Corte di Cassazione, sez. VI Civile, Ordinanza n.29949 del 19/11/2019

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LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 3

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 29584-2017 proposto da:

D.C.N., D.C.L., DA.CA.NE., elettivamente domiciliate in ROMA, P.LE CLODIO, 14, presso lo studio dell’avvocato ANDREA GRAZIANI, rappresentate e difese dall’avvocato DANIELE FANTINI;

– ricorrente –

contro

R.R.T., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato MONICA GIATTI;

– controricorrente –

contro

D.C.S., D.C.V., D.C.U.D.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 2010/2017 della CORTE D’APPELLO di VENEZIA, depositata il 19/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non partecipata del 20/06/2019 dal Consigliere Relatore Dott. GABRIELE POSITANO.

RILEVATO

che:

con sentenza del 23 settembre 2015, questa Corte cassava con rinvio la decisione della Corte d’Appello di Venezia del 9 novembre 2011 che aveva, a sua volta, riformato la sentenza del 15 ottobre 2008 emessa dal Tribunale di Venezia. La Corte di Cassazione aveva affermato che il comodato di immobile stipulato senza vincolo di durata, in favore di un nucleo familiare, costituisce un comodato a tempo indeterminato e il vincolo di destinazione alle esigenze abitative della famiglia conferisce all’uso della cosa il carattere implicito della durata del rapporto, anche oltre la crisi coniugale e senza la possibilità di far dipendere la cessazione del vincolo dalla volontà del comodante. Tale principio è contemperato dalla facoltà, per il comodante, di chiedere la restituzione del bene nella sola ipotesi di sopravvenienza di un bisogno urgente e non previsto, ai sensi dell’art. 1809 c.c., comma 2. Nel caso di specie la parte comodante si sarebbe limitata a richiamare in termini generici tale disposizione e non vi era la prova di un bisogno imprevisto delle comodanti, che giustificasse l’invocata cessazione di efficacia del contratto. Sulla base di tali elementi la Corte d’Appello di Venezia, decidendo in sede di rinvio, con sentenza del 19 settembre 2017, rigettava l’appello principale proposto da D.C.L., Da.Ca.Ne. e D.C.N. e quello incidentale di R.M.T. avente ad oggetto la domanda di danni o di arricchimento senza causa, perchè proposta solo in via subordinata, per l’ipotesi di rigetto della domanda di controparte;

nello stesso modo qualificava come nuove e, pertanto, inammissibili le domande di rimborso di quanto pagato per canoni di locazione proposte da D.C.S. e D.C.V.;

avverso questa decisione propongono ricorso per cassazione D.C.L., Da.Ca.Ne. e D.C.N. affidandosi a due motivi e resiste con controricorso R.R.T.. Le ricorrenti depositano memoria ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c..

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si lamenta la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4, in ragione dell’omessa pronunzia, ai sensi dell’art. 112 c.p.c., sulla cessazione della destinazione a casa familiare dell’immobile in ragione del venir meno dell’assegnazione alla R. dell’immobile, attesa la maggiore età e l’autosufficienza dei figli. La Corte d’Appello in sede di rinvio si sarebbe limitata ad esaminare la questione della sussistenza di un bisogno urgente imprevisto, senza considerare il vincolo di destinazione alla luce delle vicende della separazione e in particolare, del venir meno della assegnazione e della autonomia economica dei figli. In sede di appello i profili sarebbero stati evidenziati, rilevando che i figli della R. ormai non erano più residenti nell’immobile, con conseguente occupazione senza titolo dello stesso. La Corte d’Appello con la prima decisione del 9 novembre 2011 aveva affermato che il contratto di comodato avrebbe dovuto ritenersi risolto per mutuo consenso e in sede di controricorso in cassazione, la questione dell’assenza di ragioni di tutela della prole era stata riproposta. Inoltre, la Corte di Cassazione nel disporre il rinvio, aveva censurato la decisione del giudice di appello che non aveva considerato la situazione di separazione e il vincolo di destinazione dell’immobile. La Corte di legittimità avrebbe ritenuto applicabili al comodato per esigenze familiari le norme che riguardano l’assegnazione della casa coniugale, la quale si fonda soltanto sul presupposto della collocazione presso il coniuge assegnatario dei figli minorenni e non autosufficienti. In mancanza di un provvedimento giudiziale di assegnazione, sarebbe venuto meno lo scopo del contratto di comodato;

