LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE LAVORO
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. TORRICE Amelia – Presidente –
Dott. TRIA Lucia – Consigliere –
Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –
Dott. MAROTTA Caterina – Consigliere –
Dott. BELLE’ Roberto – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 16271/2014 proposto da:
B.F., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR presso LA CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dagli avvocati FABIO PETRACCI, ALESSANDRA MARIN;
– ricorrente –
contro
MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del Ministro pro tempore, rappresentato e difeso dall’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO presso i cui Uffici domicilia ex lege in ROMA, alla VIA DEI PORTOGHESI, 12;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 112/2014 della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, depositata il 29/04/2014 R.G.N. 205/2012.
RITENUTO
che:
la Corte d’Appello di Trieste, riformando la pronuncia del Tribunale della stessa città, ha dichiarato, accogliendo apposita domanda riconvenzionale, l’obbligo di B.F. di restituire al Ministero delle Finanze la somma di Euro 31.474,46 ricevuta in eccedenza all’epoca in cui il predetto aveva lavorato alle dipendenze del Ministero dei Beni Culturali.
avverso tale pronuncia il B. ha proposto un motivo di ricorso per cassazione, resistito da controricorso del Ministero delle Finanze.
CONSIDERATO
che:
con l’unico motivo di ricorso il B. afferma la violazione del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 2, commi 2 e 3, artt. 24,40 e 51 e degli artt. 1703,1269,1271 e 2033 c.c., nonchè degli artt. 100 e 102 c.p.c., per avere la Corte territoriale erroneamente ritenuto la sussistenza della legittimazione del Ministero delle Finanze a ripetere le somme erogate in eccedenza, nonostante l’indebito si fosse formato rispetto al datore di lavoro Ministero dei Beni Culturali;
secondo il ricorrente, dalla convenzione che regolava ai sensi del R.D. n. 2440 del 1923, i rapporti tra ente Ministero datore e Ministero pagatore, derivava un rapporto di mandato, con delegazione al pagamento, destinato a restare disciplinato dalle sole norme civilistiche;
pertanto solvens, come tale unico legittimato alla ripetizione, era da considerare il Ministero dei Beni Culturali e ciò anche perchè il delegato (Ministero delle Finanze) non avrebbe potuto opporre al delegatario (il lavoratore) le eccezioni che a questi avrebbe potuto opporre il mandante (Ministero dei Beni Culturali), senza contare la necessità semmai di riconoscere una “legittimazione attiva congiunta” dei singoli Ministeri, trattandosi di provvedimenti assunti con “riparto di competenze congiunte”;
il motivo è infondato;
l’impostazione del ricorrente, secondo cui tra Ministero cui risale la voce di spesa e il Ministero delle Finanze intercorrerebbe un rapporto convenzionale, qui attinente al pagamento delle retribuzioni, sicchè la conseguente disciplina dell’indebito e della legittimazione a ripeterlo dovrebbe essere data dalle norme sul contratto di mandato e sulla delegazione (civilistica) di pagamento, non può essere condivisa;
difatti, rispetto alle entrate o pagamenti correnti dello Stato non vi è luogo a parlare di rapporti convenzionali, quanto di attribuzione di competenze in forza di regole normative che, nel corso del tempo, hanno attribuito al Ministero delle Finanze il compito, per quanto qui interessa, di provvedere ai pagamenti delle retribuzioni;
la conseguente disciplina va dunque tratta non dal codice civile, ma dalle regola proprie della contabilità di Stato, tra cui, per quanto qui interessa, dal D.P.R. n. 1544 del 1955, art. 3, secondo cui “è demandato agli Uffici provinciali del tesoro il compito di provvedere al recupero dei crediti erariali derivanti da indebite riscossioni effettuate da dipendenti dello Stato in attività di servizio in relazione alle competenze oggetto dei ruoli di spesa fissa (vedasi stipendi e retribuzioni) che detti Uffici amministrano”:
gli allora Uffici provinciali del Tesoro hanno mano a mano mutato denominazione e nelle rispettive competenze sono subentrate altre articolazioni, secondo un iter normativo di cui non mette conto la dettagliata ricostruzione, facenti sempre capo al Ministero del Tesoro prima e, ora, al Ministero delle Finanze, che dunque ha certamente legittimazione sostanziale e processuale;
neppure vi è da ritenere che sussistesse litisconsorzio necessario con il Ministero dei Beni Culturali, come incidentalmente prospetta il ricorrente nel proprio motivo;
anche ad ammettere che, in punto legittimazione attiva, possano non valere le medesime regole di unicità del referente statale dettate (a tutela di chi agisce) dalla L. n. 260 del 1958, art. 4, rispetto alla legittimazione passiva (in senso contrario rispetto all’estensione della predetta disciplina al caso della legittimazione attiva, v. Cass. 14 febbraio 2001, n. 2144) si devono comunque distinguere due situazioni;
l’una è quella in cui in causa siano contestati profili attinenti all’an del debito restitutorio, nel qual caso potrebbe anche astrattamente porsi un problema di legittimazione del Ministero cui risale il titolo di spesa, unitamente al Ministero che ha il potere di incassare;
l’altra è quella in cui oggetto del contendere sia soltanto il recupero tout court di una somma indebitamente erogata, nel quale caso il rapporto, come da disciplina di contabilità sopra menzionata, riguarda esclusivamente il Ministero pagatore (che indubbiamente è quello delle Finanze) e titolare del diritto all’incasso, nella relazione di esso con il percettore del pagamento indebito;
la sentenza di appello afferma che l’esistenza dell’indebito risultava stragiudizialmente incontestata e su tale base essa ha ritenuto come ammesso il debito ed ha accolto la domanda riconvenzionale;
pertanto, al fine di assecondare un’eccezione di non integrità del contraddittorio, il ricorrente avrebbe dovuto manifestare la persistenza di concrete questioni attinenti alla sussistenza o meno dell’indebito, che viceversa il motivo, concentrandosi essenzialmente sul profilo attinente alla legittimazione del Ministero delle Finanze per la ripetizione dell’indebito, non contiene;
l’impugnazione va quindi respinta e le spese del giudizio di legittimità restano regolate secondo soccombenza.
PQM
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della controparte delle spese di giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.500,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 settembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 15 novembre 2019
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