Corte di Cassazione, sez. III Civile, Sentenza n.29485 del 14/11/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15347/2017 proposto da:

A.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ATTILIO FRIGGERI, 106, presso lo studio dell’avvocato MICHELE TAMPONI, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati EDOARDO DATTRINO, GIUSEPPE LOCATI, LUIGI MARIA GARBAGNATI;

– ricorrente –

contro

A.G., D.M., B.C., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA POMPEO MAGNO 3, presso lo studio dell’avvocato SAVERIO GIANNI, rappresentati e difesi dall’avvocato GIOVANNI CAFFU’;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1572/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 12/04/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 16/05/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. BASILE Tommaso, che ha concluso per il rigetto;

udito l’Avvocato MICHELE TAMPONI e l’Avvocato CHIARA RONCAROLO per delega;

udito l’Avvocato GIOVANNI CAFFU’.

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Milano, con sentenza 12.4.2017 n. 1572, ha rigettato l’appello proposto da A.F. -affittuario coltivatore di una porzione del fondo agricolo denominato “*****”, in agro di ***** – e confermato la decisione di prime cure che aveva ritenuto infondata la domanda di riscatto agrario da quello proposta nei confronti di D.M., A.G. e B.C. acquirenti, con rogito stipulato il 21.7.2004, dell’intero fondo di proprietà di Gaianella s.s. di B. & C..

Il Giudice di merito ha rilevato: che il preliminare di vendita stipulato in data 19.4.2004 era stato trasmesso dalla società Gaianella a A.F., con lettera del 29.4.2004, ai fini dell’esercizio del diritto di prelazione che doveva intendersi limitato alla porzione del fondo condotto in affitto, circostanza questa che veniva, comunque, definitivamente chiarita con successiva nota trasmessa all’ A., in data 15.6.2004, dai promissari acquirenti, contenente l’espresso invito a manifestare la intenzione di acquistare “la porzione di fondo” dallo stesso coltivata; che l’ A. – legittimato ex lege esclusivamente alla prelazione della porzione di fondo coltivato – aveva dichiarato, con racc. in data 18.5.2004, di volere esercitare il diritto di prelazione sull'”intero” fondo oggetto del preliminare di vendita, rappresentando di avere presentato domanda di concessione di mutuo agevolato ex lege n. 590 del 1965, mentre non aveva specificato, neppure dopo aver ricevuto la seconda missiva, di esercitare il diritto di prelazione sulla porzione di fondo condotto in affitto, in tal modo incorrendo nella decadenza dal diritto per inutile decorso del termine stabilito dalla L. n. 590 del 1965, art. 8, comma 5. In ogni caso il diritto di riscatto dell’ A. non poteva trovare fondamento neppure nella allegata difformità del prezzo indicato nel rogito (pari ad Euro 1.600.000,00) con quello indicato nel preliminare, nel quale accanto al predetto importo era previsto anche l’accollo da parte della D. “dell’onere economico” derivante dalla risoluzione di precedente preliminare di vendita stipulato dalla proprietà con altro promissario acquirente, atteso che: 1- la questione era inammissibile in quanto sollevata tardivamente soltanto nella comparsa conclusionale in primo grado; 2- a prescindere dal rilievo in rito, tale condizione contrattuale era stata recepita anche nel rogito, mediante espresso rinvio alle disposizioni del preliminare che costituivano parte integrante dell’atto definitivo di vendita.

La sentenza di appello, notificata in data 14.4.2017, è stata ritualmente impugnata da A.F. con ricorso per cassazione affidato a tre motivi.

Resistono con unico controricorso D.M., A.G. e B.C..

Le parti resistenti hanno depositato elenco documenti relativi alla ammissibilità del controricorso regolarmente notificato ai sensi dell’art. 372 c.p.c..

La parte ricorrente ha depositato memoria illustrativa ex art. 378 c.p.c..