con il secondo motivo si deduce la nullità della sentenza in ragione della mancata considerazione dei documenti n. 7 e n. 7 bis. La Corte territoriale non avrebbe preso in esame gli atti che attesterebbero la sopravvenienza del bisogno delle comodanti, che avrebbero contratto un finanziamento per credito al consumo e la successiva messa all’asta dell’immobile in oggetto. Tali difficoltà economiche costituirebbero il presupposto per la cessazione del contratto di comodato;

il primo motivo è inammissibile perchè il passaggio riportato in ricorso è del tutto inidoneo a ad evidenziare la pretesa domanda che la Corte avrebbe omesso di considerare. Parte ricorrente avrebbe dovuto trascrivere o allegare che la domanda di risoluzione si fondava, oltre che sulla esistenza di un bisogno urgente e imprevisto delle comodanti ex art. 1809 c.c., comma 2, e per violazione della transazione del 6.7.01, anche sull’autonoma domanda conseguente alla sopravvenuta insussistenza del comodato in favore del nucleo familiare vincolato alle esigenze abitative della famiglia, per sopravvenuta separazione dei coniugi e per la raggiunta autonomia ed indipendenza della prole. Tale domanda, contrariamente a quanto dedotto in memoria, non è deducibile dallo scarno passaggio riportato a pag. 7 e a pag. 8 del ricorso;

Le ricorrenti si limitano a dedurre in ricorso, discorsivamente a pag. 7: “nello specifico sin dalla ricorso di primo grado a pagina due, le sorelle D.C. rilevavano che “i signori D.C.S. e D.C.V., rispettivamente 34 e 28 anni, sono entrambi economicamente autonomi”. E più avanti, a pagina 8: “nell’ambito del secondo motivo di appello, pagina 14, si rilevava “nel ricorso per separazione giudiziale presentato dalla signora R. si legge “… Dall’unione dei coniugi sono nati tre figli tutti maggiorenni ed economicamente autonomi… poichè i figli sono del tutto autosufficienti e intenzionati a godere della propria vita personale, la signora R. si è ora determinata a ricorrere al giudice per ottenere la serenità che non ha mai avuto… in ogni caso quindi, nel caso di specie, mancherebbe il presupposto indefettibile -la finalità di tutelare la prole minorenne comunque non autosufficiente dalla perdita dell’habitat domestico- affinchè il subentro per legge della moglie assegnataria della casa coniugale nei diritti contrattuali derivanti al marito dal contratto di comodato, non si traduca in una illegittima e incostituzionale lesione del diritto dominicale delle ricorrenti”;

la questione, quindi, non è dedotta come oggetto di un motivo di appello (le conclusioni riportate a pag. 9 sono generiche rispetto alle ragioni della detenzione “sine titulo”) e non è allegato che le parti abbiano proposto nel ricorso incidentale per Cassazione tale questione. Ed anzi, la decisione 24618/15 di questa Corte non si occupa della questione, che evidentemente non è stata posta, tanto che dal contenuto della decisione emerge che il ricorso incidentale delle controinteressate è stato proposto, ma solo sul tema dei presupposti dell’art. 1809 c.c., comma 2. Il tema dell’insussistenza del vincolo familiare non è allegato, neppure con riferimento al ricorso in riassunzione davanti al giudice del rinvio da parte delle comodanti;

quanto al secondo motivo, lo stesso è dedotto in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, non avendo parte ricorrente precisato in quale fase processuale sarebbero stati tempestivamente prodotti i documenti n. 7 e 7 bis menzionati in ricorso;

ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile; le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza. Infine, va dato atto – mancando ogni discrezionalità al riguardo (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna le ricorrenti al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro 2.100,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Sesta Sezione Civile-3, il 20 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 novembre 2019

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