LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIVALDI Roberta – Presidente –
Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –
Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –
Dott. CIGNA Mario – Consigliere –
Dott. CIRILLO Francesco Maria – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 16944-2018 proposto da:
TAMARIX SRL, in persona dell’amministratore unico e legale rappresentante C.R., elettivamente domiciliata in ROMA, L.GO DI TORRE ARGENTINA 11, presso lo studio dell’avvocato DARIO MARTELLA, che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
FALLIMENTO N. ***** SRL IN LIQUIDAZIONE, in persona del curatore Prof. CA.TA.EN., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ALFREDO FUSCO, 104, presso lo studio dell’avvocato FLAMINIA CAIAFA, che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1839/2018 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 22/03/2018;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 27/09/2019 dal Consigliere.
FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Tivoli, con sentenza in data 19.6.2015 n. 1360, ha dichiarato inefficace nei confronti del Fallimento di ***** s.r.l. in liquidazione, l’atto pubblico di compravendita immobiliare in data 21.5.2006 con il quale la predetta società “in bonis” aveva trasferito la proprietà all’acquirente Tamarix s.r.l., ritenendo provata: a) la esistenza dei crediti al tempo della vendita, dalla situazione “debiti e crediti” della società fallita alla data del 31.12.2007, depositata in giudizio dal curatore; b) il pregiudizio arrecato alle ragioni creditorie, dalla rilevante esposizione debitoria della società fallita al tempo della stipula dell’atto dispositivo; il “consilium” e la “participatio fraudis”, dalla attiva partecipazione alla operazione negoziale del medesimo soggetto che agiva, da un lato, per conto della società alienante, e dall’altro, quale socio ed amministratore della società acquirente.
La Corte d’appello di Roma, con sentenza 22.3.2018 n. 1839, ha rigettato l’appello di TAMARIX s.r.l. e confermato la decisione di prime cure ritenendo raggiunta la prova della anteriorità dei crediti sia in base alla documentazione allegata alla relazione del curatore fallimentare, sia desumendola dalla stessa condotta della TAMARIX s.r.l. che aveva anticipato a ***** s.r.l. ben due anni prima della stipula del rogito, a far data dal 26.7.2004, il pagamento del prezzo di vendita provvedendo a corrispondere gli anticipi direttamente ai titolari (Comune di Monterotondo; fornitori) dei crediti – preesistenti quindi alla stipula del rogito – vantati nei confronti della società successivamente dichiarata fallita.
Il Giudice di appello ha inoltre confermato la decisione di primo grado in punto di accertamento del presupposto soggettivo, evidenziando come dalle risultanze istruttorie emergesse uno stretto collegamento tar le due società, risalente nel tempo, avendo lo stesso amministratore e socio di TAMARIX s.r.l., nella sua qualità professionale di notaio, redatto diversi atti, patrimonialmente rilevanti, per conto di ***** s.r.l., rapporto di collaborazione che, unitamente alla anomala anticipazione dei versamenti del prezzo di vendita, induceva a ritenere raggiunta in relazione alla società acquirente la prova presuntiva della “scientia damni”.
La sentenza di appello, notificata in data 9.4.2018, è stata impugnata da TAMARIX s.r.l. con ricorso per cassazione affidato a tre motivi.
Resiste con controricorso il Fallimento n. 37/2007 ***** s.r.l. in liquidazione. Le parti hanno depositato memorie illustrative ex art. 380 bis.1 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
Primo motivo: violazione della L. Fall., art. 66, art. 116 c.p.c., artt. 2697-2901 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.
La ricorrente deduce che la Corte d’appello erroneamente aveva ritenuto dimostrata la esistenza e la anteriorità dei crediti, pregiudicati dall’atto di compravendita, in base alle anticipazioni della erogazione del prezzo di compravendita, sebbene avesse affermato contraddittoriamente che con detti pagamenti i creditori erano stati soddisfatti quando venne stipulata la vendita.
