Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.29536 del 14/11/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 2

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Presidente –

Dott. CORRENTI Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. FORTUNATO Giuseppe – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22738-2018 proposto da:

D.E., titolare dell’impresa individuale denominata MARYLIN di E.D., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 268-A, presso lo studio dell’avvocato ALESSIO PETRETTI, che la rappresenta e difende unitamente agli avvocati PAOLO BONOMI, PAOLO GIUDICI;

– ricorrente –

contro

C.R., elettivamente domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato MASSIMO GIAVAZZI;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 255/2018 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 13/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 13/06/2019 dal Consigliere Relatore Dott. VINCENZO CORRENTI.

FATTI DI CAUSA

D.E. propone ricorso per cassazione contro C.R., che resiste con controricorso, avverso la sentenza della Corte di appello di Brescia del 13.3.2018, che ha rigettato il suo appello avverso sentenza del Tribunale di Bergamo a sua volta reiettiva delle domande di risarcimento danni patrimoniali per l’importo di Euro 22.798,77, di danni non patrimoniali da liquidarsi in via equitativa e di restituzione di Euro 1.080 pagate per compensi professionali.

L’attrice aveva lamentato la violazione dei doveri contrattuali ed extracontrattuali per una consulenza commissionata per la verifica del superamento del limite acustico differenziale da parte del Bar gestito dalla stessa ed, in particolare, la consegna della relazione, che evidenziava il superamento del limite acustico previsto dalla legge, al Comune, con conseguente provvedimento di riduzione dell’orario di apertura del locale ed impossibilità di vendere l’attività ad un compratore, cui aveva dovuto restituire il doppio della caparra.

La Corte di appello ha ritenuto più credibile la versione dei fatti dei testi del convenuto in ordine a chi avesse consegnato la relazione al Comune; ha negato che la D. avesse assolto all’onere probatorio circa il suo assunto e che il deposito della relazione fosse l’unica causa del provvedimento restrittivo attesi i precedenti rapporti col Comune.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Parte ricorrente denunzia: 1) omesso esame di fatto decisivo in ordine alle valutazioni dei testi; 2) violazione dell’art. 2043 c.c. sui rapporti col Comune.

Ciò premesso, si osserva:

Questa Corte ha, invero, statuito che allorquando la sentenza impugnata sia fondata su diverse rationes decidendi, idonee a giustificarne autonomamente le statuizioni, la circostanza che l’impugnazione sia rivolta soltanto contro alcune di esse, e non attinga le altre, determina una situazione nella quale il giudice dell’impugnazione (ove naturalmente non sussistano altre ragioni di rito ostative all’esame nel merito dell’impugnazione) deve prendere atto che la sentenza, in quanto fondata sulla ratio decidendi non criticata, è passata in cosa giudicata e desumere, pertanto, che l’impugnazione non è ammissibile per l’esistenza del giudicato, piuttosto che per carenza di interesse (Cass. 13.7.2005 n. 14740).

Il primo motivo, che già nella tecnica espositiva mal dissimula il tentativo di un riesame del merito, trascura che, a seguito della riformulazione della norma di cui all’art. 360 c.c., n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, è denunciabile in cassazione solo l’omesso esame del fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (Cass. 8 ottobre 2014, n. 21257, Rv. 632914).

Il vizio motivazionale previsto dal n. 5) dell’art. 360 c.p.c., pertanto, presuppone che un esame della questione oggetto di doglianza vi sia pur sempre stato da parte del giudice di merito, ma che esso sia affetto dalla totale pretermissione di uno specifico fatto storico.

Sotto altro profilo, come precisato dalle Sezioni Unite, la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione (S.U. n. 8053/2014).

Può essere pertanto denunciata in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali.

Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.

Nel caso di specie non si ravvisano nè l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, nè un’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante.

La Corte d’appello, infatti, ha deciso la controversia sulla base delle risultanze, congruamente delibate e non condivise.

Il secondo motivo, sotto l’apparente denunzia di violazione di legge, comporta un inammissibile riesame del merito, con profili in parte nuovi.

Donde il rigetto del ricorso e la condanna alle spese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, condanna parte ricorrente alle spese, liquidate in Euro 1700, di cui Euro 200 per esborsi, oltre accessori e spese forfettarie nel 15%, dando atto dell’esistenza dei presupposti ex D.P.R. n. 115 del 2002 per il versamento dell’ulteriore contributo unificato.

Così deciso in Roma, il 13 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2019

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