LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE L
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DORONZO Adriana – Presidente –
Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Consigliere –
Dott. RIVERSO Roberto – Consigliere –
Dott. SPENA Francesca – Consigliere –
Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 23300-2018 proposto da:
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE *****, in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso la sede dell’AVVOCATURA dell’Istituto medesimo, rappresentato e difeso dagli avvocati ANTONIETTA CORETTI, VINCENZO TRIOLO, VINCENZO STUMPO;
– ricorrente –
contro
D.P.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI GRACCHI 209, presso lo studio dell’avvocato CESARE CARDONI, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato GUIDO CONTICELLI;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 299/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 30/01/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 18/06/2019 dal Consigliere Relatore Dott. ESPOSITO LUCIA.
RILEVATO
CHE:
1. Il Tribunale di Viterbo accoglieva la domanda avanzata da D.P.S. al fine di ottenere dall’Inps, Fondo di garanzia, il pagamento della somma di Euro 1.838,64 a titolo di TFR maturato nel corso del rapporto di lavoro con l’impresa di De.Sa.An.Li.;
2. La Corte d’appello di Roma, adita a seguito di ricorso dell’Inps, dichiarava cessata la materia del contendere, ritenendo assorbente la circostanza che l’Istituto, con missiva del 18/2/2016, avesse comunicato che la domanda per il trattamento di fine rapporto presentata il 14/6/2011 era stata accolta, con liquidazione dell’importo di Euro 1.797,11 al netto delle ritenute fiscali, e rilevando, inoltre, che la comunicazione in parola costituiva pieno riconoscimento di debito, con conseguente e contestuale adempimento dello stesso;
3. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’Inps sulla base di due motivi;
4. D.P.S. ha resistito con controricorso, illustrato mediante memorie;
5. La proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata notificata alla parte, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio.
CONSIDERATO
CHE:
1. Con il primo motivo il ricorrente deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, art. 47, comma 3, nel testo sostituito dal D.L. 19 settembre 1992, n. 384, art. 4, comma 1, convertito in L. 14 novembre 1992, n. 438, con riferimento all’art. 100 c.p.c., osservando che non poteva essere dichiarata la cessazione della materia del contendere, essendo pacifico che l’Istituto avesse concluso per l’accoglimento del ricorso in appello, insistendo nell’eccezione di decadenza dell’azione giudiziaria, ed essendo acclarato il principio in forza del quale la cessazione della materia del contendere presuppone che le parti si diano reciprocamente atto del sopravvenuto mutamento della situazione sostanziale dedotta in giudizio e precisino al giudice conclusioni conformi in tal senso, tanto più ove si consideri che la decadenza sostanziale in concreto eccepita dall’Inps è istituto di ordine pubblico e l’Inps non avrebbe potuto rinunciarvi o impedirne gli effetti;
2.con il secondo motivo deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 100,306,329,359 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 4), rilevando che l’istituto non aveva effettuato alcuna rinuncia all’impugnazione e che la lettera di comunicazione non poteva essere inequivocabilmente diretta al riconoscimento del diritto in contestazione ma piuttosto ad evitare le spese del precetto e dell’esecuzione, in considerazione dell’efficacia provvisoriamente esecutiva della sentenza di prime cure;
3. i motivi, unitariamente considerati, sono inammissibili, poichè le contestazioni mosse in questa sede vertono sostanzialmente sulla ricostruzione, mediante interpretazione dell’atto di parte in termini di riconoscimento di debito, della volontà dell’Inps sottesa alla comunicazione di liquidazione di TFR, della quale, peraltro, parte ricorrente non trascrive o riassume il contenuto in ossequio al canone di autosufficienza (cfr. Cass. 29093 del 13/11/2018);
4. in difetto di specifica censura di un vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., n. 5, mediante allegazione di un fatto decisivo e oggetto di discussione tra le parti non vagliato dal giudice d’appello, le censure, quindi, appaiono volte a un non consentito esame del merito circa la volontà sottesa alla comunicazione già esaminata in sentenza (Cass. n. 8758 del 04/04/2017);
5. in base alle svolte argomentazioni, in difformità rispetto alla proposta, il ricorso va dichiarato inammissibile;
6. le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo, con distrazione in favore del procuratore anticipatario della parte vittoriosa, che ne ha fatto richiesta.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 915,00, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge, con distrazione.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 18 giugno 2019.
Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2019
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