LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –
Dott. SESTINI Danilo – Consigliere –
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –
Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –
Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 21178-2017 proposto da:
COMUNE DI LAMA MOCOGNO, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE GIULIO CESARE, 78, presso lo studio dell’avvocato STEFANO SCOCCHERA, rappresentato e difeso dall’avvocato MASSIMO BORSARI;
– ricorrente –
contro
M.A.;
– intimata –
avverso la sentenza n. 1159/2017 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 22/05/2017;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 10/07/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CRICENTI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CARDINO Alberto, che ha concluso per l’accoglimento 1 e 3 motivo di ricorso, assorbiti gli altri;
udito l’Avvocato BORSARI MASSIMO.
FATTI DI CAUSA
M.A. ha acquistato, con rogito del 12.5.1984, alcuni terreni dal Comune di *****, dichiarati al momento della vendita come edificabili, per un valore di 199 milioni di Lire.
Pochi mesi dopo, ossia il 31.7.1984, la M. è stata convenuta in giudizio da un terzo soggetto, il quale assumendosi possessore di quei terreni, ne rivendicava il godimento e riteneva atto di spoglio l’acquisto fattone dalla predetta.
Costui ha ottenuto la reintegra nel possesso, all’esito della fase sommaria, reintegra che è stata però revocata dal giudice della fase di merito con sentenza del 1991, confermata in appello nel 1995.
Successivamente, con Delib. 18 aprile 1994, il Comune di Lama Macogno ha privato della edificabilità la maggior parte della estensione dei terreni a suo tempo venduti alla M..
L’acquirente dei terreni, dunque, ha ritenuto incidenti sul suo diritto di proprietà questi due eventi, ossia la rivendicazione del possesso da parte di un terzo, e la sopravvenuta dichiarazione di inedificabilità da parte del Comune; circostanze, entrambe, che la hanno indotta a citare il predetto Comune in giudizio per ottenere la riduzione del prezzo per via della sopravvenuta inedificabilità; il risarcimento dei danni consistenti nelle spese che aveva dovuto affrontare per resistere all’azione di spoglio; il risarcimento del danno per via del fatto che aveva tardivamente ricevuto la consegna dei terreni da parte del Comune venditore.
Il Tribunale ha ritenuto prescritte queste pretese sul presupposto che il diritto decorresse dalla vendita, avvenuta nel 1984.
Invece la Corte di appello, con sentenza del 2009, ha respinto nel merito le domande dell’acquirente, ritenendo quanto alla quanti minoris, che l’inedificabilità era sopravvenuta a notevole tempo di distanza dall’acquisto; quanto alle spese del giudizio di reintegra che comunque era stato vinto; quanto alla mancata consegna che l’acquirente non l’aveva adeguatamente provata. Contro tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione la M., con tre motivi, due dei quali sono stati accolti dalla Corte di cassazione, con sentenza del 2015, e precisamente quello relativo alla mancata consegna dei terreni e quello relativo all’onere della prova circa tale mancata consegna.
La causa è stata dunque riassunta, ed il giudice del rinvio ha accertato la tardiva consegna dei terreni, liquidando un danno corrispondente alla differenza tra il prezzo pagato a suo tempo, sul presupposto della edificabilità, e quello al valore attuale, ossia in condizione di non edificabilità.
Avverso tale decisione ricorre il Comune di ***** con nove motivi. Non v’è costituzione della M..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.- La decisione di secondo grado, che qui viene impugnata, decide a seguito di giudizio di rinvio, su due punti della controversia logicamente connessi l’un l’altro.
Infatti, la Corte di Cassazione del 2015, ha ritenuto che l’onere di provare la consegna dei terreni gravasse sul Comune venditore, e non già sull’acquirente, e che doveva ritenersi contraddittoria la sentenza di merito nella parte in cui riteneva che tale consegna fosse provata dal ricorso per reintegra da parte del terzo.