RAGIONI DELLA DECISIONE

Come emerge dalla descrizione delle vicende processuali svolta nel ricorso, la questione controversa, oggetto di devoluzione avanti la Corte d’appello, e decisa da questa, attiene al corretto esercizio, da parte del coltivatore affittuario A.F., del diritto di prelazione agraria, avendo questi manifestato con la racc. in data 18 maggio 2004 di voler esercitare la prelazione sull’intero fondo agricolo oggetto del contratto preliminare di compravendita, anzichè sulla sola porzione di fondo, dallo stesso coltivata, per la qual soltanto la legge gli attribuiva il relativo diritto (L. 26 maggio 1965, n. 590, art. 8, comma 1).

Tanto premesso con il primo motivo il ricorrente censura la sentenza di appello per violazione della L. n. 590 del 1965, art. 8, nonchè degli artt. 2697,1175 e 1375 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

A supporto del motivo deduce che:

la lettera racc. in data 18.5.2005 con la quale aveva esercitato la prelazione era conforme – e non poteva essere altrimenti, trattandosi di semplice accettazione – alle condizioni del preliminare di vendita in ogni caso la “denuntiatio” doveva ritenersi invalida od inefficace in quanto non conteneva gli elementi idonei a consentire la individuazione del prezzo di vendita riferito esclusivamente alla porzione di fondo condotto in affitto conseguentemente il prelazionario non poteva ritenersi decaduto dall’esercizio del diritto di prelazione, potendo quindi esperire validamente l’azione di riscatto agrario della porzione di fondo affittata, contro gli acquirenti dell’intero compendio fondiaro.

Con il secondo motivo deduce la violazione della L. n. 590 del 1965, art. 8,artt. 1176,1362,1363 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Il ricorrente censura la sentenza nella parte in cui avrebbe riconosciuto validamente formulata la denuntiatio sebbene le condizioni inerenti il prezzo definite nel preliminare trasmesso in allegato non consentissero neppure di verificare quale fosse il complessivo importo stabilito per la cessione della proprietà dell’intero compendio immobiliare, atteso che, oltre all’importo base liquidato in Euro 1.600.00,00 era previsto l’accollo da parte della promissaria acquirente D. dell’ulteriore importo conseguente alla risoluzione unilaterale di un precedente preliminare stipulato tra la società proprietaria ed i sig.ri F., definito dalla D. con accordo separato che prevedeva la “restituzione della caparra a suo tempo versata, maggiorata di interessi e spese”. Tale incertezza assoluta sul quantum da aggiungere rendeva invalida la comunicazione del 29.4.2004 ed anche quella successiva del 15.6.2004 trasmessa dai promissari acquirenti in cui si ribadiva – senza ulteriori specificazioni – tale ulteriore onere economico gravante sull’acquirente. Poichè nell’atto notarile di compravendita non era fatto alcun cenno al predetto onere, veniva a configurarsi una difformità tra il prezzo (maggiorato dell’onere) indicato nel preliminare di vendita trasmesso al prelazionario e quello invece (inferiore) pattuito nel rogito, con conseguente legittimazione dell’affittuario ad agire per il riscatto della porzione del fondo.

Inconferente era l’argomento del Giudice di appello secondo cui tra i contratti preliminare e definitivo vi era identità di prezzo in quanto l’onere aggiuntivo era indeterminato nell'”an” non essendo costituito un obbligo di esborso a carico della D.. Mentre violava i criteri ermeneutici degli atti negoziali la statuizione che aveva ritenuto richiamato “per relationem” nel rogito anche l’onere predetto.

Con il terzo motivo (violazione della L. n. 590 del 1965, art. 8, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) il ricorrente impugna a sentenza nella parte in cui ha riconosciuto valida ed efficace ai fini della “denuntiatio” la lettera trasmessa dai promissari acquirenti in data 15.6.2004, non considerando che ai sensi della legge del 1965 la comunicazione della proposta di vendita deve pervenire dal proprietario-promittente alienante, essendo i promissari acquirenti sforniti di legittimazione.