Il motivo, che attraverso la deduzione del vizio di violazione di norme diritto sostanziale che regolano il riparto dell’onere della prova, viene ad introdurre piuttosto una censura afferente – così è dato evincere dalla esposizione – il vizio di nullità della sentenza per assoluta illogicità della motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 (in tal senso dovendo riqualificarsi la censura, in quanto l’erronea indicazione della norma violata nella rubrica del motivo, non determina “ex se” l’inammissibilità di questo se la Corte possa agevolmente procedere alla corretta qualificazione giuridica del vizio denunciato sulla base delle argomentazioni giuridiche ed in fatto svolte dal ricorrente a fondamento della censura, in quanto la configurazione formale della rubrica del motivo non ha contenuto vincolante, ma è solo l’esposizione delle ragioni di diritto della impugnazione che chiarisce e qualifica, sotto il profilo giuridico, il contenuto della censura: Corte cass. Sez. 2, Sentenza n. 3941 del 18/03/2002; id. Sez. 1, Sentenza n. 7882 del 05/04/2006; id. Sez. 1, Sentenza n. 7981 del 30/03/2007; id. Sez. 5, Sentenza n. 14026 del 03/08/2012; id. Sez. U, Sentenza n. 17931 del 24/07/2013; id. Sez. 5 -, Ordinanza n. 12690 del 23/05/2018), deve ritenersi inammissibile, in quanto tale censura si fonda su una lacunosa ed errata lettura della motivazione della sentenza di appello e quindi non trova riscontro nella “ratio decidendi”.
La Corte territoriale, infatti, da un lato, ha rilevato che “alcuni” soltanto dei debiti per i quali ***** s.r.l. risultava insolvente nei confronti del Comune di Monterotondo e dei fornitori, erano stati estinti attraverso gli anticipi di prezzo corrisposti; dall’altro, ha rilevato che la esposizione debitoria della società – poi dichiarata fallita – era “per la maggior parte” riconducibile al debito, insorto nel 2003, per la restituzione di somme ricevute a mutuo dalla società Vesta Finance Pirelli Re nonchè a debiti fiscali e previdenziali maturati a decorrere dall’anno 2002, dunque a crediti di terzi anteriori al rogito di vendita.
Trattasi dunque di valutazione di merito che non attinge in alcun modo la regola del riparto. Eventuali errori concernenti la valutazione della prova, infatti, non possono ridondare mai nella applicazione e violazione della norma che regola il riparto dell’onere probatorio ex art. 2697 c.c. e la relativa censura risulta pertanto “ictu oculi” inammissibile atteso che, come più volte ribadito da questa Corte “La violazione dell’art. 2697 c.c. si configura se il giudice di merito applica la regola di giudizio fondata sull’onere della prova in modo erroneo, cioè attribuendo l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione della fattispecie basate sulla differenza fra fatti costituivi ed eccezioni, mentre detta violazione non si può ravvisare nella mera circostanza che il giudice abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attività consentita dal paradigma dell’art. 116 c.p.c., che non a caso è rubricato alla “valutazione delle prove”….” (cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 16598 del 05/08/2016, in motivazione paragr. p. 14; già in precedenza: Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 11949 del 02/12/1993; id. Sez. 3, Sentenza n. 2155 del 14/02/2001; id. Sez. 2, Sentenza n. 3642 del 24/02/2004; id. Sez. 5, Sentenza n. 2935 del 10/02/2006; id. Sez. 3, Sentenza n. 19064 del 05/09/2006; id. Sez. 3, Sentenza n. 15107 del 17/06/2013; id. Sez. L, Sentenza n. 13960 del 19/06/2014; id. Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016).
Secondo motivo: violazione del L. Fall., art. 66,artt. 115 e 116 c.p.c., artt. 2697-2901 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – omessa valutazione di un fatto decisivo in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
Sostiene la ricorrente che la prova della anteriorità de crediti non poteva ritenersi raggiunta, avendo la Corte territoriale – confuso i crediti di massa e lo stato di insolvenza con i crediti individuali – attribuito rilevanza probatoria alla relazione del curatore che costituisce atto di parte, della perizia redatta dal professionista contabile incaricato dal curatore ed allegata alla predetta relazione, della situazione crediti-debiti al 13.12.2007, sottoscritta dal liquidatore della società fallita;
– desunto elementi prova dai procedimenti di liquidazione volontaria di ***** s.r.l., nel 1997 e nel 1998, non pertinenti alla situazione debitoria che avrebbe dovuto invece essere accertata al tempo della stipula della compravendita.