Nell’ambito di questi principi, la corte di appello ha dunque ritenuto che il Comune non ha provato di aver consegnato i terreni; che tale prova non poteva ritenersi implicita nelle clausole di stile che accompagnavano la vendita; nè poteva derivare (circostanza questa già esclusa dalla Corte di Cassazione del 2015) dal giudizio di spoglio intentato da terzi.
Di conseguenza, ha stimato e liquidato il danno da ritardata consegna.
2.-1 Il Comune propone nove motivi di ricorso avverso tale pronuncia.
I primi tre motivi involgono la questione della prescrizione, e vanno dunque valutati unitamente.
Il primo motivo assume nullità della sentenza per omessa pronuncia (e dunque per violazione dell’art. 112 c.c.) sulla eccezione della prescrizione. Anche con il secondo motivo è eccepita omessa pronuncia sul giudicato, formatosi nel giudizio precedente di legittimità, sulla prescrizione.
Con il terzo invece si denuncia violazione di legge (art. 2935 c.c.) in cui la corte di merito sarebbe incorsa nel ritenere la decorrenza della prescrizione dal 1996 anzichè dal 1984.
2.1.- Si tratta, intanto, di motivi in contraddizione l’uno con l’altro. I primi due denunciano omessa pronuncia sulla questione della prescrizione e sono in evidente contrasto con il terzo, che invece lamenta una erronea (e dunque effettiva) pronuncia su quello stesso punto.
Il primo dei due denuncia omessa pronuncia sulla eccezione di prescrizione (reiterata nel giudizio di rinvio) e dunque è in contrasto altrettanto evidente con il secondo, che invece invoca un giudicato sulla prescrizione (la cui eccezione non andava allora riproposta nel giudizio di rinvio).
Sono comunque infondati.
Più precisamente, l’infondatezza del secondo motivo rende assorbiti gli altri due. Infatti, la prescrizione dei diritti della M. è stata dichiarata in primo grado; conseguentemente, la M. ha fatto appello, sia sulla prescrizione che riproponendo le ragioni di merito. Il giudice di appello ha rigettato la domanda, ossia è entrato nel merito, e dunque ha considerato assorbita la questione della prescrizione, a favore dell’attrice, che dunque non è stata soccombente sul punto.
Il giudice di appello, infatti, se avesse ritenuto fondata la statuizione del primo grado quanto alla prescrizione, avrebbe dovuto rigettare il relativo motivo di impugnazione della M., e non avrebbe dovuto decidere nel merito, essendo quella della prescrizione una questione preliminare. Avendo, invece deciso nel merito, la corte di appello ha ritenuto assorbita la questione della prescrizione a vantaggio della attrice.
Con la conseguenza che, sulla questione della prescrizione, dato l’implicito assorbimento di essa nel merito, era soccombente il Comune che l’aveva prospettata, ed era dunque il Comune che doveva riproporla, con motivo di impugnazione in Cassazione.
Non avendolo fatto, la questione della prescrizione, è diventata giudicato, ma favorevolmente alla attrice, e non al Comune, che non può dunque dolersi del mancato rilievo di tale giudicato nel giudizio di rinvio.
E ciò senza tacere del fatto che, sia pure succintamente ed implicitamente, la corte di merito ha rilevato la questione del giudicato a pagina 6 della sentenza, dove, per l’appunto, fa presente che, avendo deciso il precedente giudice di appello con il rigetto nel merito delle domande, la questione della prescrizione andava riproposta in Cassazione, e non lo è stata.
2.2.- Con il quarto motivo il Comune si duole della contraddittorietà della motivazione su un punto decisivo della controversia.
La sentenza di appello avrebbe, da un lato, riconosciuto che v’erano terzi che agivano per la possessoria, e dunque avrebbe dovuto ammettere che non questi ultimi, ma la M., aveva il possesso del terreno, per altro verso avrebbe invece supposto che i terzi, per poter agire in possessoria dovevano per forza avere il possesso da un anno, giusta la regola sull’azione di spoglio.
In realtà non v’è alcuna contraddizione.
La sentenza di merito parte invero dalla premessa che la M. non ha avuto il possesso almeno fino alla decisione del 1996, che glielo ha riconosciuto, e tale premessa ricava dalla decisione della Cassazione del 2015, che ha disposto il rinvio su quel punto.