Il primo motivo è fondato.

La eccezione di inammissibilità, formulata dai resistenti, per novità della questione prospettata con il motivo in esame è destituita di fondamento. Oggetto del giudizio è infatti l’accertamento dei fatti costitutivi del diritto potestativo di riscatto del fondo agrario, e tra gli elementi della fattispecie normativa astratta è ricompreso quale presupposto indefettibile il mancato esercizio del diritto di prelazione agraria, o perchè l’alienante del fondo ha omesso di adempiere all’obbligo di preventiva comunicazione all’affittuario coltivatore diretto dell’invito ad esercitare il diritto, o perchè nell’eseguire tale adempimento l’alienante non ha osservato le forme, le modalità ed i tempi disciplinati dalla legge, privando di efficacia la comunicazione in quanto inidonea a consentire al destinatario di esercitare il diritto di prelazione.

E non pare dubbio che, in relazione al riparto dell’onere della prova, spetta a colui che agisce in riscatto provare che la denuntiatio non vi è stata o che, non essendo conforme ai requisiti di legge, non aveva consentito l’esercizio del diritto da parte del prelazionario, mentre spetta all’acquirente del fondo, per contrastare l’azione di riscatto, dimostrare che la denuntiatio rispondeva ai requisiti di efficacia previsti dalla legge e che l’affittuario era incorso in decadenza o non aveva prestato adesione alle condizioni di vendita comunicategli con il preliminare, ma aveva formulato una “controproposta” inidonea a produrre gli effetti traslativi del diritto sul fondo propri della prelazione.

Consegue che la questione concernente il corretto od errato esercizio del diritto di prelazione agraria, in relazione alla efficacia od inefficacia della comunicazione trasmessa dalla società alienante e corredata dal contratto preliminare e successivamente integrata dalla nota a chiarimento trasmessa dagli acquirenti all’affittuario, deve intendersi acquisita “ab origine” all’oggetto del giudizio, integrando essa stessa il “thema controversum” devoluto alla cognizione del Giudicante tenuto, pertanto, a verificare quale fosse il contenuto di tali atti, e se si fosse o meno perfezionata la fattispecie legale, avuto riguardo al bene immobile oggetto della prelazione individuato nella parte coltivata in affitto dell’intero complesso fondiario compravenduto.

Tali elementi rientrano tutti nell’accertamento dei fatti costitutivi o dei fatti negativi contrari del diritto potestativo di riscatto, e se risultano dagli atti di causa, bene possono e debbono essere, pertanto, rilevati ed esaminati ex officio dal Giudice chiamato a pronunciare su tale diritto (la Corte territoriale ha infatti affrontato ex professo l’argomento ritenendo che la comunicazione della offerta di vendita dell’intero terreno per un prezzo complessivo, fosse idonea a fare insorgere nel destinatario l’onere di scelta entro il termine di decadenza, e che l’esercizio della prelazione conforme alle condizioni offerte, anzichè con riferimento alla parte di fondo coltivata ed al solo valore di questo, non fosse – invece – idoneo a perfezionare la fattispecie traslativa), palesandosi quindi priva di pregio la eccepita novità della questione.

Tanto premesso, deve ritenersi errato l’assunto del ricorrente secondo cui il mero riscontro della conformità tra le condizioni indicate nella “denuntiatio” e nel preliminare di vendita, da un lato, e le condizioni “accettate” con la dichiarazione di esercizio della prelazione, dall’altro, rende validamente produttiva di effetti tale manifestazione di volontà, atteso che, il presupposto necessario a consentire la operatività della prelazione va individuato nella stessa sussistenza dei fatti costitutivi della fattispecie normativa come delineati dalla norma di legge attributiva del diritto potestativo: dunque se la prelazione è consentita ex lege esclusivamente al coltivatore diretto del fondo a lui affittato oggetto di compravendita (L. n. 590 del 1965, art. 8, comma 5), ne segue che soltanto in relazione a tale bene immobile (fondo coltivato in affitto) e non anche in relazione alle altre parti del più vasto compendio fondiario ovvero ad altri fondi, pur essi inclusi nel preliminare di compravendita, può esercitarsi la prelazione agraria, e ciò tanto se oggetto della vendita sia l’intero fondo appartenente al proprietario – alienante (una parte del quale soltanto sia stato concesso in affitto agrario), quanto se oggetto di vendita siano anche altri fondi, appartenenti al medesimo proprietario, eventualmente adiacenti a quello condotto in affitto.

