dal Consigliere Dott. ANTONIO SCARPA.
FATTI DI CAUSA E RAGIONI DELLA DECISIONE
P.E. e B.C.d.B.G. domandarono in data 7 settembre 2012 la condanna del Ministero della Giustizia all’equa riparazione per la irragionevole durata di un giudizio civile iniziato il 18 settembre 1996 dinanzi al Tribunale di Napoli ed ancora pendente. La Corte d’Appello di Roma, con decreto del 7 marzo 2018, accolse le domande, liquidando ai ricorrenti l’indennizzo di Euro 6.250,00 ciascuno, “senza corresponsione degli interessi legali in quanto non espressamente richiesti”.
Per la cassazione di questo decreto P.E. e B.C.d.B.G. hanno proposto ricorso articolato in unico motivo, rimanendo intimato, senza svolgere attività difensive, il Ministero della Giustizia.
Il motivo del ricorso deduce la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1282 c.c., quanto alla mancata liquidazione degli interessi sulle somme riconosciute, interessi legali domandati sin dall’atto introduttivo (pagine 1, 18 e 19, richiamati in ricorso).
Su proposta del relatore, che riteneva che il ricorso potesse essere dichiarato manifestamente fondato, con la conseguente definibilità nelle forme di cui all’art. 380 bis c.p.c., in relazione all’art. 375 c.p.c., comma 1, n. 5), il presidente ha fissato l’adunanza della camera di consiglio.
Il motivo di ricorso è fondato.
Questa Corte ha più volte affermato, ed il principio va qui confermato, che l’obbligazione avente ad oggetto l’equa riparazione si configura non già come obbligazione ex delicto, ma come obbligazione ex lege, riconducibile, ai sensi dell’art. 1173 c.c., ad ogni altro atto o fatto idoneo a costituire fonte di obbligazione in conformità dell’ordinamento giuridico; sicchè dal suo carattere indennitario discende che gli interessi legali decorrono, semprechè richiesti (come qui effettivamente avvenuto sin dal ricorso del 7 settembre 2012, a fronte di quanto in contrario affermi l’impugnato decreto) dalla data della domanda di equa riparazione e, quindi, in concreto, da quella di deposito del ricorso, in base al principio secondo cui gli effetti della pronuncia retroagiscono alla data della domanda, nonostante il carattere d’incertezza ed illiquidità del credito prima della pronuncia giudiziaria, mentre nessuna rivalutazione può essere invece accordata (cfr. Cass. Sez. 2, 02/10/2017, n. 22974; Cass. Sez. 6 – 2, 19/12/2016, n. 26206; Cass. Sez. 1, 05/09/2011, n. 18150; Cass. Sez. 1, 13/04/2006, n. 8712).
Il ricorso va dunque accolto in ragione della censura accolta e il decreto impugnato viene cassato negli stessi limiti, rimanendo ferma ogni altra sua statuizione.
Può procedersi alla decisione nel merito del ricorso, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, non essendo necessario alcun ulteriore accertamento di fatto: in favore dei ricorrenti devono quindi riconoscersi gli interessi legali, con decorrenza dalla domanda, sulle somme loro liquidate a titolo di indennizzo, pari ad Euro 6.250,00 ciascuno.
I ricorrenti hanno altresì diritto alla rifusione delle spese del giudizio di merito e del giudizio legittimità, liquidate come da dispositivo, con distrazione in favore dell’avvocato M.A., che ha dichiarato di averle anticipate.
PQM
La Corte accoglie il ricorso; cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della Giustizia al pagamento in favore dei ricorrenti della somma di Euro 6.250,00 ciascuno, oltre agli interessi legali dalla domanda al saldo; condanna inoltre il Ministero della Giustizia al pagamento delle spese del giudizio di merito, che liquida in complessivi Euro 1.889,00, oltre spese generali e accessori di legge, e, quanto al giudizio di legittimità, in complessivi Euro 500,00, oltre spese generali ed accessori di legge; dispone la distrazione ex art. 93 c.p.c. delle spese del giudizio, come liquidate, in favore dell’avvocato M.A., che ha dichiarato di averle anticipate.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6 – 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 15 maggio 2019.
Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2019