Inammissibile la censura per errore di fatto, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non essendo stato neppure indicato il fatto storico decisivo che la Corte d’appello avrebbe trascurato di considerare, per il resto il motivo è da ritenere infondato, alla stregua del consolidato principio secondo cui i fatti, conosciuti dal curatore del fallimento nell’esercizio delle sue funzioni di pubblico ufficiale, avendo valore presuntivo di veridicità ai medesimi, possono costituire fonte di convincimento del Giudice, ove non siano contrastati da prova contraria (cfr. Corte cass. Sez. 1, Sentenza n. 201 del 23/01/1967; id. Sez. 1, Sentenza n. 267 del 29/01/1973; id. Sez. 1, Sentenza n. 353 del 03/02/1976; id. Sez. 1, Sentenza n. 14831 del 27/06/2006; id. Sez. 1, Sentenza n. 10216 del 04/05/2009).
La Corte d’appello ha inteso fondare la decisione sulle risultanze dei documenti del Fallimento, incluse le relazioni e le indagini contabili eseguite dal curatore, nonchè sulla presunzione della anteriorità dei crediti – individuati nella predetta relazione e nella allegata consulenza tecnica – desunta dalla anomala condotta tenuta dalla società acquirente, avendo questa anticipato il pagamento del prezzo della vendita di alcuni anni rispetto alla stipula dell’atto dispositivo. Orbene l’utilizzo dello schema logico presuntivo da parte del Giudice di merito risulta del tutto conforme all’indicato principio di diritto, andando in conseguenza esente la pronuncia impugnata dal vizio denunciato in relazione agli artt. 115 e 116 c.p.c. -, non essendo incorsa la Corte territoriale in alcuna violazione dello statuto normativo dei mezzi di prova, atteso che, nella specie, non si ravvisano limitazioni imposte dall’ordinamento all’acquisizione processuale di determinate fonti, o ancora, limitazioni alla discrezionalità valutativa dei fatti determinate dalla previsione di prove legali; nè si palesa alcuna violazione nell’utilizzo dei mezzi di prova tipici – individuati dalle norme codice di rito – in relazione tanto ai limiti legali di ammissione o di efficacia dimostrativa del singolo mezzo, quanto alle modalità procedurali di verifica istruttoria del mezzo.
Inammissibile è, inoltre, la censura di violazione dell’art. 2697 c.c., per le medesime ragioni già esposte nell’esame del precedente motivo.
Terzo motivo: violazione della L. Fall., art. 66,artt. 2467,2697,2719 e 2901 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; omessa valutazione di fatti decisivi ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.
La ricorrente contesta la statuizione della Corte territoriale che ha ritenuta raggiunta la prova del “consilium fraudis” in base alle relazioni di fatto intercorse nel tempo tra le due società.
Anche tale motivo, che – come emerge dalla esposizione – risulta interamente incentrato sul vizio di errore di fatto, va incontro ad inammissibilità, venendo la società ricorrente a richiedere sostanzialmente una nuova valutazione delle prove, non consentita in sede di legittimità.
Trattandosi di crediti anteriori al rogito di compravendita, è richiesto accanto al “consilium fraudis” del debitore, la “scientia damni” da parte del terzo acquirente (cfr. Corte cass. Sez. 3, Sentenza n. 7452 del 05/06/2000; id. Sez. 2, Sentenza n. 17327 del 17/08/2011; id. Sez. 3, Sentenza n. 27546 del 30/12/2014; id. Sez. 3, Sentenza n. 5618 del 22/03/2016; id. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 16221 del 18/06/2019), e tale accertamento è stato compiuto dalla Corte territoriale alla stregua di elementi circostanziali, quali i diversi e ripetuti contatti professionali intrattenuti dal notaio con la società dichiarata fallita (redazione dei verbali societari relativi alla procedura di liquidazione volontaria del 1998; stipula dell’atto di compravendita immobiliare con il Comune di Monterotondo in data 20.11.2000; redazione dell’atto obbligo con il predetto Comune nel 2003; pagamento del prezzo anticipato dal 2004 mediante versamenti eseguiti da TAMARX s.r.l. di cui il notaio era socio ed amministratore, direttamente a creditori di ***** s.r.l., pagamento proseguiti fino al 2007), ritenuti tutti significativi e convergenti a fornire la prova della conoscenza da parte del socio amministratore, e per esso di TAMARIX s.r.l., della situazione di dissesto in cui versava ***** s.r.l. al tempo della compravendita immobiliare.
Tale apprezzamento di fatto non è inficiato dalla omessa considerazione di fatti decisivi, e dunque rimane insindacabile in sede di legittimità.
In conclusione il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della ricorrente soccombente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 6.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.
Così deciso in Roma, il 27 settembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 15 novembre 2019
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