Ne segue che, soltanto nel caso in cui sia identificabile – nella “denuntiatio” e nel preliminare di vendita – il fondo oggetto della prelazione, attraverso lo scorporo di tale unità colturale dalla maggiore estensione dell’intero bene immobile compromesso in vendita, potrà ravvisarsi un legittimo ed efficace esercizio della prelazione che, come noto, diversamente dalla prelazione urbana L. n. 392 del 1978, ex art. 38, inserendosi quale elemento di una fattispecie traslativa avente ad oggetto bene immobile, integra un vero e proprio atto prenegoziale di accettazione idoneo a perfezionare, una volta giunto a destinazione del denunziante-proponente (ossia del soggetto tenuto a comunicare al prelazionario “la proposta di alienazione trasmettendo il preliminare di compravendita”: L. n. 590 del 1965, art. 8, comma 4, come modificata dalla L. 14 agosto 1971, n. 817) un contratto di vendita con conseguente acquisto in capo al prelazionario del diritto di proprietà sul fondo, operando il successivo pagamento del prezzo come semplice “condicio juris” del trasferimento (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 9519 del 20/04/2007; id. Sez. 3, Sentenza n. 22797 del 28/10/2009; id. Sez. 3, Sentenza n. 13211 del 31/05/2010; id. Sez. 3, Sentenza n. 25419 del 12/11/2013; id. Sez. 3, Sentenza n. 2187 del 31/01/2014; id. Sez. 3, Sentenza n. 28495 del 08/11/2018).

Pertanto, non è dato riconoscere alcun effetto traslativo ad una prelazione esercitata dall’affittuario di una porzione del fondo agrario, in relazione alla comunicazione di una “denuntiatio-proposta” (ed al connesso preliminare) avente ad oggetto invece l’offerta di vendita dell’intero fondo (senza distinzione della porzione condotta in affitto) con indicazione di un unico prezzo globale, potendo al più riconoscersi alla dichiarazione resa dal prelazionario la funzione di mera contro-proposta (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 1103 del 22/01/2004).

Coglie nel segno, invece, l’altra censura che imputa alla Corte d’appello di non avere riconosciuto priva di effetti la “denuntiatio” trasmessa dalla proprietaria società Gaianella in data 29.4.2004, unitamente al preliminare di vendita, in quanto priva delle indicazioni espressamente richieste dalla L. n. 590 del 1965, art. 8, comma 4, come modificata dalla L. n. 817 del 1971, avendo al contrario il Giudice di appello addossato all’incolpevole affittuario l’erroneo esercizio della prelazione estesa anche alle altre parti di fondo non dallo stesso coltivate e senza indicare il prezzo offerto per la sola porzione di fondo coltivata.

