LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Presidente –
Dott. TEDESCO Giuseppe – Consigliere –
Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere –
Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – rel. Consigliere –
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 21380-2018 proposto da:
B.G., C.N., elettivamente domiciliati in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CORTE di CASSAZIONE, rappresentati e difesi dall’avvocato GIUSEPPE DI VITA;
– ricorrente –
contro
M.G., M.M.L., M.C., CI.RO., in proprio e nella qualità di erede del sig.
M.A., elettivamente domiciliati in ROMA, VIA DEI GRACCHI 91, presso lo studio dell’avvocato PIERFRANCESCO TORRISI, rappresentati e difesi dall’avvocato ANNA MARIA BALSAMO;
– Controricorrenti –
avverso la sentenza n. 1109/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANIA, depositata il 09/06/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 19/06/2019 dal Consigliere Relatore Dott. CHIARA BESSO MARCHEIS.
RITENUTO
CHE:
1. Con istanza depositata in data 16/6/2008 M.A. e Ci.Ro., premesso che con ordinanza del 16/4/2008, in accoglimento del ricorso per la manutenzione del possesso, era stato ordinato a B.G. e C.N. di sospendere i lavori inerenti la costruzione di una scala in cemento, concretizzante turbativa del possesso della servitù di veduta esercitata dai ricorrenti attraverso una finestra, chiedevano la prosecuzione del giudizio di merito, “avendo interesse ad ottenere il riconoscimento del loro diritto nel merito per l’ottenimento del conseguente ordine di demolizione” e formulavano domanda di accertamento dell’acquisto per usucapione della servitù. Costituendosi, B.G. e C.N. chiedevano in via riconvenzionale che venisse ordinato ai ricorrenti il ripristino delle originarie dimensioni della finestra (trasformata da luce in veduta), previo accertamento del suo illegittimo ampliamento. Con sentenza n. 160/2012, il Tribunale di Catania richiamava integralmente l’ordinanza possessoria del 16/4/2008 con riferimento all’ordine di sospensione dei lavori di costruzione della scala e dichiarava inammissibile la domanda riconvenzionale dei convenuti e le nuove domande dei ricorrenti.
2. Avverso la sentenza proponevano appello principale M.C., M.G. e M.M.L., in qualità di eredi di M.A., e Ci.Ro., in proprio e in qualità di erede di M.A., contestando la declaratoria di inammissibilità della domanda di demolizione e di quella di acquisto per usucapione del diritto di veduta; B.G. e C.N. proponevano a loro volta appello incidentale per non avere il Tribunale revocato l’ordinanza sommaria e per avere dichiarato inammissibile la domanda riconvenzionale da loro fatta valere.
La Corte d’appello di Catania, con sentenza 9 giugno 2017, n. 1109, accoglieva parzialmente il gravame principale, condannando B.G. e C.N. alla demolizione della scala; dichiarava invece inammissibile l’appello incidentale.
3. Contro la sentenza ricorrono per cassazione B.G. e C.N..
Resistono con controricorso M.C., M.G. e M.M.L., in qualità di eredi di M.A., e Ci.Ro., in proprio e in qualità di erede di M.A..
CONSIDERATO
CHE:
I. Il ricorso, che dedica 25 pagine all’esposizione dei fatti della causa, è articolato in cinque motivi.
I cinque motivi, preceduti dalla precisazione circa la riproposizione “nella loro interezza” delle “eccezioni, deduzioni e difese formulate in tutti gli scritti difensivi depositati nel corso dei due precedenti gradi di giudizio ed esperite nei verbali di udienza (..), in virtù dell’effetto rescindente del giudizio di legittimità”, sono inammissibili perchè non rispondenti alle prescrizioni di cui agli artt. 360 e 366 c.p.c..
a) Il primo motivo – che denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 907,2697 c.c., e art. 247 c.p.c., – si risolve in una critica dell’accertamento in fatto (in particolare in relazione alle dichiarazioni testimoniali), che ha portato il giudice d’appello a condividere quanto statuito dal primo giudice circa la fondatezza della domanda possessoria, accertamento in fatto che non è censurabile da questa Corte di legittimità.
b) Il secondo motivo e il terzo motivo, tra loro connessi, lamentano:
– il secondo violazione e falsa applicazione degli artt. 703 e 705 c.p.c., per avere il giudice d’appello rigettato l’appello incidentale ignorando che la Corte costituzionale con sentenza 25/1992 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 705 c.p.c., nella parte in cui subordina la proposizione del giudizio petitorio alla definizione della controversia possessoria e all’esecuzione della decisione nel caso che ne derivi o possa derivarne un pregiudizio irreparabile;
– il terzo violazione e falsa applicazione dell’art. 166 c.p.c., in relazione all’art. 669-octies c.p.c., perchè, per giurisprudenza consolidata, se è precluso proporre domande o eccezioni riconvenzionali nella fase sommaria, questo sarebbe invece possibile nella fase di merito.
I due motivi non si confrontano con le ragioni della sentenza impugnata: se è vero che “colui che è convenuto con azione possessoria per violazione dei limiti imposti dalle norme in materia di distanze può dimostrare l’insussistenza dell’altrui diritto al fine di negare lo stato di possesso vantato dall’attore, senza con ciò determinare confusione fra giudizio possessorio e giudizio petitorio, poichè tale accertamento rileva per stabilire se esista un possesso tutelabile” (Cass. 6792/2015), è altrettanto vero che tale accertamento il giudice ha svolto, affermando che è “inequivocabilmente risultato provato” che la finestra è sempre esistita e che nessun ampliamento e/o modifica della stessa è stata posta in essere dai coniugi M. (cfr. p. 6 della sentenza impugnata).
c) Il quarto motivo contiene una richiesta – la nomina di un consulente tecnico d’ufficio e l’assegnazione di un termine per la nomina di propri consulenti di parte – inammissibile nel giudizio di cassazione, ove non c’è istruzione probatoria.
d) Il quinto motivo, rubricato “spese processuali”, non configura una censura alla sentenza impugnata. Il motivo si apre con l’enunciato “si contesta pure il capo di sentenza relativo alle spese processuali”, ma poi si limita a chiedere una nuova regolamentazione delle spese di lite alla luce dell’accoglimento del ricorso.
II. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.
La liquidazione delle spese, effettuata nel dispositivo, segue la soccombenza.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio in favore dei controricorrenti che liquida in Euro 2.200 di cui Euro 200 per esborsi, oltre spese generali (15%) e accessori di legge.
Sussistono, del D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 13, comma 1-quater, i presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sesta/2 sezione civile, il 19 giugno 2019.
Depositato in Cancelleria il 14 novembre 2019
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