In realtà ciò che induce il Comune ricorrente a supporre una contraddizione è il fraintendimento sul concetto di consegna della cosa compravenduta e dunque di possesso.
Come evidenziato dalla Corte di Cassazione del 2015, la M. lamentava la consegna effettiva del bene e non già l’astratta disponibilità che segue all’effetto traslativo della vendita.
Nè può ritenersi d’ostacolo (e dunque integrare una contraddizione del ragionamento) la circostanza che il possesso, alla fine del giudizio di merito, è stato negato al terzo che lo rivendicava. Il rigetto della domanda vuol dire difetto del potere di fatto in capo a costui, ma non già riconoscimento dell’esercizio effettivo del possesso in capo alla M. (in quel giudizio resistente).
2.3.- Il che comporta altresì il rigetto del quinto motivo che lamenta scarsa considerazione dell’esito della possessoria. Motivo che peraltro è da considerarsi inammissibile in quanto lamenta violazione dell’art. 1476 c.c., ma che, nel contempo, non attribuisce alla corte un significato diverso da quello riferibile alla norma, e ritiene invece che la violazione sia sottesa nella mancata considerazione di elementi di fatto, che se tenuti in debito conto, avrebbero permesso di applicare la norma diversamente. Il vizio si traduce dunque in una denuncia di erronea valutazione dei fatti di causa sotto la veste formale della violazione di legge.
Senza tacere del fatto che ovviamente la norma è correttamente intesa dal giudice di rinvio, che peraltro segue in tale circostanza le indicazioni della Corte di Cassazione del 2015, ritenendo necessaria la consegna effettiva ai fini dell’adempimento dell’obbligo previsto dall’art. 1476 c.c., e non l’astratta disponibilità insita nell’effetto traslativo.
2.3.- Il sesto motivo denuncia violazione dell’art. 1485 c.c. che impone al compratore, che subisce l’evizione, di chiamare in causa il venditore e che, in caso di omissione, fa gravare sul compratore l’evizione subita.
Il richiamo alla norma è del tutto fuori luogo in quanto essa presuppone intanto che il compratore subisca l’evizione, ossia perda la causa intentata dal terzo e venga condannato a riconoscere il diritto di costui. Nella fattispecie invece il compratore ha vinto la causa, ed ha ottenuto di negare pretese possessorie di terzi.
Inoltre, la norma si applica ai soli casi in cui il compratore fa valere la garanzia per evizione, ossia chiede al venditore di garantire che il bene è libero da pretese altrui incompatibili con la propria.
Invece, nel caso presente, il compratore ha avanzato nei confronti del venditore una pretesa del tutto diversa e consistente nel ristoro delle spese necessarie per resistere all’azione di spoglio; dunque non la pretesa di garanzia da evizione cui è riferita la norma (art. 1485 c.c.) ma altra e ben diversa pretesa che ha titolo diverso.
2.3.1.- Il settimo, l’ottavo ed il nono motivo lamentano erronea interpretazione di norme e motivazione contraddittoria, quanto alla quantificazione dei danni, agli interessi ed alla svalutazione.
In realtà si tratta di censure che mirano a contestare la valutazione delle prove e dei fatti, valutazione riservata al giudice di merito, non suscettibile di denuncia in sede di legittimità se non per errore di percezione o per difetto di motivazione tale da rendere nulla la sentenza (art. 360 c.p.c., n. 4).
Il Comune ricorrente infatti lamenta l’erronea valutazione dell’esito della CTU, in ordine al rilievo che l’inedificabilità sopravvenuta ha avuto sul valore dei terreni, ed al conseguente danno calcolato dal giudice di merito, oltre che (nono motivo) l’apprezzamento degli interessi in difetto di prova.
Il ricorso va pertanto respinto, senza conseguenze sulle spese, attesa la mancata costituzione della parte intimata.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Nulla spese. Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento del doppio del contributo unificato.
Così deciso in Roma, il 10 luglio 2019.
Depositato in Cancelleria il 15 novembre 2019
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