Incontestato il contenuto della denuntiatio e delle condizioni del contratto preliminare di vendita, avendo ad oggetto le stesse la promessa di vendita dell’intero fondo di proprietà dell’alienate per il prezzo unico determinato nell’importo di Euro 1.600.000,00 oltre l’accollo da parte della promissaria acquirente D. degli “oneri economici” (che, secondo la ricostruzione del ricorrente sarebbero stati quantificati in Euro 260.000,00 soltanto in successivo contratto stipulato dalla D. in data 14.4.2009: cfr. ricorso pag. 14) derivanti dalla risoluzione di un precedente preliminare stipulato dalla società Gaianella con altri soggetti, la Corte territoriale, ritenendo che il destinatario avrebbe dovuto considerare che la denuntiatio doveva intendersi riferita, non all’intero fondo, ma alla sola porzione condotta in affitto, sicchè in relazione a questa soltanto A.F. avrebbe dovuto dichiarare di esercitare la prelazione, indicando la relativa quota di prezzo, si è immotivatamente discostata dal consolidato insegnamento di questa Corte di legittimità secondo cui: a) la denuntiatio, nella peculiare fattispecie traslativa delineata dalla L. n. 590 del 1965, assume la funzione di proposta contrattuale che, spiega efficacia se e soltanto se porta effettivamente a conoscenza del prelazionario gli elementi indispensabili necessari a consentire una compiuta valutazione dell’opportunità di procedere all’acquisto del terreno, elementi individuati – al minimo – dall’art. 8, comma 4, della Legge, tra cui deve risultare la identificazione delle dimensioni superficiarie e catastali del fondo oggetto di prelazione e la indicazione del prezzo di vendita del medesimo; b) in mancanza della indicazione di tali elementi minimi di valutazione, circostanza che si verifica, come nel caso di specie, in cui – quando anche si ritenesse in grado l’affittuario, anche alla stregua del proprio titolo contrattuale, di individuare le dimensioni e le caratteristiche, anche catastali, nonchè la estensione della porzione di fondo dallo stesso coltivata – non si renda possibile determinare agevolmente, neppure indirettamente attraverso eventuali criteri “per relationem” o mediante calcolo matematico, la quota-prezzo riferibile alla porzione di fondo coltivato, alcun ulteriore onere spetta all’affittuario, che può anche astenersi dal trasmettere alcuna dichiarazione al denunziante, atteso che la denuntiatio-proposta formulata in modo incompleto va considerata “tamquam non esset”, ed è inidonea a far decorrere il termine di decadenza per l’esercizio della prelazione, non potendo prodursi l’effetto decadenziale a carico del prelazionario per un fatto imputabile esclusivamente al denunziante (diversa questione, che non ricorre tuttavia nella fattispecie, è quella che consente di fare salvi gli effetti della denuntiatio, nel caso in cui, con riferimento agli elementi essenziali della proposta, vengano a ravvisarsi dei meri “errori materiali”, agevolmente individuabili dal destinatario con la ordinaria diligenza, ovvero, al contrario, è quella che consente di ricorrere all’annullamento della fattispecie traslativa qualora emerga una divergenza nella manifestazione di volontà delle parti del preliminare, riconoscibile dal prelazionario: Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 6378 del 08/05/2001; Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 6116 del 12/03/2013); c) il rapporto tra alienante-denunziante e affittuario-prelazionario viene, quindi, ad esitare in una situazione di quiescenza fino a che non venga trasmessa una nuova denuntiatio “completa” ovvero venga stipulato con il terzo l’atto definitivo di compravendita dell’intero fondo: in quest’ultimo caso essendo legittimato l’affittuario ad esercitare contro il terzo-acquirente il proprio diritto di riscatto della porzione di fondo coltivata, potendo all’uopo limitarsi ad impegnarsi a corrispondere quel prezzo di vendita di tale porzione che verrà ad essere determinato in esito alla istruttoria ed eventualmente alla c.t.u. espletata nel giudizio (cfr. Corte Cass. Sez. 3, Sentenza n. 1103 del 22/01/2004; id. Sez. 3, Sentenza n. 7231 del 29/03/2006; id. Sez. 3, Sentenza n. 14754 del 26/06/2007; id. Sez. 3, Sentenza n. 19862 del 29/08/2013; id. Sez. 3, Sentenza n. 5414 del 07/03/2014).

Escluso che nel caso concreto fosse in alcun modo determinabile scorporandola dal prezzo globale di vendita dell’intero fondo, la quota di prezzo da attribuire alla frazione di fondo oggetto di prelazione, ne segue che alla denuntiatio, trasmessa in data 29.4.2004, così come alla corrispondente “dichiarazione” dell’affittuario, comunicata con racc. in data 18.5.2004, non poteva riconoscersi alcun effetto giuridico idoneo a concludere od impedire la conclusione, per consumazione del termine di decadenza, della fattispecie negoziale traslativa disciplinata dalla L. n. 590 del 1965, art. 8, comma 4.

Analogo giudizio va espresso anche in relazione alla successiva comunicazione, effettuata dai promissari acquirenti, della lettera in data 15.6.2004, pervenuta all’affittuario il 19.6.2004, alla quale la Corte d’appello ha inteso attribuire portata definitivamente chiarificatrice in ordine alla delimitazione, alla sola porzione del fondo condotto in affitto, dell’invito ad esercitare la prelazione. Se appare, infatti, corretta l’affermazione per cui – in applicazione del principio di buona fede che regola i rapporti tra i privati – la provenienza delle nuova “denuntiatio” da soggetti diversi dal proprietario-alienante, non priva di efficacia l’atto in quanto egualmente idoneo ad assolvere alla funzione che la legge gli assegna (atteso che, nel caso di specie, la lettera del 15.6.2004 si inserisce quale mero complemento specificativo di una manifestazione di volontà – avente contenuto di proposta – che era stata già espressa, nella comunicazione in data 29.4.2004 e nella stessa stipula del preliminare, dalla società proprietaria, soggetto da ritenere esclusivamente legittimato a “manifestare la volontà” di vendita in quanto destinato – nel caso di valido perfezionamento della fattispecie traslativa – ad assumere la qualità di parte contraente del contratto di vendita al prelazionario), errata in diritto è, invece, la successiva affermazione secondo cui, il mancato esercizio del diritto di prelazione nel termine di trenta giorni dalla ricezione di detta lettera, avrebbe consumato per decadenza il diritto dell’affittuario, laddove si osservi che neppure in questo caso si era in presenza di una “denuntiatio” rispondente ai requisiti legali, atteso che la missiva si limitava a sollecitare A.F. a comunicare “se intendesse pervenire all’acquisto del fondo da lui attualmente coltivato” (sentenza appello, in motivazione, pag. 11), non contenendo alcun riferimento od elemento idoneo a consentire lo scorporo dal prezzo complessivo indicato nel preliminare della quota relativa al fondo oggetto della prelazione.

Non essendo stato posto in grado di esercitare la prelazione, il termine di decadenza neppure poteva iniziare a decorrere e, dunque, l’affittuario ha legittimamente instaurato il giudizio avente ad oggetto l’esercizio del diritto di retratto agrario, dovendo in conseguenza essere cassata la sentenza di appello che ha dichiarato decaduto A.F. dal diritto di riscatto.

L’accoglimento del primo motivo di ricorso rende superfluo esaminare la questione sollevata con il secondo motivo – ed in relazione alla quale la Corte territoriale ha statuito la inammissibilità “in quanto proposta tardivamente nella comparsa conclusionale di primo grado”, pur esaminandola poi anche nel merito – se vi fosse o meno corrispondenza tra le condizioni relative al prezzo di vendita pattuite nel preliminare e quelle convenute nel rogito stipulato il 21.7.2004, trattandosi di accertamento che presuppone la valida comunicazione della denuntiatio, nella specie esclusa.

In conclusione, accolto il primo ed il terzo motivo di ricorso, assorbito il secondo, la sentenza impugnata deve essere cassata, con rinvio della causa alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione che provvederà a nuovo giudizio, liquidando all’esito anche le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

accoglie il primo ed il terzo motivo di ricorso; dichiara assorbito il secondo motivo di ricorso; cassa la sentenza in relazione ai motivi accolti; rinvia alla Corte di appello di Milano in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 16 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2019

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